Giorgio Errera, una persona salda nella difesa della libertà

di Ginevra Salvioni e Fabiana Mencaroni

 

Il 1931, forse per alcuni un anno qualunque, di poca importanza. “Cosa successe nel 1931?” – “Boh, non lo so”. Eppure il 1931 è un anno che dovrebbe essere ricordato da tutti gli studenti, da tutti i lavoratori, insomma da tutti.

All’inizio dell’anno accademico 1931/1932 furono 1.225 i docenti universitari che vennero chiamati a firmare il giuramento fascista; rifiutarsi di giurare fedeltà comportava la perdita della cattedra, del diritto alla liquidazione e alla pensione.

Nonostante questa consapevolezza 12 professori dissero NO al giuramento imposto da Mussolini e pagarono per la loro scelta: perdendo la cattedra, ma qualcuno fu pure costretto all’esilio e altri invece si costrinsero a vivere ai margini della società.

Erano persone normali, dei semplici professori accomunati da un’indole ribelle che risiedeva dentro ciascuno di loro, pieni di coraggio e senza paura; loro sono i così tanto nominati eroi, protagonisti, inoltre, di un bel libro scritto da Giorgio Boatti: Preferirei di no. Leggi tutto “Giorgio Errera, una persona salda nella difesa della libertà”

Un rifiuto esemplare

di Lorenzo Nardi, Chiara Perrone e Caterina Simonetti

Il 28 agosto 1931 sulla Gazzetta Ufficiale apparve il decreto n.1227 che all’articolo 18 obbligava i docenti universitari a giurare devozione alla patria e al regime fascista. La richiesta del regime imposta agli oltre 1200 professori fu rifiutata da soli 12 in tutta la penisola, i quali, a seguito della loro dignitosa decisione, persero la cattedra. É necessario ricordare che solo un professore di storia dell’arte non aderì al giuramento, il modenese Lionello Venturi.

Nel 1907 inizia la sua carriera di storico dell’arte come ispettore nelle gallerie di Roma e Venezia. Nonostante fosse immerso completamente nel mondo dell’arte, egli non si isolò mai dal contesto sociale e politico che lo circondava tanto da partecipare come volontario alla Grande Guerra con il grado di tenente. In anni nei quali l’università italiana comincia ad indossare con disinvoltura la camicia nera, Venturi si defila dalle iniziative identificabili con il regime ricevendo un richiamo dal Ministro dell’Educazione Nazionale. “Non mi è possibile d’impegnarmi a formare cittadini devoti al regime fascista, perché le premesse ideali della mia disciplina non mi consentono di far propaganda nella scuola per alcun regime politico”, così scrive Lionello nella sua missiva al Rettore torinese respingendo l’invito a prestare giuramento. Negli anni seguenti si esilierà volontariamente a Parigi, dove aderirà al nucleo antifascista di Giustizia e Libertà e poi negli Stati Uniti, trovando nella “Mazzini Society”, organizzazione liberal-socialista, democratica e repubblicana, un luogo di conforto.

Dopo la liberazione di Roma nel ’44 Venturi rientra in Italia sotto il governo Bonomi, il quale reintegra i docenti universitari licenziati nel 1931. Circa 10 anni dopo si ritira dall’insegnamento e morirà nel 1961 nella capitale. Nello stesso anno, scrive una lettera a Giancarlo Vigorelli, giornalista e scrittore italiano, che può apparire come una sorta di testamento spirituale: “È finito il Fascismo in Europa? Nemmeno per sogno; esso diviene ogni anno più pericoloso, perché ha insegnato a tutti a fare il proprio comodo a dispetto della vita sociale, e ci vuole tempo a riparare una simile diseducazione morale. Dovrebbe essere più facile combattere la forza politica del fascismo. Esso è nato, ha vissuto, e continua dopo morte, sulla base di un ricatto: il pericolo comunista. Chi accetta un ricatto è un vile, e bisogna respingerlo, sia con la forza della nostra fede nella libertà, sia per la convinzione di appartenere a una civiltà superiore”. Leggi tutto “Un rifiuto esemplare”