di Lorenzo Del Debbio
“Un giuramento simile io non mi sento di farlo e non lo faccio”, così reagisce il medico chirurgo e professore dell’università di Bologna Bartolo Nigrisoli alla richiesta di giurare fedeltà al fascismo avvenuta nel 1931. Non fu l’unico, poiché assieme a lui si opposero altri 11 professori su un totale di 1225. D’altra parte però, egli si distinse per l’instancabile ed infinito impegno verso il prossimo, cosa che a quanto pare per il Fascismo valeva meno di zero, causando l’allontanamento dalla professione lavorativa di un eccellente insegnante, un ottimo chirurgo, ma prima di tutto un uomo di infinita bontà.
Bartolo Nigrisoli nacque in provincia di Ravenna il 18 dicembre 1858 in una famiglia di tradizione medica, cosa che lo condusse a mantenere la tradizione e ad iscriversi alla facoltà di medicina di Bologna. Gli anni dell’università furono caratterizzati da un interesse ed una partecipazione attiva alla vita politica ed in particolare nei confronti del socialismo, riguardo il quale era sensibile ai valori di giustizia e solidarietà. Ben presto però si rese conto però dell’incompatibilità tra l’esercizio della professione medica e la militanza politica, così la “abbandonò”, pur mantenendo però la libertà di espressione dei propri ideali così come il dovere etico di soccorrere i bisognosi di aiuto, indipendentemente dalla fazione politica. Dopo la laurea, conseguita il 24 giugno 1883, si dedicò all’attività lavorativa che durò fino al termine del suddetto anno, poiché venne interrotta dalla chiamata alle armi. Nel 1890 divenne primario chirurgo all’ospedale di Ravenna, diventando piuttosto noto ed ottenendo un discreto prestigio. Le condizioni lavorative non erano delle migliori però, e per questo motivo Nigrisoli inviò varie richieste riguardanti interventi di miglioria, che di fatto non vennero mai prese in considerazione.
È proprio in questo momento che si intravede il suo impegno nei confronti della “missione” che egli ha scelto di affrontare, infatti arrivò anche a pagare di tasca propria per il miglioramento delle condizioni tecniche ed igienico-sanitarie dell’ospedale. Nel frattempo si recò anche nelle capitali europee dove la medicina era più avanzata (Europa settentrionale) per osservare in prima persona come le novità tecniche e scientifiche trovavano applicazione e poter poi portare una “ventata d’aria fresca” in Italia. Negli ultimi anni che precedono il 1905 divide il proprio impegno tra ospedale ed università, complice anche il rapporto non proprio idilliaco con l’amministrazione del primo. In questo periodo di “doppio lavoro”, egli non accetta in nessun modo un compenso economico da parte dell’ospedale in quanto il posto da primario è lasciato vacante per metà, dato che egli stesso vi si reca quando c’è necessità e ne ha la possibilità, e ciò contribuisce a rafforzare l’immagine di uomo buono e corretto quale è, dimostrando ancora una volta quanto l’aspetto umano della propria professione prevalga su quello economico. Nigrisoli si destreggiò quindi tra questi due impegni lavorativi finché non venne trovato un nuovo primario, gesto da cui scaturì una sorta di “deificazione” (nel senso buono della parola) nei suoi confronti da parte dei compaesani, che lo concepirono come una certezza incrollabile, un baluardo di disponibilità. L’1 settembre 1905 entrò in servizio all’Ospedale Maggiore dove rimase circa 7 anni a causa della partenza per una missione in Montenegro durante la guerra nei Balcani. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si mise a servizio della Croce Rossa Italiana e nel maggio del 1916 divenne direttore dell’Ambulanza Chirurgica a cui erano destinati unicamente i feriti addominali e cranici, ma egli, dimostrando ancora una volta quel senso di disponibilità verso il prossimo che lo contraddistingueva, accettò anche feriti di altra natura, subordinando di fatto un ordine ufficiale alla morale e il senso del dovere di medico.
Di ritorno dalla zona di guerra non accettò la medaglia al valore affermando che “Non aveva fatto nulla di speciale, se non il suo dovere”. Nel 1919 accettò l’incarico di insegnante presso la facoltà di medicina e chirurgia. Con l’avvento al potere del Fascismo, Nigrisoli decise di non manifestare apertamente i propri ideali politici, anche per non compromettere la propria posizione lavorativa. Nonostante ciò Il PNF era ben cosciente del suo orientamento politico e tentò in extremis di proporgli una nomina a Senatore, che egli prontamente rifiutò dovuto alla propria integrità morale che ripugnava e ripudiava profondamente uno stato totalitario basato sulla violenza come quello fascista. A questo punto Nigrisoli divenne un avversario piuttosto scomodo oltre che intoccabile vista la stima dovuta agli atti di generosità e all’infinita disponibilità verso i bisognosi, oltre che ad un’importante considerazione in campo medico e scientifico.
Nel dicembre del 1931 Mussolini esigette il giuramento di fedeltà da parte dei docenti universitari e al medico ravennate venne consigliato di chiedere immediatamente il collocamento a riposo, cosa che egli rifiutò senza pensarci due volte poiché lo concepiva come un atto di codardia, pertanto decise di non andarsene e di non giurare fedeltà al Fascismo. Questa presa di posizione gli costò la cattedra così come ad altri 11 illustri colleghi, che furono gli unici ad avere il coraggio di opporsi alla confisca della libertà (e sostanzialmente anche dell’identità, considerando che la stragrande maggioranza dei professori in quell’occasione rinnegò le proprie credenze ed i propri ideali per paura di subire le conseguenze del rifiuto del giuramento di fedeltà) da parte del Partito Nazional Fascista e lo spinse ad esercitare il mestiere di chirurgo nella propria casa di cura fino al 1941, dedicandosi successivamente solo alle visite ambulatoriali fino a due anni più tardi.
Dopo la Liberazione gli giunse la proposta di tornare a rivestire il ruolo di insegnante presso l’università, ma egli rifiutò aspramente e derise il proposito. Dedicò l’ultimo periodo della sua vita alla scrittura di memorie e riflessioni riguardo la sua lunga esperienza lavorativa, fino a che non si spense il 6 novembre 1948 all’età di 90 anni. Con la sua morte se ne sono andati quei valori di presa di posizione in una situazione avversa e di estremo coraggio nel palesare la propria opinione e scelta che oramai sono purtroppo poco presenti nella società odierna, ma che erano perfettamente incarnati da Bartolo Nigrisoli. I sopracitati valori possono ad un primo impatto “renderlo uguale” agli altri undici (con un’accezione particolare in questo caso, visto che sono stati in pochissimi a differenziarsi dalla massa), ma ciò che rende particolarmente speciale questa figura e che la ha contraddistinta è l’enorme impegno sociale di cui si è fatto carico durante tutta la sua esistenza. Tra l’altro i valori di presa di coscienza e coraggio sono un qualcosa che egli aveva già esercitato nella prima parte della carriera medica, mettendoli in pratica in situazioni concrete col fine di porre in primo piano la salute degli esseri umani. Questo fa di lui una personalità che merita di rimanere scolpita nel tempo e di costituire un esempio per tutti.