di Irene Stefanini
Nella nostra società globalizzata le prestazioni che sono richieste sono sempre più alte. Partendo dall’infanzia fino alla vecchiaia attraverso mezzi di comunicazione, pubblicità e spettacolo, si viene bombardati costantemente da ideali di perfezione e felicità, difficilmente raggiungibili nella vita di tutti i giorni; ci mandano modelli stereotipati per i quali bisogna essere magri, belli, felici e con una bella macchina o una casa sempre in ordine, andando in palestra e uscendo la sera con gli amici; al contrario però nella quotidianità ci è richiesto di lavorare sempre, non avete mai un momento libero e non stare mai male. Le pubblicità sono l’esempio più eclatante: si susseguono quelle degli aperitivi dove si vedono solo persone felici che si divertono a quelle dei medicinali che al primo accenno di malessere ti fanno stare subito meglio.
Tutti questi messaggi entrano nella mentalità dei bambini fin da piccoli che, sottoposti alle pressioni, spesso o crescono troppo in fretta o al contrario non crescono mai: così si è arrivati ad una nuova generazione di adolescenti dove si affiancano eterni Peter Pan che non si preoccupano delle conseguenze e agiscono come se fosse l’ultimo loro giorno ad adulti in miniatura che sotto il peso delle richieste del mondo vengo sopraffatti. Pure gli anziani subiscono questa condizione, rifiutando così il naturale processo di invecchiamento: come la donna di Pirandello, i nostri vecchi si atteggiano ancora a ragazzini, credendosi invincibili e giovani, non fermandosi mai e sottovalutando i segni del tempo che avanza sul loro corpo e sulla loro salute.
Il nostro corpo spesso prova a inviarci segnali di questo “surriscaldamento”, ma a questi si reagisce al contrario di come dovremmo: invece che fermarsi per riprendere un po’ di forze, ci si imbottisce di farmaci e antidolorifici con il solo scopo di star bene prima possibile e ricominciare tutto quello che era stato momentaneamente interrotto.
Ormai non si accetta più di non riuscire a far qualcosa e si sente il bisogno di essere tutti tuttologi e esperti in qualsiasi cosa: Socrate nell’antica e fiorente Atene classica disse: “so di non sapere” e dimostrò che tutti coloro che si reputavano tanto sapienti, alla fine avevano solo una conoscenza superficiale e limitata; così, bisognerebbe ragionare ancora oggi. La scuola cerca di formare degli individui completi dimenticando che ognuno ha delle caratteristiche e capacità e intelligenze proprie, perciò non ha senso pretendere dagli alunni di scuole più avanzate come le superiori competenze non necessarie all’indirizzo di studi che essi hanno scelto, perché si finisce soltanto per sprecare forze, sfruttabili per qualcosa che realmente amano fare.
Nella nostra “società del benessere” si è abituati a chiedere continuamente diritti e libertà senza però ricordarci che queste molto spesso ricadono, più o meno indirettamente, sulla vita degli altri condizionando e stabilendo le loro azioni e comportamenti; citando Spider-Man, “da grandi derivano grandi responsabilità”, perciò è importante ricordare che a un diritto corrisponde sempre un dovere e che non bisogna mai ignorare i bisogni e diritti degli altri a favore dei nostri. Quindi bisogna smettere di pretendere soltanto, di chiedere e non dare, sia agli altri sia a noi stessi; la frustrazione e lo stress prodotti dalla richiesta di prestazioni troppo alte portano solo a disprezzo, invidia e odio in una società che invece ha bisogno sempre di più di unione e comprensione.