di Alessandro Rosati
Un sorriso. Cara estate, cara maledettissima estate, ci siamo. Siamo arrivati a quel fatidico momento dell’anno, quando guardarsi indietro è la cosa più difficile da fare. Difficile, sì, ma anche terribilmente bello. Settembre arriva come uno schiaffo: forte, netto, cinico. Sembra quasi voglia svegliarci dal torpore in cui la bella stagione ci ha fatto piombare. E ci dispiace, perché in quel torpore si sognava davvero bene. Ma i sogni, si sa, sono destinati a rimanere tali. Utopie sospese nell’irrimediabile fugacità di questo mondo.
Proprio come dopo un bel sogno, siamo costretti a guardarci indietro, nel tentativo di catturare anche il minimo dettaglio di quella fantastica parentesi di felicità. Nel frattempo rimane un grido di gioia strozzato, una sensazione di euforia smorzata, troncata, sradicata e calpestata dallo squallido grigiore della condizione umana. Troppo drastico? Sì, forse, ma neanche troppo. Dipende dai punti di vista.
Ad ogni modo, torniamo a noi: guardarsi indietro. Una foto, una canzone, un gesto: tutto può scaturire un ricordo. E allora inevitabilmente il volto si deforma quasi contro la nostra volontà: un sorriso solca profondamente il viso, quasi lo tagliasse a metà. E mentre taglia il viso, squarcia la tela del presente per ripresentarsi prepotente con in mano il passato. E intanto noi, pittori di un quadro che forse neanche vogliamo dipingere, restiamo attoniti. Ricordi e malinconia ci trasportano in una dimensione surreale, dove nel presente ricerchiamo il passato e nel futuro una speranza vana. Che terribile e fantastica illusione la vita. Illusi, sì, che l’euforia dei momenti possa durare per sempre. Non è così, c’è da farci l’abitudine. Bisogna sempre ricordare che dopo ogni Agosto c’è un Settembre dietro l’angolo, pronto a uccidere. Certo che così si vive male. Senza dubbio, ma dipende tutto dai punti di vista, l’ho già detto.
Le opzioni sono due. Vivere il momento, abbandonarsi completamente al dolce cullare della spensieratezza, per poi lasciarsi sorprendere dalla normalità? Oppure rimanere guardinghi, sempre con un occhio aperto, perché così parare i colpi è più facile?
In questo ultimo caso non resta che abituarsi alla mediocrità. Non nel senso negativo del termine, ma semplicemente per intendere che saranno al bando le emozioni forti, nel bene e nel male. Nel primo caso invece è come essere su una montagna russa: ora vivi, ora muori. Continuamente. Ciclicamente. Un’esistenza fatta di massimi e di minimi che non conoscono mezze misure. O Inferno o Paradiso, il Purgatorio esiste solo per chi si pente.
Ecco un’altra regola: guardarsi indietro è umano, ma pentirsi è diabolico (non me ne vogliano i fedelissimi, è solo un gioco di parole).
Ci rifletto in una notte di fine estate, senza luna. La consapevolezza di essere alla fine di un qualcosa è tangibile.
“Sai che ti dico?” penso a un tratto “Non mi pento di nulla”. Lo dico anche alle stelle, chissà se capiscono. Qualsiasi scelta, giusta o sbagliata, fa parte di questa mia e nostra esistenza. E per quanto le responsabilità pendano come spade di Damocle sulle nostre teste, non c’è il tempo di pentirsi. Bisogna vivere, vivere, vivere. O almeno provarci.
Allora posso sorridere, perché il ricordo strugge ma non uccide (almeno questo tipo di ricordi). Non mi pento delle notti in bianco, delle giornate al mare, della sabbia nelle scarpe, delle cazzate, delle risate, dei pianti, delle decisioni importanti e di quelle di poco conto. Non me ne pento, per quanto ora le veda sfumare per sempre.
Eppure c’è qualcosa che rimane, nello sfuggente tramonto della stagione: le persone. Quelle sì che rimangono. Anche se poi scompaiono dalle nostre vite, lasciano un qualcosa. Una storia, un consiglio, un monito, un’esperienza, un sorriso, un abbraccio, un bacio o anche la semplice consapevolezza di aver interagito con un altro granellino di sabbia nella spiaggia infinita dell’essere. Tu ti ricorderai di loro e loro di te, anche tra cent’anni. Perché certi momenti non si scordano. Ci si può scordare di tutto, ma dei momenti di pura felicità no. Mai. Sono sogni che non fanno svegliare.
Tanti anni fa Sergio Endrigo cantava “i sogni belli non si avverano mai”. Per Dio se aveva ragione. Però quanto è bello sognare, anche se svegliarsi fa terribilmente male.