di Alessandro Rosati
Otto colpi di pistola sparati da due pistole calibro 32: due colpi mortali alla nuca e al cuore. Così moriva quarant’anni fa Vittorio Bachelet, sulle scale dell’Università La Sapienza di Roma. Aveva appena terminato la lezione nell’Aula 11, quella dedicata ad Aldo Moro (ucciso due anni prima), quando si apprestava a tornare a casa dalla moglie Maria Teresa e dai figli Maria Grazia e Giovanni. Erano le 11:35 del 12 Febbraio 1980. Un ragazzo e una ragazza, entrambi poco più che ventenni, lo stanno aspettando. Lo vedono mentre sta parlando con l’assistente Rosi Bindi, nome che diventerà noto nella politica Italiana, lo raggiungono e sparano. Prima lei, poi lui. Otto colpi che non lasciano scampo al Professore, di cui quattro scagliati con il corpo già a terra agonizzante. Il panico si diffonde nei corridoi dell’università e tutti fuggono, compresi i due assassini. Tutto si ferma, compresa il dibattito che si sta tenendo nell’Aula Magna, ironia della sorte, proprio sul terrorismo. Ironia della sorte, sì, perché poco dopo arriverà uno di quei comunicati che gli Italiani avevano imparato a conoscere da una decina d’anni: “Siamo le Brigate Rosse, abbiamo giustiziato noi il professor Bachelet.”
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