di Martina Pasquinelli
“Che sarà, che sarà, che sarà
Che sarà della mia vita chi lo sa?
So far tutto o forse niente
Da domani si vedrà
E sarà, sarà quel che sarà!”
È il ritornello di una canzone di José Feliciano, cantata anche dai “Ricchi e poveri”. Mi è capitato di ascoltarlo in serata ed a distanza di ore sto ancora pensando a quel “so far tutto o forse niente” preceduto da una domanda esistenziale.
In questo ritornello ci ho letto i 18 anni, l’adolescenza, la classica “allora hai deciso l’università?”, che puntualmente capita in ogni conversazione; c’ho visto la spavalderia di un giovane ragazzo cresciuto sentendosi dire che se si applica è in grado di fare qualsiasi cosa. Tuttavia, so di poterci ritrovare anche la messa in discussione di quelle affermazioni, che inevitabilmente arriva…che sia per un brutto voto preso a scuola, per un obiettivo che risulta più faticoso raggiungere, oppure per una relazione o un’amicizia finite dopo tanti sacrifici. Il tempo passa e ognuno si accorge dei propri limiti. L’adolescenza è una corsa. L’età in cui il tempo sembra accelerare. Si fanno più gioiosi i sorrisi e più pesanti i pianti. Tutto viene colto al massimo del suo stato. L’umore alterna continuamente. Ci si sente ancora i piccoli della società, “quelli che hanno tutta una vita davanti” e un attimo dopo sentiamo la pressione di un capofamiglia, siamo nel momento in cui dobbiamo diventare maturi, dobbiamo scegliere la strada che vorremo per la vita.
Cosa vuole la società? Cosa vuole l’individuo?
Puoi essere un ragazzo alternativo, uno che se ne sbatte del mondo che ha intorno, che non sente il dovere dello studio, del lavoro, della famiglia. Puoi essere uno di quelli che vive “giorno per giorno”… eppure sai… non ci credo. Penso che chiunque abbia paura di sentirsi “indietro” rispetto ai propri coetanei. Penso che il confronto interpersonale sia una delle principali basi della società odierna. Questo serve a crescere, certo, ma serve anche ad omologare gli obiettivi, le aspirazioni del singolo.
Credo che ci sia qualcosa di sbagliato in questo sistema, che fin da piccoli vengano inculcati nella testa dei bambini troppi progetti. Questo succede perché ogni genitore “desidera il meglio” per il proprio figlio.
Ma perché un ragazzo deve sentirsi in difficoltà nella decisione di intraprendere un anno sabbatico? Perché si deve sentire in difficoltà nel scegliere una determinata scuola piuttosto che un’altra? Perché se vuole fare l’artista deve vivere col timore e poi, probabilmente, seguire una strada più infelice, ma più sicura?
Funziona così la società, ci si sente sempre “in dovere” non si sa bene di chi, ma ormai ci sono un fisico ed un livello di studio ben determinati globalmente. Tutti ambiscono a quella che si può definire “eccellenza” e se non si prova a raggiungerla, allora “ci si accontenta”, termine che implicitamente afferma un sentirsi sempre meno rispetto ad altri. Viviamo nel caos, nello stress e in un mancato individualismo. Creiamo la figura della persona indipendente e anticonformista, che si veste diversamente ed ascolta musica differente, quando c’è la moda di farlo. Credo che la cosa più difficile non sia mostrare la nostra vera personalità, bensì trovare ciò che saremmo se percepissimo molte meno influenze, positive o negative che siano.
L’uomo nella sua vita è soggetto a continue prove, ogni giorno è posto davanti a nuove sfide, nuovi avvenimenti e nuovi pensieri. Leopardi idealizzava l’uomo come un soggetto infelice, in continua ricerca di un piacere ed una felicità irraggiungibili e credo che vada stimato per il coraggio che ha avuto nell’esternare quello che in fondo tutti pensiamo e notiamo, perché nessuno è davvero felice al 100%, c’è chi lo vuol credere, chi preferisce far vedere solo i lati positivi della propria esistenza, ma il dolore è onnipresente, è un sottoinsieme della vita, ne è una componente fondamentale. La sofferenza fa crescere l’uomo più di qualsiasi altra cosa e permette di riconoscere e vivere in maniera amplificata i momenti in cui stiamo bene, permettendoci di ricordarli anche a distanza di molto tempo.
Perché sostengo che Leopardi avesse ragione? Perché basta dare un occhio alla società odierna per notare che ogni uomo si è reso vittima di un qualche vizio. Approfondendo possiamo dire che con la crescita l’uomo acquista consapevolezza di sé, di ciò che lo circonda, di cosa può aver perso e di quello che potrebbe avere e che non ha… l’uomo col passare degli anni entra in un vortice di paragoni e confronti con l’altro e cerca sempre “di più”. Anche quando fisicamente si sta rilassando, l’uomo lavora col pensiero, che è quella capacità caratteristica dell’essere umano che è strettamente legata all’infelicità perché porta ad analizzare in maniera automatica ogni lato e aspetto della propria esistenza e quindi permette di scovarne i lati negativi. L’uomo perciò inizia a vivere in una costante condizione di stress ed anche se non sempre se ne rende conto va alla ricerca di qualcosa che lo faccia distrarre, star meglio. C’è chi scappa dai pensieri con l’alcol, chi con le droghe o col fumo, o più semplicemente c’è chi lo fa col cibo o con lo sport. Ecco che nasce il vizio e che l’uomo intrappola autonomamente la propria libertà rendendola vittima di altro.
Mi sono fermata spesso a pensare perché un essere così geniale, creato alla perfezione, in cui ogni organo è imprescindibile all’altro, debba soffrire ed avere fragilità così grandi. Non ho mai trovato una risposta esatta, forse perché quella frase che ci sentiamo ripetere da quando siamo piccoli, “la perfezione non esiste”, è proprio vera, oppure perché con il tempo la società ha idealizzato la perfezione in qualcosa di irraggiungibile e di troppo elevato, mentre magari ne fanno parte anche il dolore e l’infelicità e sbagliamo noi nella definizione del concetto.
Credo che sicuramente rifugiarsi in qualche dipendenza per ripararsi dal peso delle proprie angosce sia la strada che più può allontanare “dall’uomo perfetto”, perché all’uomo è stata donata la libertà, che come esplicita anche Dante nella divina commedia è il regalo più grande che potesse ricevere ed il solo fatto che egli se ne precluda lo rende in difetto, perché non riesce a sfruttare al massimo il proprio potenziale, abbassando la propria posizione da essere libero e cosciente a vittima di un’azione o di un oggetto, quindi di un qualcosa che non pensa, non si sviluppa e non è dotato di ragione.
Questo pensiero termina in modo inconcludente, si tratta di un insieme di considerazioni che vogliono far riflettere sul perché dobbiamo perderci sempre dietro a qualcosa e confida nel permettere di reindirizzare qualcuno che sta passando un periodo di smarrimento.