Una serie televisiva divertente e in grado di portare a profonde riflessioni su tanti temi importanti
di Riccardo Orgolesu*
Creata da David Shore, The Good Doctor è una serie televisiva ancora in corso ispirata all’omonima serie sud-coreana, trasmessa in Italia dalla Rai e disponibile su diversi servizi di streaming, tra cui Netflix e Disney+.
Protagonista è il Dr. Shaun Murphy, un giovane e talentuoso specializzando in chirurgia autistico e con la sindrome del Savant che è stato appena assunto all’ospedale St. Bonaventure di San Josè, in California. Fin dal primo episodio, è chiaro che l’autismo di Shaun sarà un grande ostacolo per lui, a causa dei pregiudizi e delle perplessità sulla sua capacità non solo di prendere decisioni mediche corrette, ma soprattutto di riuscire a comunicare con compassione ed empatia ai pazienti e ai loro familiari. Questo è il tema della riunione tra i dirigenti dell’ospedale, che si oppongono alla decisione del presidente dell’ospedale, il Dr. Aaron Glassman, di assumere Murphy.
I dubbi sulle capacità mediche di Shaun sembrano cadere (anche se restano molti scettici) quando si viene a sapere che, arrivato alla stazione di San Josè, ha salvato la vita a un bambino che riportava un pneumotorace traumatico in seguito a un incidente: dopo aver corretto l’errore di un medico intervenuto sul posto, il Dr. Murphy ha preso in mano la situazione, realizzando una valvola unilaterale con un tubo di plastica e una bottiglia di bourbon per effettuare un drenaggio toracico. Arrivato infine al St. Bonaventure, Murphy ha la possibilità di parlare ai dirigenti che si oppongono alla sua assunzione e raccontare la ragione per cui ha deciso di diventare un chirurgo, ovvero dare agli altri la possibilità, che non avevano avuto il suo coniglietto e suo fratello minore Steve, di diventare adulti.
Questa storia ci è stata raccontata gradualmente, fino a questo momento, con una serie di flashback ben piazzati, tecnica ricorrente nel corso della serie e utilizzata per raccontarci il passato di Shaun: la difficile relazione con il padre, che non è mai riuscito a capirlo, né sembra aver voluto provarci; la morte di Steve, l’unico a prendersi cura di lui quando erano piccoli; l’ingresso nella sua vita dello stesso Dr. Glassman, che sarà il suo unico punto di riferimento dagli anni dell’adolescenza. Finalmente assunto, Shaun ha comunque davanti a sé un percorso lungo e tortuoso per essere accettato dai suoi colleghi e soprattutto dai suoi superiori come un valido chirurgo.
Dentro la cornice delle procedure mediche, ovviamente parti fondamentali della trama, la parola d’ordine è crescita: professionale e personale, non solo del Dr. Murphy, ma di tutti i personaggi che con lui si interfacciano ogni giorno. I suoi colleghi specializzandi, in particolare la Dr.ssa Browne, che si impegnerà parecchio per capirlo e farlo sentire a suo agio; il Dr. Melendez, la Dr.ssa Lim e il Dr. Andrews, che col tempo non solo si renderanno conto delle sue capacità fuori dal comune, ma impareranno a comprenderlo e a trattarlo allo stesso modo di tutti gli altri. Lea, la nuova vicina di casa di Shaun, con cui svilupperà una profonda amicizia; il Dr. Glassman, che per tutto il corso della serie sarà una roccia, un riferimento sempre presente per Shaun, un dispensatore di consigli e saggezza e una figura paterna che non sempre riuscirà a capirlo appieno, ma si impegnerà al massimo per farlo (ho trovato dolcissimo il momento in cui Shaun, salendo sull’auto di Glassman, trova sul sedile del passeggero un libro su come capire e crescere il proprio figlio autistico).
La serie ritrae con molta efficacia quelli che sono i tratti dell’autismo (l’interpretazione di Freddie Highmore, la sua mimica, la postura, il suo sguardo, il suo modo di ritrarre le crisi, il suo modo di parlare – qui bisogna apprezzare anche il doppiatore italiano Manuel Meli – mi hanno fatto venire il dubbio che lo stesso attore fosse autistico).
Il percorso di crescita del protagonista è il focus principale delle prime stagioni, che lasciano comunque ampi spazi alla crescita dei personaggi secondari. Col tempo, Shaun impara a conoscere le proprie emozioni e i propri sentimenti, a relazionarsi con gli altri, a mostrare empatia. Vengono esplorate le sue relazioni personali, familiari, amorose; anche la sua vita sessuale è un argomento trattato senza tabù e un ambito di crescita per Shaun.
