Il 17 Giugno è la giornata nazionale contro la desertificazione e la siccità
di Irene Stefanini
In questi giorni di pioggia e brutto tempo sembra strano parlare di questo argomento, eppure è un fenomeno che negli ultimi decenni è cresciuto in modo esponenziale. Da studi e fonti recenti il 75% del mondo è a rischio di desertificazione, e in buona parte si trova già in stato desertico. Se persistono queste condizioni si prevede di arrivare al 90% nel 2050. Nell’immaginario infantile il deserto è quella landa di sabbia e dune dove c’è sempre il sole e tanto caldo; in realtà esistono molti tipi di terreno desertico in cui l’unica costante è la scarsezza di precipitazioni. Una zona desertica si può formare in molti modi: il più classico è, come già detto prima, l’assenza di precipitazioni che non bagna il terreno e rende la terra asciutta e arido; ma anche incendi e sfruttamento eccessivo del terreno possono impoverirlo fino a renderlo non più fertile.
I cambiamenti climatici hanno naturalmente avuto un impatto molto negativo sul terreno e gli equilibri delle coltivazioni ma gran parte della colpa è anche dell’uomo. Con la diffusione di regimi alimentari quali essere vegetariani o vegani e diete che richiedono alcuni prodotti o determinati processi, ma anche semplicemente con l’aumento costante della richiesta i produttori e le aziende agricole per soddisfare quelle devono continuamente incrementare la produzione in larga scala anche con metodi più innovativi. Oltre gli ormai diffusi OGM gli ingegneri e biologi agricoli, in collaborazione con altri scienziati stanno studiando nuovi metodi per ricavare più prodotti in meno tempo, più varietà con meno occupazione di spazio; uno studio recente, infatti, ha fatto sì che dei fiori di ciliegio fossero mandati sulla luna per 8 mesi e, a causa dei diversi cicli e rivoluzioni di Terra e Luna, una volta piantato i semi di questi fiori sulla terra questi sarebbero fioriti 6 anni prima del previsto.
Avendo attestato che ci sono studi ed interessi su questo fronte, la situazione rimane comunque molto preoccupante. L’incremento della richiesta è accompagnata da una scarsa attenzione e cura verso il nostro pianeta: fare scioperi e adottare diete vegetariane o vegane oppure salutiste non serve se dietro non c’è un certo riguardo verso la natura e i suoi processi, e verso i suoi tempi. Gli allevamenti hanno un impatto sull’inquinamento, ma lo sfruttamento del terreno e le piantagioni non sono da meno: la produzione agricola in sé stessa in aggiunta alle produzioni di prodotti per i miglioramenti e le agevolazioni di questa, quali fertilizzanti chimici e pesticidi, causano inquinamento. Il problema principale, però, come per l’allevamento, non è il produrre, ma il produrre troppo e smodatamente, senza tener in considerazione che la natura ha i suoi ritmi e meccanismi che, se forzati, potrebbero esserci ripercussioni inimmaginabili.
La soluzione sarebbe imparare a conoscere la Terra, la natura e tutto ciò che la concerne, capendo e rispettando i suoi funzionamenti e meccanismi, non forzandola. Il primo passo, che nessuno considera ma è fondamentale, è rispettare la stagionalità: già molto spesso non viene rispettata quella della frutta e della verdura, ma anche il pesce e la carne, anche se in maniera differente, hanno la loro stagionalità. Questa consapevolezza e cura, se operata su larga scala, permetterebbe già un sfruttamento minore del terreno, prestando più attenzione a quale siano i suoi tempi e passaggi naturali; inoltre noi umani, in quanto ancora parte della natura, rispettando la stagionalità dei cibi potremo beneficiare di ciò, essendo il nostro corpo predisposto e spinto verso questi ritmi ormai in parte persi.
Celebriamo quindi questa giornata, per imparare sempre meglio a rispettare la natura.