Di Alessandro Rosati
Maradona è stato un semidio del calcio. Con la palla un dio, senza palla un uomo.
Quando pochi giorni fa Paulo Roberto Falcao, straordinario centrocampista degli anni ‘80, ha pronunciato questa frase, ha probabilmente descritto nel miglior modo possibile cosa è stato Maradona.
Maradona innanzitutto è stato gioia. È stato sorrisi sui volti dei grandi, stupore negli occhi dei più piccoli, magia sul prato verde: un fenomeno passato sulla terra per insegnare il calcio nella sua forma perfetta. Un talento del genere sulla terra non si era mai visto. Quando negli anni ‘80 prenota di diritto il trono sull’Olimpo del calcio, i meno giovani possono ancora ricordare le gesta di un altro fenomeno: O Rey Pelé. Il Brasiliano però ha giocato sempre e solo in patria, troppo difficile fare un confronto. Maradona invece è lì, in mezzo alla gente, a rivelare il calcio.
Maradona è stato anche il difensore degli ultimi. La sua rivelazione è partita dal basso, dalla povertà dell’Argentina. Lì dove l’unica via di fuga era il calcio, proprio lì dove il pallone viene assaporato nel suo aspetto più viscerale. “Gli Inglesi hanno inventato il calcio, ma gli Argentini hanno inventato l’amore per il calcio” recita un detto di quelle parti. Niente di più vero. Se in terra albiceleste si può distinguere un prima e un dopo Maradona, è anche e soprattutto per questo motivo. È stato stimato ogni limite, amato come non si era mai fatto prima, venerato come un Dio. Perché Maradona è il Dio del calcio.
Dal suo avvento sui campi ha riscritto completamente i canoni di perfezione calcistica preesistenti, ponendo un “anno zero” nella storia di questo sport. Maradona però è stato anche errore, debolezza e tradimento. No, el pibe de oro non si è mai trasferito alle squadre rivali, né si è mai scontrato con la tifoseria. Il Dio ha tradito il suo popolo dimostrando di essere umano. Abituati a vederlo perfetto e divino, gli argentini hanno capito di avere a che fare con un uomo, e in quanto tale in grado di commettere errori. Maradona ha sbagliato, è vero, ma non si è mai tirato indietro di fronte alle proprie responsabilità. Leader dentro e fuori dal campo: chi sbaglia paga, e lui forse ha pagato anche troppo.
Non c’è da stupirsi quindi se proprio un brasiliano, Falcao, abbia fornito la definizione più vicina al nome di Diego Armando Maradona. Genio e sregolatezza, un contrasto già visto nel calcio, ma che forse trova la sua migliore interpretazione nel Diez dei Diez. Un dio umano: un ossimoro che trasuda lacrime di gioia e di dolore. Ecco perché ha sempre diviso l’opinione degli appassionati. Non si tratta di apprezzare o meno il giocatore, ma di risolvere un problema dai contorni mistici: ateo o credente?
Ecco che si riapre una spaccatura storica. Quelli che “come uomo non valeva niente” neanche di fronte alle lacrime di un popolo fermano la loro critica pungente e, diciamocelo, anche un po’ inutile. Pur di giungere a una conclusione, persino chi Maradona non l’ha visto giocare è chiamato a rispondere in questa eterna discussione. È proprio vero, citando Shakespeare, che “Il male che gli uomini fanno sopravvive loro”, però el pibe de oro ha qualcosa di speciale. In ogni angolo della terra ci sarà sempre un bambino con la 10 sulle spalle e un sogno nel cassetto, pronto a emulare le gesta del diez.
Un nome lontano, magari conosciuto solo per sentito dire, che però non scomparirà mai delle bocche di tutti noi. Il motivo è semplice: Diego Armando Maradona non solo è il dio del calcio, Diego Armando Maradona è stato, è e sarà per sempre il calcio.