di Martina Pasquinelli
In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25/11 è appropriato approfondire un argomento molto discusso sul web negli ultimi giorni, ma generalmente poco considerato, o considerato sotto solo alcuni punti di vista.
Revenge porn è un’espressione che indica la condivisione non consensuale di materiale intimo, come si percepisce dal suo nome, “vendetta porno”, questo gesto si basa su vendetta e possesso.
Solitamente quando viene resa pubblica una foto di qualche ragazzina il primo pensiero di chi la riceve è in riferimento alla sua mancanza d’etica, alla bassa supervisione da parte dei genitori o anche più frequentemente si limita a termini offensivi ed affermazioni superficiali.
Questo perché è abitudine della società moderna criticare senza conoscere il soggetto di cui si parla, oppure affermare sentenze valutando solo una parte del fatto.
Purtroppo occorre ammettere che è davvero minima la percentuale di persone che riconoscono l’errore nel gesto del ragazzo, il quale può aver causato enormi danni psicologici e sociali alla ragazza in questione, compromettendole il futuro e mettendo a dura prova il suo carattere.
Molti giustificano questi avvenimenti affermando che i giovani non hanno la percezione della gravità delle loro azioni, vengono definiti semplici “atti goliardici”. È molto più difficile sentir parlare di questi gesti se compiuti da adulti, piuttosto che da ragazzini o adolescenti e questo probabilmente perché sarebbero più difficili da giustificare. Non c’è nessun divertimento e nessuna goliardia, perché l’uomo sa che con quelle foto o video intimi ha in pugno la reputazione della donna in questione. Ciò accade perché la società è fondata su basi sbagliate.
Ancora oggi viviamo in un mondo dove la donna non è libera di esprimersi attraverso la propria sessualità, altrimenti viene immediatamente estromessa dal nucleo familiare, dal lavoro e dalla società. Questo fenomeno ha il nome di slut-shaming (stigma da sgualdrina) e mira a far sentire una donna colpevole o inferiore per alcuni comportamenti sessuali compiuti. In questi giorni si sta discutendo di un fatto di revenge porn accaduto poco tempo fa; questo riguarda una maestra di Torino che aveva inviato video intimi al suo compagno, il quale ha ben pensato di inoltrarli su una chat di amici, da cui sono stati poi diffusi e di conseguenza la donna è stata minacciata e licenziata.
Occorre capire che non c’è giustificazione per questi gesti, in quanto sono pura esclamazione di cattiveria, punizione, superficialità e possesso.
È vero che se la donna non avesse mai prodotto determinati materiali, non ne avrebbe subito le conseguenze.
È fondamentale, però, riflettere con criterio e domandarsi come sia possibile che una donna non possa sentirsi tutelata da un reato, quando c’è una legge che lo definisce tale.
Il disegno di legge sul revenge porn è stato approvato definitivamente il 17 luglio 2019 eppure non basta a garantire il lavoro, l’appoggio della famiglia e dei coetanei nei confronti di una donna Vittima.
È importante sottolineare questo termine, perché purtroppo nelle vicende di violenza di genere c’è un ampio rischio di victim blaming, fenomeno che vede la vittima colpevolizzata del reato subito.
Tutto questo porta ad una feroce critica verso la società, che continuando a giudicare la donna per quello che fa nel suo privato, si dimostra ancora possessiva riguardo il controllo sul corpo di questa. Una società moderna, ma ancora troppo arretrata su valori che più di tutti sarebbero dimostrazione esplicita di progresso e cambiamento.