di Silvia Barsotti
Mi ricordo di quando sei sbarcato a Cartagine, nella mia patria, la terra che fondai dopo essere fuggita da mio fratello, colui che uccise mio marito. Quando vi arrivai, mi trovai disorientata, non ero da sola, ma in un certo senso era come se lo fossi; non mi fidavo di loro, quegli uomini che si erano lasciati corrompere soltanto alla visione di donne e oro: avevano già voltato le spalle a mio fratello, avrebbero potuto fare la stessa cosa con me. Decisi che avrei dovuto dare vita ad una nuova città; insieme a colui a cui avevo donato il mio cuore, mi era stato portato via tutto: la mia patria, la cosa a me più cara.
E dunque scelsi di volerla fondare lì, sulle coste di quel luogo in cui ero appena approdata da straniera, ma di cui ben presto sarei diventata la regina. È bizzarro pensare alla me del passato, ero forte, determinata e sicura di me, ma tu mi hai cambiata, dinnanzi a te mi sono fatta debole, carica di dubbi e incapace di scegliere tra il bene e il male. Appena ti ho conosciuto, in me si è insinuata la paura, la paura di fare un errore innamorandomi di te, tradendo Sicheo, l’uomo che tanto mi aveva amata: un amore infinito, in confronto al tuo. A quell’ora pensavo che fosse stato lui a tradirmi, morendo e lasciandomi sola, a dover fuggire per poter sperare di vivere ancora, ma adesso ho capito cosa significa davvero il tradimento. Il vero tradimento è stato il tuo, mi avevi posto la tua mano destra, l’avevi stretta alla mia, giurando di starmi accanto e di non lasciarmi, eppure, non appena Giove ti ha chiesto di proseguire il tuo viaggio, te ne sei andato, mostrandoti vile e distruggendo l’idea che mi ero fatta di te. Se non lo avessi saputo, saresti partito senza neanche darmi un ultimo saluto, e forse sarebbe stato meglio: magari sarei rimasta a sperare in un tuo ritorno, ma neanche per un secondo avrei pensato che mi avessi abbandonata. Non sono una donna qualunque, io sono una regina, dovrei smettere di piangere e continuare sostenere il mio popolo, come ho fatto fino ad adesso, ma non ci riesco; con te se ne è andato tutto il mio pudore e ora non riesco più ad andare avanti.
Vorrei dirti che non meriti le mie lacrime, ma forse, qua, l’unica che non merita qualcosa sono io: una regina non può essere una donna così fragile, non può essere una donna che si abbandona tra le braccia di un eroe, sentendosi bruciare dal desiderio di stare con lui, ma perdendo così il suo ritegno e la sua dignità. Quando sono arrivata a Cartagine sono stata chiamata Didone, “la fuggitiva”, e adesso, anche se non lo vorrei, in questo modo decido di andarmene: fuggendo dai miei doveri, dalle mie responsabilità e dai tentativi di riuscire a sollevarmi da questa grande delusione che hai causato, sperando di trovare pace lassù, dove forse, troverò qualcuno, che al contrario di te e di tutti gli altri, non mi abbandonerà.