di Chiara Bertani
Che cos’è l’amicizia? Il dizionario Treccani la definisce come: “vivo e scambievole affetto fra due o più persone, ispirato in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima”, ma credo che nessuna persona risponderebbe lo stesso se le venisse posta questa domanda, perché l’amicizia è molto più di questo e perché ne esistono svariati tipi, che è impossibile racchiudere sotto un’unica semplice definizione.
È circa dal V secolo a.C. che questa parola è in uso, infatti fu Empedocle ad utilizzarla per la prima volta, esprimendo il concetto con il termine greco φιλία. L’antico filosofo l’ha descritta come un principio fisico e divino, che agisce come una sorta di forza di attrazione, determinando l’aggregazione degli elementi e la composizione delle cose, in opposizione a Νεῖκος, che significa odio e comporta la separazione degli elementi. La teoria di Empedocle ha anticipato diversi concetti presenti nella maggior parte delle riflessioni svolte da filosofi successivi a proposito dell’amicizia, in primo luogo il fatto che l’amicizia unisca, congiunga. Poi è significativo che venga utilizzato un termine con significato di amicizia ma anche di amore. In effetti, è labile la differenza fra i due sentimenti, tant’è che anche i filosofi latini si sono serviti del termine philia, che descrive un rapporto basato su varie forme di affetto, insieme alla dimensione amorosa.
Importante anche il fatto che, secondo lui, l’uomo sia in grado di conoscere le cose che lo circondano, perché riconosce i 4 elementi che le compongono e di cui anche lui stesso è costituito, teoria racchiusa nell’espressione “il simile conosce il simile”. A proposito, tutti noi conosciamo il detto “chi s’assomiglia si piglia”, ma abbiamo anche sentito dire “gli opposti si attraggono”: quale espressione è corretta?
Platone ha tentato di scoprirlo in Liside, ma non è giunto a nessuna conclusione: crede che l’amicizia tra simili non abbia senso, poiché è inutile circondarsi di persone che hanno le nostre stesse capacità; neppure quella tra opposti lo è, perché un uomo giusto non ha alcun motivo di desiderare la compagnia di uno malvagio.
Al contrario, Aristotele crede che, a seconda che gli amici siano tra loro simili o no, nasceranno diversi tipi di amicizia. Tra i contrari sarà facile che sorga un’amicizia basata sull’utile, ovvero in cui i due si amano “in quanto deriva loro reciprocamente un qualche bene” e ognuno guadagna ciò di cui difetta, donando ciò che ha. Altrimenti, possono nascere due tipi di amicizia: nel primo, vengono considerati simili coloro che hanno interessi e gusti comuni, tra cui si instaura un’amicizia basata sul piacere, non duratura, in quanto interessi e gusti sono mutevoli. Nel secondo, le persone sono dette simili perché entrambe buone e virtuose e, essendo la virtù stabile, sono destinate a rimanere amiche e volersi reciprocamente bene a lungo.
Aristotele, nell’Etica Nicomachea indica quest’ultima come l’amicizia perfetta, in cui “amando l’amico si ama il proprio bene; infatti la persona buona quando diviene amica, diventa un bene per colui al quale è amica.”, ciò significa che questa è vantaggiosa per entrambi in quanto li conduce al raggiungimento del “giusto mezzo” nel proprio modo di pensare, di agire e di essere.
Le prime due amicizie sono molto comuni, mentre la terza è molto rara, perché c’è bisogno di tempo prima che tra due persone si sviluppi un tale affetto reciproco. D’altronde, come dice Spinoza al termine della sua Etica, “tutte le cose più splendide sono tanto difficili, quanto rare”. Per questo motivo ognuno di noi può avere solo pochi amici veri; ma non dobbiamo dispiacerci! È molto meglio così per motivi pratici: infatti se ne avessimo tanti, sarebbe impossibile dedicare tutte le nostre attenzioni e il nostro tempo ad ognuno di loro. Quindi, come si suole dire, meglio pochi ma buoni! È di quest’idea anche Cicerone, che stima migliore l’amicizia virtuosa, disinteressata piuttosto che quella fondata sull’utilitas, prediletta dalla maggior parte dei precedenti filosofi romani.
Finalmente nel 700 è stata data una definizione ufficiale di amicizia dagli autori dell’Encyclopedie, secondo i quali essa nasce dall’insufficienza del nostro essere e finisce se nessuno dei due vuole rinunciare al personale amor proprio. Tra gli illuministi, poi, ha trattato il tema dell’amicizia il Jean Jacques Rousseau, che vede questo tipo di relazione come necessario e naturale, ma anche come causa di tradimenti e dissensi, quindi di dolore; la sua idea è influenza dalla sua esperienza personale, ovvero dall’abbandono da parte degli amici, che lui rispettava e amava (o almeno così sosteneva lui…).
