di Irene Stefanini
Giorno Primo.
Non stava bene, qualcosa si agitava, qualcosa si affievoliva dentro. Tutto era agitatamente spento, mortalmente concitato. La casa era un opprimente nido, piacevole e nocivo, accogliente e scomodo, caldo e severo.
Il silenzio era troppo silenzioso, il buio troppo scuro, la solitudine troppo sola.
Scappò, fuggì, uscì: forse da casa, probabilmente da quel qualcosa che celava al suo interno.
La strada era chiassosa, chiassosa e viva, viva e spensierata. I vecchi sorridevano, i bambini ridevano, i giovani scherzavano. Qualcuno era preso da uno sfrenato attacco di risa, qualcun’altro da baci focosi, altri da un sorriso gentile. Voci allegre e parole gentili.
Fuori c’erano esuberanti rumori, innumerevoli colori e persone. La confusione riempiva il silenzio, la luce rischiarava le ombre, i sorrisi di cortesia riempivano le mancanze.
Il sole splendeva. Non aveva potuto controllare le previsioni meteo prima e splendeva il sole e lui era uscito. Tornò a casa solo quando il sole lo fece.
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