Un rifiuto esemplare5 min read

di Lorenzo Nardi, Chiara Perrone e Caterina Simonetti

Il 28 agosto 1931 sulla Gazzetta Ufficiale apparve il decreto n.1227 che all’articolo 18 obbligava i docenti universitari a giurare devozione alla patria e al regime fascista. La richiesta del regime imposta agli oltre 1200 professori fu rifiutata da soli 12 in tutta la penisola, i quali, a seguito della loro dignitosa decisione, persero la cattedra. É necessario ricordare che solo un professore di storia dell’arte non aderì al giuramento, il modenese Lionello Venturi.

Nel 1907 inizia la sua carriera di storico dell’arte come ispettore nelle gallerie di Roma e Venezia. Nonostante fosse immerso completamente nel mondo dell’arte, egli non si isolò mai dal contesto sociale e politico che lo circondava tanto da partecipare come volontario alla Grande Guerra con il grado di tenente. In anni nei quali l’università italiana comincia ad indossare con disinvoltura la camicia nera, Venturi si defila dalle iniziative identificabili con il regime ricevendo un richiamo dal Ministro dell’Educazione Nazionale. “Non mi è possibile d’impegnarmi a formare cittadini devoti al regime fascista, perché le premesse ideali della mia disciplina non mi consentono di far propaganda nella scuola per alcun regime politico”, così scrive Lionello nella sua missiva al Rettore torinese respingendo l’invito a prestare giuramento. Negli anni seguenti si esilierà volontariamente a Parigi, dove aderirà al nucleo antifascista di Giustizia e Libertà e poi negli Stati Uniti, trovando nella “Mazzini Society”, organizzazione liberal-socialista, democratica e repubblicana, un luogo di conforto.

Dopo la liberazione di Roma nel ’44 Venturi rientra in Italia sotto il governo Bonomi, il quale reintegra i docenti universitari licenziati nel 1931. Circa 10 anni dopo si ritira dall’insegnamento e morirà nel 1961 nella capitale. Nello stesso anno, scrive una lettera a Giancarlo Vigorelli, giornalista e scrittore italiano, che può apparire come una sorta di testamento spirituale: “È finito il Fascismo in Europa? Nemmeno per sogno; esso diviene ogni anno più pericoloso, perché ha insegnato a tutti a fare il proprio comodo a dispetto della vita sociale, e ci vuole tempo a riparare una simile diseducazione morale. Dovrebbe essere più facile combattere la forza politica del fascismo. Esso è nato, ha vissuto, e continua dopo morte, sulla base di un ricatto: il pericolo comunista. Chi accetta un ricatto è un vile, e bisogna respingerlo, sia con la forza della nostra fede nella libertà, sia per la convinzione di appartenere a una civiltà superiore”.

Il Professor Venturi e gli altri 11 docenti hanno rifiutato apertamente di giurare fedeltà al regime fascista, compiendo un atto di grande valore morale e civile sapendo di sacrificare carriera e opportunità di lavoro in nome dell’autonomia dell’insegnamento e del supremo ideale della libertà. Lionello Venturi è stato un uomo coerente alle sue idee e al valore dell’istruire senza infondere idee politiche nonostante il fascismo lo imponesse. Infatti, attraverso gli atti e le parole di Venturi, si può dedurre quanto possa essere importante lottare per i propri ideali.

Questi 12 professori hanno avuto il coraggio di esprimere un’idea “controcorrente”, una scelta complicata anche nella società odierna in cui noi giovani siamo spesso chiamati ad esprimere la nostra opinione, ad esempio riguardo un tema di attualità. Spesso però siamo soggetti ad influenze esterne, provenienti soprattutto dai social network, per questo ci limitiamo ad aderire a posizioni già espresse da altre persone o preferiamo addirittura restare imparziali, credendo che l’opinione del singolo non abbia alcun impatto sull’esterno. Ci sbagliamo perché è fondamentale difendere le proprie idee quando crediamo che la nostra visione sia più giusta rispetto a quella della maggioranza, anche se questo potrebbe comportare la nostra emarginazione dal “gruppo”. Ovviamente non sempre il nostro pensiero sarà quello giusto, ma sbagliare sapendo di aver agito secondo la propria volontà è piu ragionevole che seguire un’idea comune che non condividiamo, anche se si dovesse rivelare migliore, così da non avere rimorsi. Le nostre azioni devono sempre corrispondere ai valori che portiamo dentro e mai a quelli supportati dalla società.

Oggi, a distanza di quasi un secolo, siamo tutti capaci di riconoscere chi ha compiuto la scelta giusta e chi quella sbagliata, ma la verità è che ognuno di noi, pur di sopravvivere, probabilmente, avrebbe pensato a sé stesso, alla propria famiglia e quindi avrebbe accettato di sottostare a un regime ostile. Il coraggio di opporsi anche a costo della propria vita contraddistingue poche persone, degne di essere elogiate e ricordate nei secoli, persone capaci di lasciare le loro nobili impronte in una strada già segnata dall’indifferenza e dal male. Sono proprio quelle impronte, così lievi ma essenziali che ci permettono oggi di ripercorrere la storia del nostro passato e di conoscere queste personalità che hanno cambiato il modo di approcciarsi alla realtà e ci hanno insegnato a difendere le nostre idee.

Il nostro compito non è dunque quello di giudicare un passato già scritto, ma di mantenere vivo il ricordo di coloro a cui ci ispiriamo ogni giorno, ringraziandoli in questo modo per il futuro che hanno costruito per noi.

Nelle scelte di ogni giorno dovremmo ispirarci a grandi personaggi della storia, i quali hanno avuto il coraggio di lottare contro regimi avversi o organizzazioni criminali, come hanno fatto Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e tutti coloro che lottarono contro la mafia e morirono perseguendo la giustizia: non persero mai  la speranza, la forza d’animo e la convinzione che ogni loro azione avrebbe portato alla distruzione di un sistema ben radicato e potente come Cosa nostra, sebbene fosse un obiettivo sicuramente complesso da raggiungere.

Vorremmo concludere con una frase che riteniamo particolarmente significativa:“È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola” disse Borsellino e le sue parole fanno ancora venire i brividi se pensiamo al momento in cui le pronunciò, poco dopo la morte del suo amico e collega Giovanni Falcone.

 

Lascia un commento