di Abramo Matteoli
Non ci posso credere, pensa te se è possibile.
Pure a quest’ora quelli là non la smettono mai di canticchiare e cinguettare, ma guarda te. Che gli avrò mai fatto lo sa solo Gesù. In fondo è lui che ha inventato gli uccelli no?
Ah, ma chi se ne frega, non sono qui per questo. Però, insomma, sono uscito per fare una passeggiata a quest’ora, speravo almeno che gli uccelli si degnassero di starsene zitti.
Di solito c’è una bella aria qua sul ponte pedonale, il viale alberato sottostante è ancora più godibile dall’alto; sei giusto giusto più alto delle piante che decorano il passaggio stradale la in basso ed è bello guardare tutto da questa prospettiva.
E dai, ma a chi la voglio vendere, non si esce mai da soli alle quattro di mattina senza un motivo. Di certo non lo fai per “goderti il tutto” o qualsiasi cosa io abbia scritto lì sopra. Vengo qua solo se ho avuto una brutta giornata, non riesco a dormire o penso troppo. Oggi mi sono capitate tutte e tre, quindi eccomi qua.
Mi sento proprio uno schifo, oggi non ne ho fatta una giusta. Beh, in fondo diciamocelo, quando mai ne faccio una giusta?
Esatto, neanche io lo so. Comunque vi racconto, proprio stamani mi è capitato che incontrassi in corridoio quella bastarda di Antonella.
Antonella è il mio datore di lavoro, ma la chiamo per nome perché se la chiamassi in qualsiasi altro modo anche quando non c’è penso che potrei impazzire. Poi, voglio dire, lei è mezza tedesca di cognome fa Schmidt. Vi rendete conto? Schmidt! Ma che razza di cognome è?!
In ogni caso, questa mattina incontro Antonella in corridoio. Era particolarmente fiera di presentare a tutto l’ufficio la sua nuova e schifosissima idea: assegnare delle “pagelle” a tutti i dipendenti, in modo che ognuno abbia l’occasione di rendersi conto delle proprie lacune e dei propri punti di forza.
Beh, già che mi aveva beccato in corridoio, ha approfittato per intercettarmi con il suo solito “Ohibò! Buongiorno!” e per consegnarmi la mia “pagella” in anteprima. Che fortuna sfacciata, ragazzi.
Comunque, eccomi lì nel corridoio che leggo il mio nome su quel foglio A4 fresco di stampante. Certo che avrebbe potuto almeno usare del cartoncino Bristol o che so io, insomma, per rendere il tutto un po’ più gradevole.
Inizio a scorrere con il dito i vari voti e scopro di essere uno schifo totale; una pagella da voltastomaco.
Ecco fatto, secondo la Signora Schmidt non sono bravo in niente. non sono uno da teamwork, non sono proattivo, non sono produttivo, non sono niente.
E il peggio deve ancora venire.
Sono il peggiore dell’intero ufficio. Cavoli, pure l’inserviente del quarto piano è più bravo di me con il teamwork ! Vecchio bastardo.
Devo confessarvi che non vi ho detto che questa idea geniale di Antonella sarebbe da reiterare una volta al mese, quindi, questi sarebbero i voti relativi al solo mese di ottobre.
Però, io non posso far altro che specchiarmi in quei voti e pensare che alla fine descrivono abbastanza bene la realtà dei fatti. In fondo io mi sento il peggiore, io sono il peggiore. Ho insistito così tanto per studiare una materia che ai miei genitori non piaceva ed eccomi qua a fare l’impiegato per un’azienda che vende prodotti di cancelleria. Non sento mia madre da una vita, mio padre potrebbe anche essere morto e non lo saprei. Non ho una ragazza, né niente del genere. Guardatemi, che ci sto a fare qua?
Questo ponte sarebbe più felice se non ci fosse uno come me qua sopra a calpestarlo. Insomma è un ponte di ottima fattura, si meriterebbe qualcuno di più illustre, tipo un presidente o un cardinale. E invece sono solo io. Penso che stasera lo accontenterò.
Mentre ero sovrappensiero non ho perso tempo e mi sono già preparato, sono già salito sul corrimano del ponte, sull’orlo del baratro. Sotto di me, il caro vecchio viale alberato. A quest’ora è difficile che passi una macchina. Regnerebbe il silenzio, se non fosse per quei fottuti uccelli.
