Il mondo della traduzione raccontato da Isabella Blum11 min read

Un’intervista alla traduttrice italiana di alcune opere di Oliver Sacks e di altri autori.

A cura di Silvia Barsotti

 

Silvia Barsotti – Per prima cosa vorrei chiederle in quale modo ha deciso di avvicinarsi al mondo della traduzione, so che è un ambito molto sottovalutato, al quale non viene data l’importanza che a parer mio gli spetterebbe. Proprio per questo sono curiosa di cosa la abbia spinta ad entrare a farne parte, se è stata consigliata o indotta da qualcuno o se l’ha fatto di sua spontanea volontà.

Isabella Blum – Domanda interessante, entriamo subito nel vivo. In che misura l’immagine di una professione, il suo «prestigio» percepito, attira le persone, le spinge ad avventurarcisi? Dalla mia attuale prospettiva, a posteriori, quell’immagine non dovrebbe contare affatto. A spingerti a imboccare una strada dovrebbe essere quanto quella strada effettivamente ti attrae, quanto ti interessa. Ti piace fare X? E allora fallo. Provaci. E comunque, se io avessi effettuato la mia scelta affidandomi anche a una valutazione del «prestigio», non avrei avuto alcuna esitazione. In casa, da bambina, ho sempre sentito parlare di traduzione come di un’attività di alto profilo, importante, interessante. C’era una carissima amica di mio padre e mia madre che era un’importante traduttrice di romanzi. Quindi sono cresciuta vedendo lei, il suo mondo, il suo lavoro – e di conseguenza il tradurre libri in generale – come un’attività bella, importante, attraente. La consapevolezza che invece, in alcuni ambiti, la percezione del tradurre fosse diversa, diciamo più problematica, l’ho avuta dopo, quando avevo già cominciato a lavorare. Dall’interno, e non dall’esterno.

Resta da dire come sono entrata in quel mondo. All’università io ho studiato biologia, mi stavo preparando per una carriera da ricercatrice. La mia idea sarebbe stata, all’epoca, di restare a lavorare all’università, ma era un momento in cui gli spiragli per i giovani in ambito accademico erano veramente prossimi a zero. E siccome io avevo bisogno di lavorare, feci domanda per essere assunta in una casa farmaceutica. Mi fissarono un colloquio, andò bene e mi presero a lavorare con loro: non nel settore ricerca, però, bensì in quello della produzione dei testi scientifici relativi ai prodotti dell’azienda. In pratica, mi occupavo per otto ore al giorno di traduzioni e scrittura (sono stati anni in cui ho imparato moltissimo, sia sul piano scientifico, sia su quello della comunicazione e della scrittura/traduzione). E così sono entrata in quel mondo: il mondo di una traduzione scientifica molto tecnica. Poi da lì mi sono spostata verso il campo editoriale, e verso tipologie di testi ugualmente densi, ugualmente ricchi di scienza, ma di tutt’altra natura – la saggistica scientifica.  Ed è stato un gran bel colpo di fulmine.

Silvia Barsotti – Un traduttore ha la stessa importanza dell’autore nella scrittura di un libro, in particolare, dovuta alla grande responsabilità che gli viene affidata. Deve essere molto complicato rispettare, traducendo da altre lingue, la volontà dei primi autori, riportando con parole diverse, ciò che essi hanno voluto dire ai propri lettori, un lavoro di “archeologia” come lo ha detto lei in una delle sue conferenze. Le volevo chiedere perciò se sente il peso di questa responsabilità, se le è mai capitato di essere criticata per aver tradotto qualcosa in modo sbagliato, non rispettando ciò che era scritto nel testo originale, e inoltre in quale modo stabilisce se inserire una parola o un’espressione anziché un’altra.

Isabella Blum – Il traduttore affianca l’autore, con un ruolo ben preciso e con vincoli che ne delimitano il campo di intervento. Di fatto, il traduttore consente la diffusione del libro in un paese di lingua diversa da quella in cui è stato scritto: dà voce al testo in una lingua altra, realizzando un’importante operazione di mediazione tra autore, testo e pubblico – e nel farlo deve rispettare quei vincoli, il che spesso si rivela un’impresa poco meno che funambolica. Un autore americano arriva al pubblico italiano grazie al lavoro del traduttore, attraverso le sue parole – come non sentire questa responsabilità? Non bisogna lasciarsene schiacciare, ma ovviamente la si avverte. Ed è giusto che sia così. Sulla questione degli errori: è capitato che qualche lettore mi abbia chiesto di motivare passaggi che non lo convincevano, cosa che puntualmente ho fatto spiegando i ragionamenti che stavano alla base di certe scelte. Di errori mi è capitato alcune volte di trovarne io stessa, sul libro ormai stampato, e in quel caso ho avvertito l’editore affinché correggesse nelle edizioni successive. In quarant’anni di attività, o poco meno, ne avrò commessi moltissimi senza che siano stati rilevati o che io me ne sia accorta. In genere, chi non ha familiarità con il lavoro editoriale e vede il libro solo come l’oggetto finito che si acquista in libreria, tende a considerarlo come una sorta di metafora della perfezione (parli come un libro stampato): eppure un libro è un’opera umana – è impossibile pensare che non contenga errori. Io ne trovo anche nei testi originali su cui lavoro, ma questo non sminuisce la considerazione che ho del loro autore. Sarebbe ingenuo pensare che chiunque possa scrivere trecento o quattrocento pagine senza commettere errori, senza una svista. Fortunatamente, gran parte di questi problemi viene risolta nel corso della lavorazione – dai revisori, dai redattori, dai correttori; perché questo è un altro mito da sfatare – il libro non è opera di un autore solitario (al massimo coadiuvato, in altri paesi, dai suoi traduttori): un libro è un’opera collettiva, a cui partecipano diverse figure professionali, molto spesso non percepite dal pubblico – ma estremamente incisive. Gli errori si cerca di evitarli, di ridurli al minimo, di eliminare quelli macroscopici… ma la perfezione resta una chimera.

