di Nello Benassi
“Vivi, sfoggia, posa” esclama la voce di Billy Porter nella sigla della serie tv ‘Pose’, che ha fatto il suo debutto il 3 giugno 2018 sull’emittente statunitense Fx. Prima ancora di essere frutto della penna di Rhyan Murphy, il re Mida della televisione americana, la serie nasce da un vecchio documentario. Bastano poche ricerche in rete per trovarlo: si chiama ‘Paris is burning’ di Jennie Linvingstone ed è una perla rara di realismo.
La serie ci teletrasporta nel tempo e nello spazio: sono gli anni ‘80 e ci troviamo nel quartiere Harlem di New York. Quando lo scontro razziale era al suo picco massimo e all’orizzonte si sentiva il profumo della rivoluzione che avrebbe travolto la nazione all’alba del nuovo secolo.
Nella città che non dorme mai non c’era spazio alla luce del sole per le minoranze. Essere neri, ispanici, omosessuali, drag o transgender significava avere una vita tutt’altro che facile.
L’unico posto in cui queste persone potevano brillare e illuminare quell’oscurità a cui erano stati costretti dalla società erano le cosiddette ‘ball room’: piste da ballo in cui le persone, raggruppate in house (famiglie), si sfidavano partecipando alle ball (competizioni) suddivise in categorie. In mancanza di un affetto genitoriale sul quale contare a causa dell’affermata omosessualità, quella house diventa per molti l’unica casa dove sentirsi amati, rispettati e al sicuro. Sarà proprio questo il motivo che nella serie spingerà Blanca, una donna trans di origini ispaniche, a creare la propria ‘house’ con l’intento di salvare i giovani abbandonati a se stessi e dar loro la speranza di un futuro.
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