di Alessandro Rosati
Se mai vi capitasse, come sicuramente vi è capitato, di passare per uno dei tanti spelacchiati campi di calcio in giro per l’Italia, avvertireste quel leggero senso di abbandono che li avvolge. Talvolta è un’apparenza: i centri sportivi si riempiono di vita quando l’arbitro fischia il calcio di inizio e un paese, una città, una provincia intera vivono per 90 minuti di quel magico oggetto rotondo. Talvolta però non è un’apparenza, è la triste realtà. Lontano dai milioni di quello che usano chiamare “il calcio che conta”, le società falliscono, gli spogliatoi si svuotano, i sogni si infrangono e la magia…finisce.
È un fenomeno conosciuto in tutta Europa, ma in Italia soprattutto: il sostanziale abbandono a loro stesse delle realtà regionali e un distacco quasi totale da parte della FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio). Se in Inghilterra il fallimento del Bury Fc, storico club due volte vincitore della Fa Cup, ha fatto il giro dei social (più che dei media), nello Stivale tutto ciò passa inosservato. Nel nuovo millennio si contano più di 150 fallimenti (senza contare le squadre salvate con punti di penalizzazione) e solo negli ultimi due anni sono innumerevoli i casi di club costretti al fallimento dopo rocambolesche vicende finanziarie: Bari, Cesena, Trapani, Lucchese, Juve Stabia, Cuneo e chi più ne ha più ne metta.
Negli ultimi giorni è venuto alla luce il caso dell’Atletico Catania, società dilettantistica che milita in Eccellenza. Sicuramente tale categoria non ha lo stesso peso mediatico anche solo della Serie D, ma lo spettro del fallimento è un male che affligge tutte le serie a partire dalla Serie B (vedi Bari).
Le disavventure dell’Atletico Catania sono cominciate nell’estate del 2017, quando il Presidente uscente Franco Proto, che alla guida del club aveva raggiunto addirittura la Serie C, ha ceduto la società a Vincenzo Drago. L’avvocato però “si è disimpegnato” come racconta Gianluca Barbagallo, tifoso tuttofare ed ex team manager del club, lasciando la proprietà e navigare in cattive acque. “Così è nata un’emergenza che ci ha portato a un bivio: rinunciare e perdere tutto oppure mantenere la categoria” continua l’attore siciliano, lasciandosi andare poi ad un appello: “siamo una società catanese e speriamo che il nostro club interessi a qualcuno. Anche perché abbiamo fatto in modo non lasciare debiti”.
L’apice delle vicende è stato però toccato nell’ultima giornata del Campionato di Eccellenza girone B. L’Atletico Catania è sceso in campo con una formazione avventata composta da alcuni tifosi per un totale di 8 giocatori. La dimostrazione di affetto da parte dei propri fan non è bastata al club siciliano per evitare la sconfitta: dopo mezz’ora il risultato contro l’Enna Calcio vedeva i padroni di casa in vantaggio 6 a 0. Al 35esimo minuto l’Atletico non ha più rispettato il minimo di giocatori per scendere in campo, complice gli infortuni di due uomini.
Al di là del della sorte che aspetta la società catanese, il problema di queste realtà persiste. L’Atletico Catania dunque non sarà né la prima né l’ultima squadra a trovarsi in una situazione del genere, fino a quando ai piani alti delle organizzazioni competenti non verrà messo da parte il business per fare veramente gli interessi di quella cosa magica chiamata calcio.