Un altro filosofo famoso che ha reso pubblico il suo pensiero a riguardo è Kant, definendo l’amicizia come “unione di due persone legate da un uguale reciproco rapporto d’onore e rispetto” e “fiducia assoluta che due persone si dimostrano l’una verso l’altra, comunicandosi reciprocamente tutti i loro più segreti pensieri e sentimenti”; risulta chiaro che anche lui consideri come vera amicizia quella fondata sul bene e sulla virtù, proposta da Aristotele, in cui l’amico vuole e fa il bene dell’altro, condivide con lui gioie e dolori e gode della sua compagnia. Inoltre, Kant ribadisce il concetto espresso da Aristotele, secondo cui le amicizie con buone intenzioni sono poche, ma invita a comportarsi in maniera amichevole con tutti.
Voglio parlare infine di uno scrittore che è stato anche un filosofo, Hermann Hesse, che ha dedicato gran parte della sua produzione a questo tema. In particolare, ha scritto un romanzo intitolato proprio Amicizia, in cui racconta l’allontanamento di due adolescenti tedeschi, amici dall’infanzia. Hans è un ragazzo intelligente e deciso, ma anche orgoglioso, spocchioso e sicuro della propria superiorità su tutti gli altri; mentre Erwin, debole e timido, era sempre stato il suo imitatore e aveva vissuto la sua vita, stando al suo fianco come un ascoltatore, un complice, ma non come un amico, senza essersene mai reso conto. I due vivono la separazione in maniera diversa, Hans non pensa all’amico e si allontana dalla città con Wirth, uno studente appassionato di filosofie orientali, che viveva in maniera quasi ascetica, spinto dalla ricerca della perfezione spirituale. La personalità di Hans cambia enormemente, poiché si sente pronto a subordinarsi e accettare la superiorità di un altro per la prima volta.
Erwin, invece, soffre molto per la perdita del suo compagno di avventure e inizia a frequentare le osterie, intrattenendosi con “dell’umorismo maligno, un linguaggio impudente e un aperto cinismo”. Qua conosce Elvira, una giovane donna dalla bellezza perversa che le dava potere sugli uomini, così, dopo aver sacrificato il suo unico amico in cerca di libertà, Erwin si è sottomesso volontariamente ad una “civetta imperiosa”. Entrambi hanno sbagliato: la strada giusta di Hans non è vivere come un eremita e quella di Erwin non è passare tutto il tempo libero nelle locande, dipendente da un’altra persona, ed entrambi se ne sono accorti.
Tutta questa vicenda è servita loro per crescere, diventare indipendenti, maturi, conoscere se stessi e capire cosa vogliono dalla vita. Evidentemente Hans ed Erwin erano convinti di aver instaurato un’amicizia perfetta, ma in realtà il loro rapporto era privo di un requisito fondamentale, ovvero la reciprocità. La loro era una di quelle amicizie che, al giorno d’oggi, vengono chiamate tossiche, poiché Hans non riusciva a mettere a fuoco nulla, se non se stesso e i suoi bisogni, sfruttando la presenza di Erwin.
Effettivamente è molto comune che le amicizie tra due persone degenerino e ciò può avvenire in diversi modi e portare diverse conseguenze. Un caso è, appunto, “l’amicizia tossica”, da cui uno solo dei due trae vantaggio, a discapito dell’altro. Oppure, ho conosciuto più di una ragazza insicura e timida, che sente il bisogno di avere un’amica del cuore, una sola persona che le stia sempre accanto, che sia sempre disponibile per lei e che stia sempre dalla sua parte; quando la trova, le due smettono di frequentare gli altri amici, pensano di essere sufficienti l’una per l’altra e di completarsi a vicenda. È decisamente sbagliato limitarsi in questo modo, perché l’amicizia dovrebbe migliorarci e aprirci agli altri, non farci chiudere in noi stessi. Poche volte chi si trova in queste situazioni se ne rende conto da solo, e anche in quei casi non riesce ad uscirne facilmente: teme la reazione dell’amico, è convinto di aver bisogno di lui, non crede di poter trovare altri amici e così via.
Purtroppo, cose del genere accadono e, purtroppo l’amicizia può portare anche tante delusioni, ma non dobbiamo permettere che la paura di essere feriti ci impedisca di abbandonarci a quello che è il miglior sentimento esistente: l’amore. Avere degli amici che ti amano per quello che sei e che tu ami a prescindere da tutto è indispensabile per la felicità.