Tra l’attesa e la paura di viverla3 min read

Le notti bianche di Fedor Dostoevskij

di Silvia Picchi

“…Fu creato forse allo scopo di rimanere vicino al tuo cuore, sia pure per un attimo? …”

Ivan S. Turgenev

   Era il 1848 quando il giovane Dostoevskij pubblicò per la prima volta “Le notti bianche” su una rivista letteraria russa e proprio con questa citazione si apre il suo celebre racconto, probabilmente a sottolineare la potenza emotiva di questo grande lavoro.

   Questa storia descrive profondamente tutti quelli che sognano ad occhi aperti, che spesso perdono il contatto con la realtà che li circonda, che fantasticano immergendosi completamente in un libro o, ancora più frequentemente al giorno d’oggi, nella rete Internet attraverso lo schermo dello smartphone.

   A volte questo racconto viene ricordato semplicemente come una storia d’amore struggente, ma è decisamente molto di più… anzi, oserei dire che gli elementi romantici della trama sono quelli meno significativi. In realtà, la genialità di Dostoevskij sta nel rappresentare in poche pagine le complessità di un’anima sognatrice, distaccandosi dallo stereotipo del «sognatore felice e spensierato» per illustrarci i pensieri disperati di un ragazzo che rischia di rimanere bloccato tra l’attesa della vita e la paura di viverla. Dostoevskij, infatti, riesce a vestire il suo protagonista tanto col fascino di questa esistenza quasi parallela, quanto col pericolo che questa rappresenta. È il sognatore stesso che confessa l’angoscia che lo assale nei pochi “momenti di sobrietà” e parla così quando descrive la sua paura del momento in cui i sogni verranno rapidamente sostituiti dai rimpianti: “E domandi a te stesso: dove sono i tuoi sogni? E scuotendo la testa esclami: come volano via in fretta gli anni! E di nuovo ti domandi: cosa ne hai fatto dei tuoi anni? Dove hai seppellito il tuo tempo migliore? Hai vissuto, oppure no?”

   È la solitudine il motore dell’immaginazione del protagonista che, distaccandosi dalla realtà, vaga per le vie di una San Pietroburgo abitudinaria e senza tempo trasformando i comuni individui che animano le strade in protagonisti dei suoi sogni. La città in questa storia non è solo una banale ambientazione, ma diventa un elemento essenziale dei sogni, tanto che l’autore scrive che a Pietroburgo esistono alcuni strani angolini in cui “sembra svolgersi una vita diversa, che non somiglia affatto a quella che ribolle intorno a noi, una vita come potrebbe svolgersi nel trentesimo regno di una fiaba e non da noi, nella nostra epoca così seria e così dura”.

   Il protagonista, a cui non viene mai attribuito un nome, desidera un contatto vero con la realtà, un incontro capace di suscitargli finalmente delle emozioni concrete e non solo immaginate. Grazie a una specie di casualità, di fato o di provvidenza, tema spesso presente nei racconti di Dostoevskij e in generale nella letteratura russa, questo incontro avviene: il sognatore conosce una ragazza, Nasten’ka, racconta la sua storia e ascolta quella di lei e in poche parole, in poche notti s’innamora di lei e così, al confronto con questo sentimento autentico e puro, tutti i suoi sogni abituali svaniscono.

   Solo quattro notti bastano per cambiare una vita isolata come quella del nostro sognatore? La risposta rimarrà un mistero, ma a cambiare almeno un po’ è la concezione dei sogni di ogni lettore dopo questo racconto.

Fedor Dostoevschij, Le notti bianche, trad. it a cura di Giovanna Spendel, Milano, Mondatori Oscar classici della Mondadori (terza edizione, 2003).

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