Il “Piccolo mare” della Bretagna

di Joshua Frati

 

La Bretagna è un paese di fate e navigatori, di druidi e corsari, magica e avventurosa.

Questa penisola, a Ovest della Francia, mantiene ben salde ancora oggi le sue tradizioni peculiari e i bretoni, che siano rimasti in Bretagna o che siano emigrati in tutti i continenti, ne sono orgogliosi. Nessuna manifestazione sportiva, nessun concerto anche all’estero in cui non sia intravisto in Gwen-ha-du, la bandiera bretone che rappresenta i paesi e ducati storici di Bretagna.

Appena arrivati in Bretagna, è sorprendente accorgersi che i cartelli stradali sono doppi: le indicazioni di luoghi sono scritte sia in lingua francese che in lingua bretone. Negli ultimi vent’anni, si sono sviluppate in modo esponenziale le scuole bilingue (écoles Diwan). Il fenomeno è diventato tale che è possibile scegliere il bretone come materia di esame al baccalaureat, l’esame di maturità francese.

Le Golfe du Mor-bihan

La mia famiglia materna ha esplorato tutti gli angoli della Bretagna: da Nantes vicino all’estuario della Loira, dove troviamo ancora il castello di Anna di Bretagna, allora moglie del Re di Francia; fino a Brest e i suoi cantieri navali; passando da Saint-Malo, il capoluogo dell’attività corsara dei 16 e 17 secoli; fermandosi infine nel Golfo del Morbihan, un piccolo paradiso tra mare e terra.

Mor-bihan: in lingua bretone significa “piccolo mare”, ed è un microcosmo intensamente ricco di cultura, storia e natura.

Arrivando da Vannes, città capoluogo di provincia, seguiamo una strada stretta verso ovest come una lingua di terra: a sinistra l’oceano, a volte grigio e rumoroso; a destra il golfo, sempre impassibile. E lì in fondo, circondati dal mare, simo finalmente arrivati sulla Presqu’ile de Rhuys.

Cairn du Petit Mont

Una delle prime cose da vedere, che sia la vostra prima volta nel golfo o che ogni sasso vi sia ormai familiare, è il “Petit Mont”. Questo scorcio sul mare permette di passeggiare per oltre 45 minuti a picco sull’oceano, tra pini marittimi, ginestre e brughiera. Passeggiando incontriamo le Cairn du Petit Mont, un monumento megalitico di oltre 6000 anni. Scoprire le Petit Mont è scorrere la storia del neolitico, dell’epoca gallo romana e pure della seconda guerra mondiale: un bunker ci è stato costruito nel 1943, rivolto verso il mare in attesa del nemico.

Anche dall’altra parte del Golfo ci immergiamo nella cultura e storia bretone, con i menhir di Locmariaquer e, ancora un po’ più a ovest, di Carnac. Giustamente, i menhir bretoni sono stati resi famosi da Asterix e Obelix, gli irreducibili gallesi in lotta contro Giulio Cesare. In realtà però, i menhir sono stati lavorati ben prima: i menhir di Carnac sono datati di 5000 a.c. e sono ad oggi il monumento neolitico più imponente della Bretagna: provate ad immaginare 2.733 menhir allineati in dieci file su 4 chilometri… Leggi tutto “Il “Piccolo mare” della Bretagna”

Il 20 marzo pioveva

di Rebecca Giusti

 

Sono qui scomoda seduta su un gradino. La pioggia corre veloce sui tasti, e inghiotte le lettere. Le mani rotte e sbucciate su alcune parti delle falangi corrono, irrefrenabili come se anche loro volessero essere fredde gocce d’acqua, a formare frasi che nella testa non sono ancora state formulare, discorsi che non si sa dove porteranno. Le scarpe dei passanti scorrono come scene di una proiezione nel campo visivo ridotto all’altezza dove sono seduta e sembra che tutte le persone siano svuotate. Che si siano messe dentro una scatola che hanno lasciato a casa, poi abbiano aperto la porta della loro casa, grande, bella, piccola, distrutta, povera che sia, e siano usciti senza essersi portati dietro. Hanno facce inesplorate e sembra che tutti dicano cose uguali. Cose uguali, cose uguali, cose uguali, cose uguali. Poi passano persone che parlano in altre lingue, che bevono caffè da asporto e si muovono rallentati come se anche il bagnato entrasse nelle gambe e nelle braccia. Passano due signori con una bottiglia di vino pregiato in mano, che si riconosce perché incartato in una brillante stagnola dall’aria costosa. Camminano perplessi come se fosse la prima volta che arrivano in questa piazza e vedono il marmo giallastro della chiesa troneggiare sui piccoli bar indifesi che stanno ai suoi piedi, si guardano intorno e sorridono: sembra che gli piaccia essere in un posto piovoso insieme, muoversi in modo ridicolmente riconoscibile e girare la testa spaesati ostentando la loro estraneità al luogo.    Poi, come se la città fosse loro, uno dei due guarda l’altro con aria maliziosa, come se nascondesse una sorpresa in una delle tasche dell’impermeabile liso che gli si accascia floscio sulle spalle magre. I due aprono il vino e passandosi la bottiglia con mani rotte dal freddo, nonostante sia finito marzo e le primule stiano cominciando a fare capolino nell’erba fresca, bevono insieme.

