Uno sguardo alla Napoli degli anni Trenta con Eduardo de Filippo
di Rugiada Menconi
“Questo Natale si è presentato come comanda Iddio”. È questa una delle prime battute di Natale in casa Cupiello che mi è rimasta particolarmente impressa, probabilmente perché in netto contrasto col Natale che abbiamo appena passato, che sicuramente non “si è presentato come comanda Iddio”, dato che siamo stati costretti a spenderlo con delle forti limitazioni che sembrano, in parte, aver tolto quella magia che rende il Natale uno dei giorni più belli dell’anno.
Natale in casa Cupiello è un’opera teatrale tragicomica scritta nel 1931 dal drammaturgo napoletano Eduardo de Filippo. In questi giorni ho avuto il piacere di guardarla, e anche di poterla confrontare con la trasposizione televisiva andata in onda su Rai 1 il 22 dicembre, sotto la regia di Edoardo de Angelis, e per questo mi sento in dovere di spendere due parole a riguardo.
L’opera vede come protagonista una famiglia della piccola borghesia napoletana, che vive in un equilibrio precario a causa dei diversi problemi che riguardano ogni suo componente: Luca, o Lucariello, è un vecchino ingenuo che vive all’oscuro dei disagi familiari, e che, ogni anno, prima del Natale, si dedica con tutto sé stesso alla costruzione del presepe, che, come dice lo stesso De Filippo, è un presepe meschino, piccolo, che però a Luca sembra un regno. Poi c’è Concetta, sua moglie, una donna anziana che svolge il classico ruolo da casalinga, ed è l’unica confidente della figlia Ninuccia; insieme a loro vive il fratello di Luca, Pasquale, vittima dei furti da parte di Tommasino, il figlio nullafacente e pigro di Luca e Concetta, che viene sempre difeso dalla madre per i suoi errori. Infine c’è Ninuccia, vittima di un matrimonio combinato con Nicola, (affettuosamente chiamato da Luca “Nicolino”), un uomo ricco ma rozzo e ben più anziano, e innamorata di Vittorio, uomo più giovane e povero, ma decisamente più affezionato a lei.
Ora, la trama si articola su due fronti: da una parte, le continue liti fra i tre rappresentanti maschili della famiglia: Luca tenta di far approvare il suo presepe al testardo Tommasino, e Pasquale che si lamenta per le sue cose che gli sono state rubate e per le scarse attenzioni che gli vengono rivolte; dall’altra il vero e proprio scandalo familiare, vissuto da Concetta, che è costretta a sopportare e supportare da sola la figlia per paura delle conseguenze che potrebbe avere la vicenda sul marito, Ninuccia, Nicola e Vittorio. Le due storie, poi, si avvicinano sempre di più, poiché, per una serie di avvenimenti, sia Vittorio che Nicola si ritrovano entrambi invitati in casa Cupiello alla cena di Natale. L’incontro vero e proprio tra i due episodi avviene poi nell’ultima scena del secondo atto, a parer mio anche la più comica: Concetta, seduta e sconvolta a causa della lite, che aveva in tutti i modi cercato di evitare, tra il genero e l’amante di Ninuccia, che, seguiti da quest’ultima, sono usciti fuori casa, viene raggiunta da Luca, Pasquale e Tommasino, sempre all’oscuro di tutto, che travestiti da Re Magi le portano i loro doni di Natale, cantando Tu scendi dalle stelle.
La conclusione, seppur non troppo felice, mantiene quella vena comica che caratterizza tutta l’opera: Lucariello, a seguito della scoperta dello scandalo, si è sentito male, e il sipario si riapre mostrando lui a letto, circondato da parenti e amici, che delira, scambiando ogni figura maschile che vede per il suo amato Nicolino. Vittorio, consumato dai sensi di colpa, prega Concetta di potergli baciare la mano, e il vecchio Luca, vedendolo, e facendo intendere che pensa che si tratti del proprio genero, afferra la sua mano e quella della figlia, e fa promettere loro di non lasciarsi e di non litigare mai più. L’ultima, commovente, battuta, poi, è una domanda che viene rivolta a Tommasino durante tutta l’opera (“Te piace ‘o presebbio?”), ma stavolta, il figlio dice di sì, e così, Luca, muore felice e commosso.
Il finale è ambiguo, e lascia allo spettatore la possibilità di pensare se Lucariello abbia davvero scambiato Vittorio per Nicola, oppure se, giunto al limite della sua vita, si sia sentito in colpa per aver costretto la figlia a sposare un uomo voluto da lui, e abbia così legittimato la sua relazione col ben più amato Vittorio. Io ovviamente preferisco quest’ultima interpretazione, e così facendo riesco a dare un lieto fine a questa vicenda che ha come protagonista una famiglia “sgangherata”, piena di difficoltà, ma che, in fin dei conti, si vuole bene.
Per quanto riguarda il film diretto da Edoardo de Angelis, ho approvato alcune modifiche che rendono l’opera più adatta agli attori che la hanno recitata e all’epoca in cui è stata girata: Innanzitutto mi piace il fatto che Sergio Castellitto, nei panni di Luca, non abbia voluto imitare il “Lucariello” interpretato dallo stesso de Filippo nelle prime due versioni televisive. Essendo Castellitto un uomo più robusto e alto non avrebbe avuto senso imitare le maniere e i modi del gracile de Filippo, e appare quindi un “Lucariello” più forte, che alza spesso la voce. Inoltre l’ambientazione è stata “modernizzata”, poiché è ambientata negli anni ’50: probabilmente se fossero stati ripresi gli anni ’30 la rappresentazione avrebbe rischiato di essere meno realistica. Infine ho approvato l’utilizzo di una musica giustamente più contemporanea: oltre a quella strumentale, l’aggiunta di una canzone cantata in napoletano da Renzo Avitabile “E duorme stella”, composta appositamente per il film, che lo termina in maniera ancora più poetica.
Per concludere, seppur diverse, ho approvato entrambe le versioni, ma consiglio caldamente la visione della versione teatrale del 1977, che ho facilmente trovato su YouTube, con la speranza che venga rispolverato il genere teatrale che, soprattutto per i giovani, non è mai troppo allettante perché vittima di falsi stereotipi che lo definiscono come qualcosa di vecchio e antico, quando invece è un genere particolarmente poetico che regge il confronto con il cinema, spesso superandolo.