Silvia Barsotti – Dalla stessa conferenza, che ho citato prima, ho appreso il fatto che lei è il frutto del connubio tra ambito scientifico e letterale, i suoi genitori infatti, appartenenti a mondi opposti, le hanno dato la possibilità di interessarsi a qualcosa che li unisse, come per l’appunto la traduzione, apparentemente un lavoro di ambito letterario, ma che come ha detto lei, presenta un appurato lavoro da scienziati: una prima lettura del testo, una seconda, la formulazione di ipotesi e la raccolta di dati e informazioni. Vedendo la lista dei libri da lei tradotti, non ho potuto non notare la grande passione verso l’ambito scientifico anche nel loro genere. Tutti questi libri parlano di argomenti complessi, perciò mi sorge spontanea una domanda: prima di tradurli ha dovuto intraprendere un percorso di formazione scientifica che l’ha portata a conoscere bene l’ambito?

Isabella Blum – Sul fatto che ambito scientifico e letterario siano mondi opposti, si potrebbe discutere a lungo. Spesso sono presentati così, ma in realtà il confine che li separa è molto meno netto di quanto spesso si dà ad intendere. Per rispondere alla domanda: io ho una laurea e un perfezionamento in Scienze biologiche; ho inoltre lavorato, come dicevo prima, per una casa farmaceutica. Quindi ho una formazione scientifica nel campo delle scienze biomediche che ovviamente mi risulta molto utile. Occorre però precisare due cose: in primo luogo, quello che è più importante a mio avviso non è tanto la vastità delle conoscenze in un campo specifico, quanto la forma mentis – in questo caso, una forma mentis scientifica. Se si ha un’impostazione di quel tipo, poi si riesce ad applicare quell’approccio anche a campi diversi. Del resto, e questo è il secondo punto, oggi non è pensabile essere pronti e competenti su tutti i temi della scienza. Perfino nel mio campo, quello della biologia, ci sono moltissime aree che mi sono meno note, e altre con le quali ho invece maggiore dimestichezza. L’importante in effetti è sapere dove e come muoversi per ottenere le informazioni che mancano. E poi un’altra cosa. Saper anche valutare quando occorre consultare qualcuno che sia più competente di noi in un certo ambito. Alcune informazioni relativamente generiche si possono reperire in autonomia, ma certi discorsi molto complessi vanno affrontati con l’aiuto di qualcuno che non li senta troppo alieni, toppo distanti da sé. Perciò: approccio scientifico, capacità di reperire informazioni valide e attendibili, capacità di individuare passaggi problematici che richiedono consulenze.

Silvia Barsotti – Ha avuto la possibilità di tradurre libri di importanti scrittori, partendo da Oliver Sacks, per poi passare a S.J. Gould e Antonio Damasio. Nel corso della sua carriera ha avuto la possibilità di entrare in stretto contatto con loro? Qual è il rapporto solitamente che si instaura tra autore e traduttore? É previsto uno scambio di opinioni tra i due?

Isabella Blum – Ho intrattenuto un colloquio esclusivo con loro «dialogando» sulle loro pagine per moltissime ore, specialmente con Sacks. Con nessuno ho avuto un rapporto al di fuori di questo (salvo un caso molto circoscritto, ultimamente: ho chiesto al mio autore un’informazione che mi era necessaria, e mi è stata data con infinita cortesia). So però di colleghi che invece intrattengono o hanno intrattenuto scambi molto intensi con i loro autori. Credo dipenda dalle circostanze, dal metodo di lavoro, anche dai problemi oggettivi che si incontrano durante la traduzione. In ogni caso, l’interpretazione di un testo deve poter essere affrontata anche a prescindere dallo scambio con l’autore – altrimenti ci precluderemmo la possibilità di tradurre le voci del passato.