In generale, la performance del cast è eccellente, anche grazie a una scrittura efficace, coerente, scorrevole e piacevole (l’unica criticità che sento di segnalare sono i numerosi momenti commoventi, che diventano forse troppi e conseguentemente perdono di efficacia nel corso della quarta stagione, per poi tornare a livelli sostenibili nella quinta).
Tra i lavori passati di David Shore ricordiamo soprattutto l’eterna House, sorella maggiore alla quale The Good Doctor non ha nulla da invidiare. L’opera più recente di Shore si porta dietro una pesante eredità che le impone alte aspettative, tutte brillantemente superate a parere di chi scrive. Anzi, posso affermare con certezza che c’è stato, se non un miglioramento complessivo (d’altronde, è difficile migliorare qualcosa di così ben riuscito senza rischiare di rovinarlo), un tentativo più consapevole e meglio riuscito di addentrarsi in profondità negli animi dei personaggi: le loro storie, le loro emozioni, le loro paure e speranze, dolori e gioie, successi e insuccessi sono presentati allo spettatore, hanno il proprio spazio e non sono secondari a quelli del protagonista, ma complementari e parte integrante di una storia che non sarebbe la stessa senza.
Dove House non dedica molto spazio a personaggi come Wilson, Cuddy, Foreman, Cameron e Chase, al di fuori di quanto strettamente funzionale al personaggio di House, The Good Doctor aggiusta il tiro ponendo sullo stesso piano tutti i personaggi importanti, mettendoli a nudo e permettendo allo spettatore di capirli ed empatizzare con loro.
Non si può recensire The Good Doctor senza parlare delle sequenze dedicate all’attività medica. Da una parte, queste hanno la propria indipendenza: si discutono possibili diagnosi, si sceglie un approccio, che sia conservativo o chirurgico, si comunica con il paziente e si opera. Sono sequenze interessanti e divertenti, hanno il giusto ritmo narrativo, si inseriscono bene nell’intreccio e secondo gli esperti sono perlopiù realistiche e precise.
Ma non si limitano a questo: ciascuna puntata tratta una questione rilevante per il filone principale della storia o un tema di attualità (tra i tanti, l’omosessualità, la violenza domestica e il femminicidio, l’eutanasia, la gestazione per altri, ma anche rapporti tra genitori e figli, tra fratelli, tra partner, o emozioni complesse, come la paura di iniziare un nuovo capitolo della propria vita e lasciarsi indietro il passato). I casi, generalmente due, non correlati tra loro e affidati a due équipe separate, rispecchiano tale tema e aiutano a risolverlo. Il rapporto tra paziente e medico curante è simbiotico, perché entrambi ne traggono beneficio, fisicamente e psicologicamente.
Non sempre, però, tutto va bene. A volte, si ha un’intuizione giusta e si ha successo. Altre volte si sbaglia e il paziente muore. Qualche volta non si sbaglia nulla, ma ciò non basta per avere successo. L’errore umano e il fallimento sono elementi presenti, con cui tutti devono avere a che fare. Shaun, i suoi colleghi specializzandi, finanche i medici più esperti come la Dr.ssa Lim o il Dr. Glassman. È questa una delle idee predominanti della serie: capire se stessi e gli altri, nei successi e nei fallimenti, negli errori, nelle contraddizioni; imparare a capire le emozioni, proprie e altrui, come fa Shaun con i suoi colleghi, le sue amicizie e i suoi amori, e come fanno loro con lui. Come dovremmo fare anche noi con chi ci sta intorno e con noi stessi.
Definire The Good Doctor come una serie che parla soltanto di autismo sarebbe riduttivo e scorretto. Pur partendo dalle difficoltà che un ragazzo autistico si trova ad affrontare ogni giorno, lo show va molto più in profondità e tratta numerosi temi. Diventa una narrazione polifonica (le tragiche circostanze personali e familiari di numerosi pazienti mi hanno rimandato alle vicende dei Marmeladov e simili dostoevskiani), ed è davvero difficile non immedesimarsi in nessuna delle numerosissime storie che hanno per protagonisti i personaggi principali, secondari e anche semplici comparse con ruoli autoconclusivi nel corso di un unico episodio.
The Good Doctor è una raccolta di tante storie emozionanti e coinvolgenti che convergono in un’unica, ampia tela narrativa in cui si intrecciano armoniosamente, trovando l’una risoluzione nell’altra e lasciando allo spettatore un insegnamento morale come strumento di cui far tesoro per affrontare le difficoltà della vita e poter così apprezzare ciò che vi è di positivo.
*Riccardo Orgolesu frequenta la classe IIB del Liceo classico “Antonio Gramsci” di Olbia