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di Abramo Matteoli

   Un giorno mi capitò di allontanarmi dalla terra. Non fu semplice, avevo passato a girare intorno allo stesso pianeta più di quanto riesca a ricordare; e anche se non mi era mai stata data la possibilità di avventurarmi su di esso, quel grandissimo corpo celeste io lo chiamavo casa. Un asteroide degno di questo nome, però, deve solcare molti cieli, è chiamato a viaggiare in eterno, ogni volta circondandosi di astri sempre più luminosi e bizzarri. Solo in questo modo potrà portare a compimento il suo dovere di concedere un desiderio ad ogni essere del cosmo; in fondo si sa, da che mondo è mondo in ogni angolo dell’universo si esprime un desiderio ogni volta che un asteroide in viaggio, in un modo o in un altro, si rende visibile nel firmamento. 

   Dico tutto questo solo per spiegare che avevo passato fin troppo tempo a gironzolare sopra i capi della popolazione terrestre, avevo concesso fin troppi desideri alle creature di quel pianeta azzurro, ed è per questo che decisi di allontanarmi, dando una svolta alla mia vita.  Per le prime migliaia di anni che passai in viaggio mi sentii completamente perso. Adesso toccava a me viaggiare per l’infinità dello spazio e non avrei certo potuto starmene lì a farmi trasportare dalla gravità come avevo fatto fino a quel momento. Questo fatto continuava a mettermi una paura immensa, immensa come le stelle più brillanti. Non ero mai stato così lontano da “casa”, e tutto a un tratto l’infinito universo si rivelò ancora più infinito quando realizzai che potevo contare solo su me stesso. 

   “La vastità può soffocare anche la più tenace delle comete”. Ripetevo spesso, durante il mio pellegrinaggio, le parole di un mio amico meteorite che avevo incontrato durante il mio soggiorno intorno alla terra. Quella frase diventò per me come un “memento mori” per gli umani; eh già! Avevo passato così tanto tempo vicino alla terra che ebbi modo di ammirare l’intera comparsa degli uomini su quel pianeta, li osservai a tal punto da addirittura capirci qualcosa della loro cultura. 

   Con le parole del mio amico meteorite a cullarmi nella mia avventura intergalattica fu semplice sprofondare nella meditazione. Iniziai a riflettere come mai ero riuscito a fare, a pensarci bene ero sempre stato disturbato dal baccano provocato da tutti gli avvenimenti della terra, che pur sembrando piccoli dall’alto della mia orbita, vi posso assicurare che producevano un discreto chiasso, risuonando per ogni angolo del pianeta, facendo tremare il geoide stesso.

   Pensando sempre di più iniziai a chiedermi se io, un semplice asteroide, avessi veramente deciso di allontanarmi dalla terra, o se il mio trovarmi nello spazio più profondo, a milioni di anni luce dal luogo che chiamavo casa, fosse solo opera di una nuova corrente gravitazionale di cui ero in balia. 

   Costantemente tormentato dal dubbio non riuscivo a trovare la risposta a questa domanda. Certo potevo guardare dove volevo nell’universo, potevo decidere quale pianeta sorvolare per farmi ammirare, ma ero davvero io colui in grado di scegliere cosa fare di sé stesso? Quasi la tenaglia dell’incertezza non mi portò all’estremo gesto temuto da tutte le comete, condannato da tutte le meteore, ponderato da tutti gli asteroidi e infine motivo di scandalo tra tutti i corpi celesti: Quasi, non decisi di fermarmi completamente, terminando il mio viaggio in uno spazio vuoto del distante universo. La volontà di fermarmi nacque dall’insidioso istinto di sfidare la volontà che mi portava avanti, di cui, in un certo senso, diventai nemico perché non riuscivo a capirla.

    Per fortuna feci un incontro sulla mia strada, incontrai Dio in persona. Quando lo vidi rallentai per fare le mie riverenze, ero molto stupito perché, pur avendo sentito parlare di lui, non pensavo che Dio abitasse l’universo proprio come me, ma in fondo quell’incontro fu una di quelle cose che noi asteroidi non possiamo spiegarci e dobbiamo solo accettare, esattamente come la gravità. Quando incontrai Dio non potei fare a meno di confessargli, in confidenza, il mio dubbio. Lo stesso dubbio che mi accompagnava da quasi tutto il viaggio. 

