Il mercato mondiale viene dominato da nazioni con un forte potere economico come la Cina e gli Stati Uniti per contrastarlo ed essere competitivi gli stati europei devono essere forti e coesi.
Il Recovery Fund ed il Mes sono gli strumenti creati dal parlamento del vecchio continente per risolvere i problemi economici e sanitari causati dalla pandemia.
Oggi è stato raggiunto un accordo tra i paesi del nord, con politiche fiscali molto permissive e che hanno deciso di applicare l’immunità di gregge per fronteggiare l’infezione da Corona-virus, e quelli del sud, come l’Italia, più estesi, con una densità di popolazione maggiore e una politica sociale e sanitaria più attenta.
L’emergenza Covid-19 ha costretto il Governo Italiano a decretare la chiusura quasi totale delle attività del Paese. La Penisola è rimasta bloccata come in un’istantanea e l’economia, già abbastanza debole, rischia di essere messa in ginocchio.
Aumento della disoccupazione, fallimento delle imprese, diminuzione di diversi punti percentuali del Prodotto Interno Lordo e del valore delle azioni. Queste sono soltanto alcune delle conseguenze a cui andrà incontro l’Italia se non verranno prese misure tempestive, di cui per ora si è visto poco.
In un clima di incertezza ci si aspetta dunque una presa di posizione forte e decisa da parte del Governo e delle istituzioni Europee. Sin dal primo momento in cui l’Italia (e gradualmente tutto il Vecchio Continente) si è trovata a fronteggiare l’emergenza, l’Unione Europea non è rimasta unita sulla stessa linea politica frantumandosi alle prime divergenze tra paesi. Il Premier Giuseppe Conte e il Governo Italiano hanno immediatamente sottolineato il bisogno urgente di aiuti per la situazione economico-sanitaria disastrosa. Alla chiamata dell’Italia non ha risposto nessuno, o meglio, Germania e Olanda su tutte hanno manifestato la loro perplessità riguardo l’elevata quantità di fondi richiesta. La poca disponibilità di alcuni Stati membri si spiega molto semplicemente: il rischio di non ricevere indietro gli aiuti inviati è alto. Effettivamente, le richieste del Premier prevedono risorse a fondo perduto, dunque con la possibilità di non essere restituite.
Le trattative si sono arenate e l’UE dopo ciò ha dato un primo grande segnale di fragilità. Il 13 Marzo infatti la Presidente della Banca Centrale EuropeaChristine Lagarde ha dichiarato che non avrebbe evitato l’aumento dello spread, il valore che indica la differenza tra la rendita dei titoli di Stato Italiani (BTP) e quelli Tedeschi (BUND). Le dichiarazioni hanno avuto un effetto drammatico sull’economia dell’Europa e in particolare dell’Italia, che si aspettava una diminuzione del Tasso d’interesse Europeo (la percentuale di interessi sui fondi prestati dalla BCE alle banche) e che invece ha visto la Borsa di Milano toccare il suo minimo storico al -17%. Si trattava solo dell’inizio di una lunga serie di polemiche e trattative.
Ad oggi, a più di un mese di distanza, l’Eurogruppo ha proposto diverse manovre economiche e l’Italia non ha ancora deciso a quale aderire. Noi intanto abbiamo deciso di fare un po’ di chiarezza.
Trent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino la Storia torna di nuovo a correre sui nostri confini. Il contesto è drammaticamente diverso: alle porte degli anni ’90 il Mondo e in particolare l’Occidente sembravano aver trovato la ricetta per la pace, la sicurezza ed il benessere. Oggi ci rendiamo conto che almeno in parte è stata una grande illusione e facciamo i conti con una realtà che qualche mese fa mai avremmo immaginato, una realtà che lasciavamo al passato insieme a guerre e fame. I protagonisti però sono indubbiamente gli stessi, cambiati, con pesi e ruoli diversi ma sempre loro. E tra questi, noi. Sì, perché tra il conservatorismo al cianuro tedesco, la protezione interessata USA e le corti orientali di Russia e Cina (con intensità opposte rispetto alla guerra fredda) niente sembra essere cambiato.
Con la Germania, ora come allora, i problemi sono monetari: i tedeschi nei momenti più caldi nell’unione europea a livello finanziario fanno sempre a modo loro. Testardi quanto diligenti nei momenti importanti, per concedere qualcosa agli altri devono sempre avere garanzie e condizioni che in qualche modo li facciano sentire più forti, centrali. Così ad inizio anni ’90 iniziarono le aperture per un sistema monetario europeo, con banca centrale e moneta uniche ma solo come merce di scambio per la riunificazione con la Germania dell’Est. Inoltre, i trattati su cui si posero le basi per il sistema attuale, su tutti Maastricht ’92, furono ad impronta prettamente tedesca: livelli di spesa pubblica molto severi e ruolo della BCE di solo controllo dell’inflazione, incubo tedesco dai tempi pre-Hitleriani. Ed ancora il salvataggio forzato della Grecia, autorizzato da Berlino solo per l’enorme quantità di titoli ellenici nella pancia delle banche tedesche, fu un salvataggio della struttura finanziaria di Germania, Francia e Olanda concesso a condizioni umilianti per Atene.
È vero, all’inizio ha titubato. È stata
lenta, è andata in affanno. Apparsa più come matrigna che mamma, l’Europa nelle
prime battute di questa vicenda ha toppato ed è sembrata di nuovo un’enorme
occasione persa, forse quella decisiva per infrangere l’idea. Proviamo però ad
allargare un po’ l’orizzonte: immaginiamoci tra 20-30 anni su un libro di
storia. Leggeremmo che l’Europa, dopo una prima settimana di assestamento, fu
l’ancora di salvataggio e la guida per i suoi componenti verso l’uscita dal
dramma. Ecco, quella settimana misurata col tempo necessario per uscire da una
pandemia ci sembrerebbe un miracolo e valuteremmo prodigioso l’operato dei vari
commissari, presidenti, ministri ed amministratori.
O meglio, presidentesse. Sì, perché vere
protagoniste di questa impresa dovranno essere due signore e questo,
personalmente, mi rincuora. A muovere le leve fiscali, economiche e politiche
dal vertice della Commisione abbiamo la tedesca Ursula von der Leyen,
sessantenne, politica di lungo corso molto vicina ad Angela Merkel, europeista
convinta che da subito ha messo in chiaro le cose:” faremo tutto il necessario
per sostenere gli Europei e l’Europa”, sulle orme del continental-popolare
Mario Draghi. A capo della BCE, per
stabilire quanta nuova moneta stampare e quanto proteggere i titoli di Stato,
italiani in primis, troviamo Christine Lagarde: classe 1956, parigina,
avvocatessa, nella prima dichiarazione dall’inizio dell’emergenza ha dato
l’impressione di lasciare a sé stessi i paesi più in difficoltà facendo
crollare le borse di tutto il mondo e creando una crisi di fiducia.