 

 

All’origine della sapienza, l’enigma

di Margherita Del Debbio

La nascita della filosofia è un libro scritto da Giorgio Colli ed è composto da nove capitoli che trattano argomenti come «enigma», «agonismo», «dialettica», «retorica» e «scrittura». Appena l’ho preso in mano mi sono stupita per come questo libro piccolo e snello (un centinaio di pagine), che non corrisponde alla normale idea dei libri filosofici, complessi e voluminosi, potesse trattare un argomento tanto vasto e complesso.

L’autore, uno dei maggiori studiosi di filosofia antica del 900, inizia affermando: “le origini della filosofia greca, e quindi dell’intero pensiero occidentale, sono misteriose”.  Colli definisce la filosofia come “amore della sapienza”. Essa è legata all’esistenza dei “sapienti”, i quali hanno il compito di “sciogliere i nodi e gettare luce nell’oscurità”. Con il termine ‘’nodo’’ si intende l’enigma, una sfida mortale per qualsiasi sapiente che, se non veniva decifrato, diveniva causa della propria morte; come per Omero che, incapace di risolvere l’enigma posto da dei pescatori sull’isola di Io, morì per lo scoramento.

Nel tentativo da parte dell’uomo di sciogliere l’enigma nasce il pensiero filosofico. Colli, seguendo l’interpretazione di Nietzsche, per spiegare l’origine della sapienza parte da due Dei greci, Apollo e Dioniso, mettendoli in contrapposizione ed elencando i rispettivi tratti caratteristici; ma si serve anche dei racconti antichi a loro legati, come il mito di Arianna, l’unica donna legata a Dioniso, la quale rappresenta una duplice natura (umana e divina) o delle vicende all’inizio dell’Iliade, quando viene presentato Apollo e gli aspetti della sua duplice figura. Leggi tutto “All’origine della sapienza, l’enigma”

Per fare tutto, non agire

di Veronica Zaffora

Il Tao tê ching è uno di quei libri che non perde il suo valore attraverso i secoli.  Quest’opera costituisce infatti il fondamento del pensiero taoista. I pensieri in essa contenuti furono messi per iscritto da Lao-tzu intorno al 300 a.C. ma si possono facilmente applicare anche al giorno d’oggi e penso che rimarranno attuali anche in futuro.

Il titolo del libro viene tradotto come Tao, inteso come vita che è l’idea dominante di tutta la filosofia cinese. Secondo questa, ogni cosa per quanto sia completamente diversa da ogni altra è strettamente correlata con tutto il resto, come il lavoro di un uomo che coltiva il grano, che porta alla fertilità della terra provocata dalla pioggia proveniente dal cielo. Così ci sono costanti tra il cielo, la terra e l’uomo (la Via, Tao del cielo, la Via, Tao della terra e quella dell’uomo), perché quando c’è un ostacolo su una Via c’è anche sulle altre.

Questo concetto può essere espresso con dei simboli che possono rappresentare tutte le cose e sono formati da linee continue e spezzate che formano 64 esagrammi: questo indica che negli esagrammi non c’è permanenza e tutto è in continua mutazione. Tra queste alternanze ci sono due poli: lo yin che indica la femmina, l’oscurità, il freddo, la passività, il pari, la linea spezzata, e lo Yang: la luce, il calore, il maschio, l’attività, il dispari, la linea intera. L’alternanza dei due implica la Via. Leggi tutto “Per fare tutto, non agire”