Silvia Barsotti – Di recente, grazie anche ad un mio professore, ho potuto interessarmi ad uno degli autori di libri da lei tradotti, cioè Oliver Sacks. Ho adorato il modo di scrivere dei casi dei suoi pazienti, la sua grande empatia nei loro confronti e la sua voglia di parlare al mondo raccontando storie, che alle volte sembrano quasi provenire da un film, ma che al contrario sono reali, di cui lui è stato partecipe e nelle quali si è trovato di fronte a chi le ha vissute veramente. Vorrei sapere se le è piaciuto tradurre i suoi libri e quale in particolare, se anche lei è rimasta toccata dai suoi racconti e cosa ha provato nel doverli raccontare a sua volta.

Isabella Blum – Uno degli aspetti più belli della scrittura di Sacks, per me, è che – pur trattando di casi che ci appaiono davvero molto singolari, pur descrivendo situazioni che molti di noi non hanno mai incontrato né mai incontreranno nella propria vita, forse neanche per sentito dire – non scade mai nel sensazionalismo. Narra il vero, in tutta la sua incredibilità, sempre con un’ammirevole pacatezza, con rispetto della diversità. È una grande lezione, la sua – in un momento in cui molti pseudo-divulgatori si sentono in dovere di esasperare il dato scientifico, di fare della diversità un fenomeno da circo, di esaltarla presentandola come estrema, se non addirittura mostruosa – ecco: con la sua scrittura, Sacks ci dice che non occorre alcuna enfasi, nessuna spettacolarizzazione. La meraviglia della natura è nel suo essere sempre diversa, la meraviglia della scienza nel suo avere sempre una scheggia di ignoto da trascinare fuori dall’ombra. È tutto già talmente bello, che a noi basta descriverlo così com’è. Semplicemente. Il che non significa con freddezza, con distacco – anzi. In Sacks c’è sempre una straordinaria partecipazione umana, una grande empatia nei confronti dei suoi casi. Ma quest’empatia nulla sottrae al suo approccio essenziale, scientifico. Tutto questo è molto bello: è una grande lezione davvero. Da traduttrice, ovviamente, devo cercare di trasmettere la meraviglia, l’incanto, senza scadere nel sensazionalistico. Questo comporta, per esempio, una scelta molto attenta delle parole, la cui intensità deve essere calibrata con attenzione.

Silvia Barsotti – Come ultima cosa le vorrei chiedere di spiegare cosa ha significato per lei l’arte della traduzione negli anni e di fare un invito a tutti coloro che vorrebbero avviare un percorso in questo ambito.

Isabella Blum – La traduzione mi ha consentito di rimanere nel campo della scienza – non dalla parte di chi la fa, ma da quella di chi la racconta. Così facendo ho potuto assecondare non solo la mia passione scientifica, ma anche quella per la lettura, per la scrittura, in generale per la letteratura. E questo ha avuto un valore inestimabile per me. Soprattutto, mi gratifica il quotidiano esercizio della scrittura. Il che mi porta alla seconda parte della sua domanda. Il tema della scrittura in lingua madre è molto importante per chi desidera accostarsi alla traduzione.  Chi vuole tradurre deve pensare non soltanto ad affinare la conoscenza della lingua straniera da cui tradurrà. Né è sufficiente costruirsi una buona base in qualche settore specifico (arte, storia, filosofia, scienza). Occorre tenere sempre presente che il prodotto del nostro lavoro sarà in lingua italiana. La padronanza della scrittura non deve essere data per scontata. È qualcosa che va coltivato giorno per giorno, con grande cura. Chi vuole tradurre, chi vuole accostarsi alla traduzione, deve scrivere, quotidianamente, magari solo poche righe, ma con scrupolosa attenzione. Lo ripeto: la padronanza della scrittura in lingua madre non può e non deve essere data per scontata.

A chi vuole accostarsi a questo mondo, direi poi anche questo. In primo luogo, pensateci bene, e fatevi avanti solo se siete convinti, se siete davvero attratti. Non sempre traduciamo autori che amiamo. Non sempre traduciamo libri che – da semplici lettori – acquisteremmo in libreria. Allora l’amore per la traduzione non va confuso con l’amore per la lettura, per un dato argomento, o per un dato autore. Deve essere amore per il tradurre. Il piacere che traggo dalla mia attività, viene proprio dal tradurre – deve piacermi tradurre (a prescindere dal materiale che sto traducendo). Poi, ovviamente, quando capita di lavorare su autori con i quali ci sentiamo in sintonia, be’… quelli sono momenti enormemente gratificanti. Ma ad attrarre verso questa attività deve essere proprio l’operazione del tradurre, anche se il materiale su cui si lavora non è il massimo che ci si potrebbe augurare. Se facendo un’analisi di se stessi si scopre quel genere di passione, allora credo che si possa tentare l’impresa con buone probabilità di resistere alle difficoltà che immancabilmente ci si pareranno davanti.

Lascia un commento