    Una volta formulata la mia domanda, Dio fece spallucce. 

    In fondo si sa, da che mondo è mondo in tutto l’universo si è al corrente del fatto che quando si incontra Dio non si è mai sicuri di cosa potrebbe accadere, ed in effetti fu proprio così. In un certo senso ero quasi sollevato di aver trovato una nuova certezza in questa conoscenza comune.

    Continuando il mio viaggio, tra un sistema solare e l’altro, mi scoprii molto cambiato, il sollievo aveva fatto posto ad una rabbia contorta che faceva ribollire il mio interno e che quasi non mandava a fuoco l’intero siderale spazio. Pensai per un breve periodo a cosa avrei potuto dire in alternativa a Dio invece che confessargli il mio dubbio; faceva male viaggiare senza un rompicapo da risolvere per le mani. Ma ormai era impossibile tornare come prima, l’incontro con Dio mi aveva fatto capire che la mia domanda non poteva avere una risposta. 

   Iniziai dunque a maledire Dio, pensando che non si meritasse di ascoltare un asteroide in pena come me, pensando che un superficiale come lui non dovrebbe essere considerato Dio, pensando che un essere come quello che avevo appena incontrato fosse solo il lontano ricordo del Dio di cui avevo sentito parlare.

   Purtroppo, navigando tra i miei pensieri, mi resi conto della realtà. Stavo viaggiando ad una velocità molto più elevata di quanto credessi, un campo gravitazionale di una Gigante Rossa aveva iniziato ad attrarmi sempre di più verso di essa. Tentai di dimenarmi più forte che potei, opponendo resistenza a quell’irrefrenabile forza traente che mi teneva prigioniero. Dopo pochi attimi riuscii a rendermi conto che per me non ci sarebbe più stata speranza, il mio viaggio sarebbe finito tra pochi momenti, e io sarei finito con lui. 

    Pensai che non volevo finire inghiottito da una Gigante Rossa. Pensai che non era giusto, che mi ero sempre comportato da bravo asteroide, portando il bene distribuendo desideri in giro per l’universo. Ma ormai sapevo che il finale della mia esistenza era già stato scritto. 

   In quel momento mi tornò in mente il mio dubbio, e mi trovai senza nessuno da incolpare. Mentre l’abbagliante luce della stella morente iniziava a scaldare la roccia di cui ero composto cominciai a pensare che forse era tutta colpa mia. Forse avevo scelto di finire in quella situazione perché avevo deciso di rimanere sovrappensiero, ignorando la realtà. Poi pensai che invece poteva essere una punizione da parte di Dio, il prezzo da pagare per le maledizioni che avevo precedentemente rivolto a lui. Poi pensai che forse non era colpa di nessuno, e che proprio come non potevo spiegarmi la gravità, non sarei stato in grado spiegarmi questa ingiusta fine.

    Non ebbi il tempo di scegliere una risposta. Il mio giovane corpo da asteroide stava ormai venendo ferocemente consumato dall’incandescente massa della Gigante Rossa senza che io potessi fare niente. Mentre il calore insopportabile della stella mi cuoceva spietato e una pungente sofferenza trafiggeva ciò che rimaneva del mio corpo ebbi sulla punta della lingua delle parole. Delle parole che sarebbero state rivolte a tutto l’universo, a tutto ciò che esiste, ma non mi bastò la forza per sputarle fuori. 

    Nel momento della fine, però, non fui dispiaciuto. In fondo, si sa, da che mondo è mondo tutto l’universo sa che non puoi avere tutto dalla vita, è una di quelle cose che noi asteroidi non possiamo spiegarci, e siamo costretti a doverle solo accettare.

Abramo Matteoli ha frequentato la classe VLA del Liceo Vallisneri e si è diplomato nell’anno scolatico 2019-20. Attualmente frequenta la facolta di psicologia all’università di Manchester.

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