di Gabriele Billet
Il Lamento della Pace (Querela Pacis), composto nel 1517 da Erasmo da Rotterdam, è il più celebre scritto pacifista dell’autore, ed è tutt’ora considerato una pietra miliare nella storia del pacifismo europeo.
Il testo – steso nel contesto di un’Europa insanguinata e straziata da violenti conflitti armati, coinvolgenti gli Stati europei, ivi compreso quello della Chiesa- risulta portatore di un messaggio estremamente moderno ed attuale: il ripudio della guerra.
Lo scritto viene espressamente dedicato dall’autore a Filippo di Borgogna, il quale, proprio nel 1517, era stato nominato vescovo di Utrecht; in lui infatti Erasmo riponeva la speranza di una figura che potesse rendersi garante della pace in una situazione estremamente conflittuale quale quella dell’epoca contemporanea del 1500.
Erasmo si propone nel Lamento della Pace quale pacifista radicale ante litteram, esponente della tesi del rifiuto totale della guerra, in quanto del tutto incompatibile, per l’autore, non solo con le massime evangeliche, ma anche con la razionalità umana; in tal senso Erasmo si presenta come portatore di un potente messaggio pacifista, secondo il quale occorre perseguire la tutela e la difesa della pace, ripudiando incondizionatamente la guerra e la violenza.
In tal senso la Pace viene dunque personificata da Erasmo e resa protagonista di un vero e proprio lamento, che è rivolto a tutti gli uomini ed in particolare ai cristiani, i quali, per primi, dovrebbero farsi difensori della pace nel seguire il messaggio evangelico.
La Pace personificata si lancia inoltre in una denuncia della guerra, della violenza e della discordia, e quindi in una vera e propria accusa nei confronti dei potenti, i quali permettono alla guerra e alla discordia di dilagare in nome di meri interessi personali e di brame di potere.
La Pace, nel suo lamento, si dichiara quindi delusa ed amareggiata dal comportamento degli uomini, che la rendono esule ed incapace di trovare un rifugio nel mondo; solo la ragione e la capacità intellettiva dell’uomo, unico essere vivente cui la natura ha fornito i requisiti essenziali per poter garantire la pace, possono intervenire a salvarla. Ad esse (la ragione e l’intelletto) e all’uomo che ne è dotato la Pace infatti si appella: “cosa indegna e più che mostruosa è che solo un animale la natura ha creato capace di ragione e in grado di avere una mente divina, uno solo dotato di benevolenza e concordia; e tuttavia io troverei un miglior trattamento presso le fiere più feroci, presso qualsiasi gregge brutale che presso gli uomini” (Erasmo da Rotterdam, Il Lamento della Pace, in “Elogio della Follia e altri scritti”, ed. Garzanti maggio 2015 a cura di Roberto Giannetti, pag. 172).
Gli uomini, dunque, non garantendo la pace, vanno contro la loro stessa natura, calpestano la ragione e l’intelletto di cui sono dotati ed impediscono a loro stessi di essere felici. L’uomo, che in questo caso è indubbiamente un uomo faber fortunae suae, non è tuttavia, secondo Erasmo, in grado di comprendere che solo la Pace può garantirgli la felicità e la salvaguardia della dignità umana; ed è così che -permettendo alla guerra, alla discordia, all’odio e alla violenza di dilagare- è egli stesso la causa dei propri mali, condannandosi ad una condizione di infelicità.
La Pace, d’altra parte, di fronte ad un comportamento tanto irrazionale e folle degli uomini, non può far altro che commiserarli, e dunque, proprio nell’incipit del libro, è la Pace che dichiara: “se i mortali, non certo a causa mia che non ne ho colpa, ma per loro interesse mi attaccassero, mi scacciassero e mi annientassero, allora io deplorerei soltanto l’ingiuria a me fatta, e la loro iniquità. Ma quando scacciano, insieme a me, anche la fonte di ogni umana felicità e fanno venire un mare di tutte le disgrazie, la loro infelicità è da compiangere più dell’ingiuria che fanno a me. Avrei preferito semplicemente adirarmi con loro, e invece mi vedo costretta a dolermi della loro sorte e a commiserarli’’ (ivi, pag. 171)
Cosa ancora più scandalosa ed assurda del rifiuto della pace da parte dell’uomo in sé, è del resto, per Erasmo, il rifiuto della pace ed il perseguimento della guerra da parte dell’uomo cristiano, il quale, oltre alla ragione, ha da seguire altresì, i precetti di uguaglianza, fratellanza ed amore reciproco, anche nei confronti del proprio nemico; precetti che dovrebbero spingerlo al rifiuto totale ed incondizionato di ogni forma di ostilità.
Per Erasmo, dunque, la guerra non ha alcuna giustificazione, e non vi è guerra che possa essere chiamata “santa”, in quanto i “soldati di Cristo” non combattono con le armi, ma agiscono sempre come difensori della pace; è quindi inconcepibile, nel pensiero di Erasmo espresso nel Lamento della Pace, che coloro che si dichiarano cristiani possano osare imbracciare le armi, diventando soldati al servizio della guerra, e in tal modo spargendo il sangue di altri esseri umani.
La Pace in persona a questo punto, dunque, legittimamente si domanda, ripercorrendo la preghiera fondamentale del cristiano: “a che scopo durante le funzioni il soldato prega il pater noster? O bocca crudele, tu osi invocare il padre, mentre insegui la gola del fratello? Sanctificetur nomen tuum: chi mai avrebbe potuto disonorare maggiormente il nome di Dio di voi che lo invocate in mezzo ai tumulti? Adveniat regnum tuum: è questo che preghi mentre con tanto sangue costruisci la tua tirannide? Fiat valuntas tua quemadmodum in caelo ita et in terra: lui vuole la pace e tu prepari la guerra. Chiedi panem quotidianum tu che bruci le messi di tuo fratello e preferisci morire tu stesso che aiutarlo? Ma come può mai dire et dimitte nobis debita. nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris chi si appresta al parricidio? Deprechi il pericolo della tentazione tu che, a rischio della tua stessa vita, metti in pericolo tuo fratello? A malo liberarli chiedi tu che, per istinto del male, proteggi la rovina di tuo fratello?” (ivi, pag. 193).
Emerge così nel testo, piuttosto chiaramente, il carattere di accusa, di denuncia e di critica, neppure troppo velata, della Querela Pacis nei confronti dei potenti e delle istituzioni soprattutto ecclesiastiche, le quali permettono l’affermazione della guerra, dell’odio e della discordia contrariamente all’insegnamento cristiano oltre che ai principi morali dettati dalla ragione umana.
Alla luce dei contenuti del testo e delle riflessioni operate in esso dalla Pace, secondo il pensiero di Erasmo, è dunque innegabile la sconfortante attualità dell’opera erasmiana.
Erasmo è certamente un uomo che vive nel suo tempo, conformato agli usi e costumi della società del ‘500, e spesso anche concorde con i luoghi comuni della sua epoca; e tuttavia, attraverso la scrittura del Lamento della Pace – uno scritto che è tutt’altro che un’opera utopistica ed intellettualistica di un pacifista incapace di realismo politico – egli, come avevano fatto ad esempio i filosofi greci, cerca di educare la società del tempo e di innalzarne il livello di etica e di civiltà. Egli si fa, cosi, portatore di un messaggio pacifista valido nel tempo, di grande impatto, sia nel mondo cinquecentesco sia in quello moderno, in cui la pace ha ancora motivo di “lamentarsi” e di gridare a gran voce la sua accusa.