Ma non serve che facciano silenzio, i miei pensieri sono di gran lunga più rumorosi di qualsiasi cosa. Potrebbe esplodere una bomba atomica e non la sentirei.
Ho deciso. Farò un favore a questo ponte, ad Antonella e a tutto il mondo, basterà fare un semplice ultimo passo.
Chissà se mancherò a qualcuno, in fondo, non so neanche se mi faranno un funerale. Magari mia madre piangerà, forse mio padre sarà triste. Oppure saranno solo sollevati. Smetterò di essere la loro delusione, e si potranno compiacere della mia unica buona azione nei loro confronti.
Ragazzi miei, da oggi ci sarà una preoccupazione in meno nella vostra vita. Non dovrete neanche correre il rischio di incontrarmi! Non immaginate che favore vi stia facendo.
Però…
E’ inutile che provi a fare quello che si interessa agli altri. Sono solo un egoista, io. Mi butto solo perché, sotto sotto, mi voglio proprio bene.
Ecco, mi amo alla follia. Mi amo e mi odio. Amo l’odiarmi e odio l’amarmi. Voglio solo porre fine alle mie, di sofferenze.
Basta pensare adesso. E’ il momento dell’ultimo passo.
Eppure, le mie gambe non si muovono. Non si muovono di un millimetro.
Eppure, adesso, le mie gambe cedono. Quasi non mi spacco la testa sull’asfalto del ponte pedonale, cadendo all’indietro dal corrimano.
Eccoci qua. Sdraiati sul ponte. A guardare il cielo.
Non si vede una stella neanche a pagarla. Sarà per colpa di tutte le luci che ci sono in giro. Per i lampioni del viale alberato, forse. Fatto sta che c’è solo una lastra nera davanti a me.
Oggi non è giornata, non sono riuscito neanche ad ammazzarmi. Dev’essere una maledizione.
A guardare il cielo mi sento proprio inutile. Un granello di polvere nell’immensità dell’universo. Non valgo proprio niente.
Eppure, mi sento di esser stato sabotato.
Ci dev’essere qualcosa che ha paralizzato le mie gambe, impedendole di fare quell’ultimo passo. Io non sono stato, ci potete giurare.
A guardare il cielo mi viene in mente un possibile colpevole. Sei stato tu, eh? Sei stato tu, Gesù.
Come ti sei permesso? Oltre ad inventare gli uccelli adesso osi addirittura impedire il mio suicidio?!
Ma cosa sto dicendo?
Mentre mi alzo nuovamente in piedi penso che forse sto solo svarionando. Forse non ci sto proprio con la testa.
Nessuno mi ha sabotato. Nessuno potrebbe mai sabotarmi se non l’autore di questa storia. Ma lui non avrebbe mai le palle di farlo, sapete com’è, lo conosco da una vita.
Mi incammino lentamente verso casa. Riflettendo sul perché sono ancora in grado di farlo.
‘E’ proprio un mondo ingiusto’ dico ad alta voce, mentre alcune lacrime iniziano a bagnare il mio viso.
Faccio schifo pure ad ammazzarmi; oggi non è proprio giornata.
Ritornando con la mente a quando le mie gambe hanno ceduto, mi viene in mente che forse posso trarre qualcosa di positivo da questa schifosissima giornata: Penso di aver capito che cos’è l’amore.
L’amore è quando ti cedono le gambe nel momento in cui decidi che vuoi buttarti da un ponte.
Niente di più e niente di meno.
Ecco, ho appena realizzato una di quelle cose che, se mai avrò dei figli, sarò costretto a ripetergli all’infinito. Fin quando non mi odieranno.
Faccio tintinnare il mazzo di chiavi mentre mi appresto ad aprire la porta del mio appartamento; all’interno del quale non mi aspetta niente e nessuno se non una nottata in cui sarà difficile prendere sonno, nel tentativo di non annegare nelle mie stesse lacrime.
Domani sorgerà il sole e quegli uccelli bastardi continueranno a cantare. Io, invece, non lo so proprio cosa farò. Non lo so e non ho voglia di saperlo.
Per ora mi limiterò a custodire questa esperienza, continuando a maledire il mondo e me stesso.
E’ l’unica cosa che mi riesce veramente bene.
Abramo Matteoli ha frequentato la classe VLA del Liceo Vallisneri e si è diplomato nell’anno scolatico 2019-20. Attualmente frequenta la facolta di psicologia all’università di Manchester.