di Nello Benassi
“Non si più più dire niente”: ecco il mantra che risuona come un eco vuoto nella bocca di quelli che sono convinti che ci sarebbe stata tolta la libertà e il diritto di scherzare su questioni che sono ormai considerate dei tabù.
Parole come “froc*o”, “neg*o”, “tro*a” non si possono più dire.
Sapete di chi è la colpa? Chi attenta in maniera così criminosa alla lingua italiana e al diritto di espressione dei poveri maschi bianchi etero? Sono quelle minoranze, proprio quei “neg*i”, quei “fro*i” e quelle “tro*e” che chiedono solo rispetto. Scandaloso non trovate?
Che poi non è vero che non si può dire niente. Anzi, si può dire tutto e si deve farlo. A patto però che non si parli di uomini cis o chiesa cattolica, sia mai urtare la sensibilità di un povero fedele e la virilità di un uomo.
Parlare in maniera astratta, però, non aiuta la mia lamentela. Facciamo un esempio pratico: parliamo di Pio e Amedeo.
Ieri sera il duo comico pugliese, durante l’ultima puntata dal loro programma “Felicissima Sera”, ha rivendicato il diritto di pronunciare quelle parole proibite, tutte quelle che non si posso più dire in tv. Sapete perché? Perché “la cattiveria non è mai nella lingua, ma nelle intenzioni”. Solo a me ricorda qualcosa questa argomentazione? Ah si, non era forse Andrea Ostellari, spalleggiato dal suo compare Simone Pillon, che qualche giorno fa ha detto “froc*o non è insulto, dipende dal contesto”?
Poi, stando a quanto dicono Pio e Amedeo, non bisogna prendersela. Se ti chiamano “froc*o”, “neg*o” o “tro*a” basta riderci su, bisogna essere autoironici. Se solo lo avesse saputo Andrea, “il ragazzo dai pantaloni rosa”, che a 14 anni, per essere stato ripetutamente chiamato “froc*o”, si è tolto la vita. Bastava ridere no? Anche Malika, caso mediatico che ha scosso l’Italia intera, non poteva semplicemente ridere in faccia ai genitori che le auguravano la morte perché innamorata di una ragazza?
Purtroppo però il maschio bianco etero non capisce che tutto questo è violenza, lui non ha mai fatto parte di una minoranza. Ha sempre occupato il gradino più alto nella storia, immerso nella convinzione che tutto gli fosse dovuto. Le cose stanno cambiando, in un mondo in cui le minoranze iniziano a risvegliare una coscienza rimasta troppo a lungo sopita, lui sente venir meno il suo privilegio e blatera vaneggiando di “censura” e “libertà di espressione”.
Non poteva mancare nel becero monologo dei due conduttori anche una banalizzazione dei pride e in generale di qualsiasi manifestazione di chi si batte per i propri diritti. “Siamo tutti uguali ormai, non serve più” dice Amedeo. Questa affermazione perde di senso nel momento stesso in cui viene pronunciata. Non è vero che siamo tutti uguali, non ancora purtroppo. Per pronunciare una sentenza come questa bisogna vivere coi paraocchi e i tappi nelle orecchie.
Insomma l’Italia è questo: un paese dove se bestemmi pubblicamente contro una credenza religiosa sei punibile penalmente (badate bene, non sto dicendo che sia sbagliato) e allo stesso tempo un posto dove due uomini privilegiati vogliono insegnare ad una minoranza come sentirsi riguardo alla discriminazione che loro stessi promuovo. Un paese dove invece di dare spazio a persone che hanno il bisogno di farsi ascoltare, siamo costretti a sopportare un monologo di dubbio gusto in prima serata. Non so se questo sia un paradosso degno di un libro di filosofia, ma rientra sicuramente nelle pagine poco piacevoli di quello di storia.
Siamo un paese che non sa ancora, o non vuole farlo, riconoscere la linea che separa l’insulto dall’opinione. Lo dimostra il fatto che due personaggi televisivi con un grande seguito come Pio e Amedeo abbiano potuto passare in rassegna i peggiori insulti che si possano rivolgere a chi si sente discriminato e si siano sentiti in dovere di farlo in nome di una “rivendicazione di libertà” contro il politicamente corretto. La cosa che più mi lascia sconcertato è che lo abbiano fatto senza alcuna conseguenza tra gli applausi del pubblico.
Tanto non si può dire niente vero?