Tra ordine e disordine, la mafia di Scampia5 min read

di Ilaria Martini

Dopo aver lungamente riflettuto su quale potesse essere il libro da scegliere per le mie vacanze natalizie, un pomeriggio di metà dicembre decisi di acquistare uno dei testi più approfonditi sulla faida di Scampia, sviluppatasi tra il 2004 e il 2005.

Il mio interesse per questo tema, ed in generale per gli articoli sulla criminalità organizzata, ha un’origine molto lontana. Infatti, sin dai tempi delle scuole medie sviluppai un particolare interesse per tutto quello riguardava la mafia, ma soprattutto sull’operato dei due magistrati siciliani Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

In questo caso però, la scelta di informarmi sulla faida di Scampia è avvenuta per pura curiosità e desiderio di approfondire il video su Youtube di Roberto Saviano “Il Destino di Cosimo di Lauro”.

Quando andai ad acquistare il libro, ciò che da subito catturò la mia attenzione fu il titolo “Il posto delle fragole”, un ossimoro particolarmente accattivante descritto dall’autore Simone Di Meo con “Avranno circa vent’anni quei ragazzi e, forse, quei fucili nemmeno sanno utilizzarli. Stanno con la schiena schiacciata contro i sedili e i kalashnikov poggiati sulle gambe, perché a mantenerli pronti all’uso ci si stanca, sono pesanti, gli occhi sbarrati più dalla paura di dover sparare che dal grado di attenzione. La strada in cui si tiene il summit ha un nome fiabesco, quasi bucolico: Via Il posto delle fragole”.

Nella prima parte del romanzo, la storia narra delle vicende di Paolo di Lauro, il papà di Cosimo, definito in dialetto napoletano “Ciruzzo ‘o Milionario” e delineato dall’autore come “L’organizzatore che dispone di maggiori capacità strategiche nell’ambito degli stupefacenti, e che ha una struttura piramidale organizzata, costituita dai suoi principali collaboratori Rosario Pariante, Raffaele Abbinate e Enrico D’Avanzo”.

Quest’ultimo, negli anni novanta era un mafioso di portata internazionale, ed a differenza di quello che comunemente si può pensare, era un uomo di onore pacifico, un moderatore che cercava in ogni modo di evitare gli scontri. Infatti, nonostante fosse un capo-camorra ricchissimo e stimatissimo, trattava i suoi sottoposti come pari, permettendo loro di vendere le sostanze stupefacenti da liberi professionisti e dando loro la possibilità di, come sottolinea lo scrittore Di Meo, “Scegliere autonomamente quando venderle, a che taglio, e a che prezzo. Ad un sola condizione però, tutti dovranno rifornirsi da lui e dargli una piccola percentuale di guadagno”.

Se da un lato nascevano così i profili di alcuni tra i suoi grandi “vassalli” come Maurizio Prestieri, Gennaro Marino e Raffaele Amato, dall’altro i suoi dieci figli maschi, gelosi di questa organizzazione, rivendicavano il potere assoluto del padre.

Così, quando nel 2002 venne emesso il mandato di cattura per Paolo Di Lauro, e quest’ultimo si rifugiò in Spagna per continuare la sua latitanza, a Napoli si creò una vera e propria faida.

Da una parte si schierarono gli Scissionisti, che come suggerisce la parola stessa, si erano scissi dal clan dei Di Lauro ed erano andati a vivere a Barcellona, al fine di ottenere l’egemonia sul narcotraffico. Dall’altra invece, nasceva l’orgaizzazione tra i figli di “Ciruzzo ‘o Milionario” ed alcuni alleati come Giovanni Gentile e Ugo Della Lucia, che portarono tra Secondigliano e Scampia un vero e proprio regime del terrore. Questi ultimi erano spietati e quando si resero conto di essere nel pieno della guerra, risposero uccidendo quanti più Scissionisti ed innocenti possibili, come ordinato da Cosimo Di Lauro.

Ed è proprio a proposito di questa inumana violenza che vorrei riportare un passaggio di Di Meo che mi ha commosso. In particolar modo, nell’ultima parte del libro l’autore descrive l’uccisione di Antonio Landieri, un ragazzino innocente di appena nove anni affetto da una grave disabilità:

“Cinque riescono a scappare. Il sesto no. Non ci riesce perché non può. Non può perché è invalido. Si trascina verso l’ingresso dello stabile ma due proiettili vaganti lo centrano al capo e alla schiena. Si chiamava Antonio Landieri e, nel rione, era soprannominato Ti, contrazione dialettale di Et, perché – proprio come il tenero extraterrestre di Steven Spielberg – camminava con difficoltà, finendo per dondolare al primo accenno di corsa”.

Successivamente Cosimo di Lauro venne arrestato e la guerra di camorra finì, non prima però di aver sacrificato una settantina di uomini.

La violenza tra le famiglie rivali così terminò e, quando Paolo Di Lauro tornò in Italia due anni più tardi, cercò di riportare la “pace” a Napoli, ricomponendo il puzzle di alleanze e amicizie devastato dai suoi figli.

 

Nell’ultima parte della mia recensione vorrei citare alcuni tra i passaggi che maggiormente mi hanno colpito:

Il primo inizia con “colonnello, ce l’abbiamo. Siamo al settimo piano, ora però ci dovete aiutare a venire fuori». La notizia della cattura fa in un attimo il giro del rione. Si spalancano gli alveari del Terzo mondo. Inizia la sommossa. Centinaia di donne e di ragazzini iniziano a lanciare piatti, bicchieri e forchette dalle finestre, bersagliando le gazzelle con ogni oggetto capace di fare danni. È una pioggia infernale, che precede il corpo a corpo con i militari. I carabinieri, rimasti a pattugliare l’ingresso del palazzo, avvertono la squadra che ha arrestato Di Lauro che è impossibile scendere. Meglio se si barricano all’interno dell’abitazione e attendano l’arrivo dei rinforzi”.                                                Questo piccolo frammento ha richiamato la mia attenzione poiché descrive la vera cultura camorrista: in primo luogo quella che ha sempre difeso la mafia, considerandola l’unica strada possibile per la sopravvivenza. Poi, quella che rinnega lo stato, credendolo completamente assente e poco efficiente. Ed infine, quella che non investe nel futuro dei ragazzi, che li continua a volere ignoranti e che li immagina solo capaci di compiere reati in giro per le strade.

 

Il secondo invece tratta l’operato delle forze dell’ordine:

È in questa atmosfera cupa che nasce il nuovo capo della squadra mobile, Aldo Faraone, affidato al coordinamento dal commissario Maurizio Agricola. Lui palermitano, con il sangue che gli scorre nelle vene, è un lavoratore instancabile”.

Sono rimasta particolarmente colpita da questo estratto poiché descrive l’enorme quantitativo di lavoro, svolto in maniera eccellente, da parte della polizia, dei carabinieri e della guardia di finanza. Inoltre, mette in risalto la pericolosità del loro operato, che li costringe ogni giorno a rischiare la propria vita per la sicurezza di ogni singolo cittadino.

In conclusione, se dovessi esprimere un’opinione riguardante questa lettura direi che l’ho trovata estremamente scorrevole, facilmente comprensibile e notevolmente intrigante. In più, mi ha lasciato tanti spunti su cui riflettere e mi ha permesso di approfondire il tema delle guerre di mafia, in particolare di quelle avvenute tra il clan della famiglia Di Lauro e quella degli Scissionisti.

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