di Alessandro Rosati
L’emergenza Covid-19 ha costretto il Governo Italiano a decretare la chiusura quasi totale delle attività del Paese. La Penisola è rimasta bloccata come in un’istantanea e l’economia, già abbastanza debole, rischia di essere messa in ginocchio.
Aumento della disoccupazione, fallimento delle imprese, diminuzione di diversi punti percentuali del Prodotto Interno Lordo e del valore delle azioni. Queste sono soltanto alcune delle conseguenze a cui andrà incontro l’Italia se non verranno prese misure tempestive, di cui per ora si è visto poco.
In un clima di incertezza ci si aspetta dunque una presa di posizione forte e decisa da parte del Governo e delle istituzioni Europee. Sin dal primo momento in cui l’Italia (e gradualmente tutto il Vecchio Continente) si è trovata a fronteggiare l’emergenza, l’Unione Europea non è rimasta unita sulla stessa linea politica frantumandosi alle prime divergenze tra paesi. Il Premier Giuseppe Conte e il Governo Italiano hanno immediatamente sottolineato il bisogno urgente di aiuti per la situazione economico-sanitaria disastrosa. Alla chiamata dell’Italia non ha risposto nessuno, o meglio, Germania e Olanda su tutte hanno manifestato la loro perplessità riguardo l’elevata quantità di fondi richiesta. La poca disponibilità di alcuni Stati membri si spiega molto semplicemente: il rischio di non ricevere indietro gli aiuti inviati è alto. Effettivamente, le richieste del Premier prevedono risorse a fondo perduto, dunque con la possibilità di non essere restituite.
Le trattative si sono arenate e l’UE dopo ciò ha dato un primo grande segnale di fragilità. Il 13 Marzo infatti la Presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde ha dichiarato che non avrebbe evitato l’aumento dello spread, il valore che indica la differenza tra la rendita dei titoli di Stato Italiani (BTP) e quelli Tedeschi (BUND). Le dichiarazioni hanno avuto un effetto drammatico sull’economia dell’Europa e in particolare dell’Italia, che si aspettava una diminuzione del Tasso d’interesse Europeo (la percentuale di interessi sui fondi prestati dalla BCE alle banche) e che invece ha visto la Borsa di Milano toccare il suo minimo storico al -17%. Si trattava solo dell’inizio di una lunga serie di polemiche e trattative.
Ad oggi, a più di un mese di distanza, l’Eurogruppo ha proposto diverse manovre economiche e l’Italia non ha ancora deciso a quale aderire. Noi intanto abbiamo deciso di fare un po’ di chiarezza.
Mes
Abbiamo purtroppo imparato a conoscerlo per le polemiche che hanno coinvolto il Governo e l’opposizione ormai più di una settimana fa. Il suo nome completo è Meccanismo Europeo di Stabilità o Fondo Salva-Stati, passato poi alla scena politica come “Mes”.
Fu istituito il 25 Marzo 2011 e circa 5 mesi più tardi il Quarto Governo Berlusconi annunciò la sua approvazione. Il Fondo entrerà in vigore solo un anno dopo, ufficialmente l’8 Ottobre 2012, quando nel frattempo Mario Monti aveva preso il posto del “Cavaliere” a Palazzo Chigi (da qui nasce l’attuale divergenza Premier-Opposizione).
Vi starete chiedendo in cosa consiste. Bene, in poche parole si tratta di un fondo, gestito tra gli altri anche dal Presidente della BCE, a cui gli Stati in difficoltà possono attingere per un importo pari al 2% del loro Prodotto Interno Lordo. L’Italia contribuisce regolarmente (dunque versa nelle casse Europee) con 14 Mld e il Fondo le garantirebbe una cifra che ammonta a 37 miliardi di Euro.
Il Mes ha però due facce. Non trattandosi di aiuti a fondo perduto, le condizioni di restituzione imposte sono molto rigide, tanto da impedire a uno Stato di esercitare il proprio diritto di voto in caso di ritardo nel pagamento (Art. 4 C. 8 del Trattato MES).
La versione del Fondo Salva-Stati varata dall’Eurogruppo ormai più di due settimane fa è stata più volte definita “light”. L’Emergenza Covid-19 ha infatti convinto l’UE a eliminare le condizioni per la restituzione degli aiuti: i fondi dovranno essere destinati esclusivamente al settore sanitario e le finanze dei Paesi aderenti monitorate da Commissione Europea e BCE secondo un principio di “sorveglianza rafforzata”.
SURE
Letteralmente si traduce con “sicuro”. Il suo scopo è mettere in sicurezza, appunto, i lavoratori e le aziende che a causa dell’emergenza si sono trovati sull’orlo del baratro.
La bancarotta delle aziende implica però il licenziamento di centinaia di dipendenti, l’aumento della disoccupazione e il tracollo dell’economia.
L’UE è intervenuta, non senza qualche ritardo, anche su questo tema. In quel di Bruxelles infatti conoscono bene l’importanza economica di Milano e Madrid, le zone industriali maggiormente colpite.
Dunque lo “State sUpported shoRt timE-work”, acronimo di SURE, è stato istituito principalmente per la cassa integrazione dei dipendenti (lo “stipendio” distribuito dallo Stato a chi è impossibilitato a lavorare) e di conseguenza per alleggerire il carico sulle imprese.
Si tratta di un fondo da 100 mld di Euro a cui tutti i Paesi contribuiscono e da cui possono attingere. La cifra stanziata non è indifferente (ammonta infatti quasi all’1% del PIL Europeo) e il Premier Conte si è ritenuto soddisfatto purché sia un “passo significativo verso un più ampio intervento che dovrà darà il senso di un’Europa forte.”
Eurobond/Coronabond
Ostacolati da Germania e Olanda, richiesti dal Governo Italiano, ma contestati da parte dell’Opposizione, gli Eurobond hanno acceso un dibattito senza eguali.
Si tratta di obbligazioni o titoli, detto in gergo specifico. Il loro funzionamento è semplice: i vari Paesi possono richiedere un prestito alla BCE e il debito a cui vanno incontro (da restituire solitamente entro 10 anni) grava sulle spalle di tutti gli Stati Membri e non solo dell’usufruente del prestito. Probabilmente un’ipotesi utopica, perché le resistenze da parte dei Paesi con un’economia più florida, che ovviamente si fanno maggior carico dei debiti, sono sin dal 2011 decise e irremovibili.
Recovery Fund
Il Recovery Fund non dista molto da Eurobond e Mes, è in fondo un compromesso tra le due manovre che hanno diviso l’Europa. Si tratta sempre di un sistema di prestiti, basato su obbligazioni e restituzioni con interessi: un fondo comune a cui gli Stati possono attingere e a cui devono contribuire. Sono ancora diversi i nodi che l’Eurogruppo sta cercando di sciogliere. La portata economica della manovra, su tutte, vede uno scarto di quasi 1200 mld tra le richieste del Premier Conte (1500 mld) e quanto stabilito dalla Commissione Europea finora (320 mld). Anche i prestiti generano divergenze: da un lato il Governo Italiano e quello Spagnolo chiedono aiuti a fondo perduto, dall’altro alcuni dei membri preferiscono veder restituiti i debiti, pur con lunghe scadenze (25-30 anni) e interessi molto bassi.
L’UE dunque con il Recovery Fund sembra aver finalmente trovato un’intesa, e non si può dire che l’abbia fatto con tempestività. Entro il 6 Maggio la Commissione Europea presenterà la proposta e forse allora potremo davvero ripartire.