Siamo davvero sicuri di saperle usare?
di Alice da Prato
Per esprimerci usiamo le parole. Esse servono per creare un’immagine della realtà e ci aiutano a descriverla. Fin da quando siamo bambini ci vengono spiegate determinate parole con un determinato significato. E se questo non fosse quello giusto?
La grammatica da una spiegazione oggettiva alle parole, le classifica in base alla forma, le analizza e le studia. Ma nessuno, nemmeno la grammatica, ci sa dire il vero significato delle parole.
Forse perché semplicemente un vero significato non c’è. Non esiste un significato univoco che viene attribuito ad una parola. In fondo, cosa sono le parole, se non un susseguirsi di lettere. Sta a noi decidere il senso di quelle lettere messe in fila.
Ormai non prestiamo nemmeno più attenzione a ciò che diciamo ma andiamo in automatico, non ragioniamo sulle parole e le scegliamo per suono, quelle che stanno meglio insieme vengono scritte o dette. Nessuno quando parla, scrive o racconta, si ferma veramente a capire cosa si intende per quel termine che stanno usando.
Nelle descrizioni di un luogo, spesso ci è stato detto di argomentare, non basta dire che la casa è bella ma serve dire perché. Se facciamo questo ragionamento diamo per scontato il significato di bello. Perché solo sapendo il significato di qualcosa siamo in grado di spiegarlo a chi non è nella nostra mente per capire cosa vogliamo dire.
Ma se nemmeno la nostra mente sapesse davvero cosa vogliamo dire? Spesso la difficoltà dell’esprimersi sta proprio nel non trovare le parole giuste. Quante volte abbiamo sentito dire “non mi vengono le parole”, ma non sono le parole a non venirti in mente, è il loro significato a non esserti chiaro.
Di solito in una lingua il significato di una parola viene deciso, in modo da non avere fraintendimenti nella comunicazione, immaginate un dialogo tra due persone che associano alla stessa parola un’immagine diversa, un significato che non coincide con quello scelto dal compagno. Potremmo forse immaginare questo dialogo come quello tra Gandalf e Bilbo nel primo film de Lo Hobbit:
Bilbo: “Buongiorno”
Gandalf: “Che cosa vuoi dire? Mi auguri un buon giorno o vuoi dire che è un buon giorno che mi piaccia o no? O forse vuoi dire che ti senti buono in questo particolare giorno? O affermi semplicemente che questo è un giorno in cui occorre essere buoni?
L’esempio preso in causa è di ovvio significato deleterio, infatti la scena e il film da cui è tratta sono principalmente di intrattenimento. Ma se una situazione del genere avvenisse nella realtà? Siamo così sicuri che questo esempio sia completamente discostante dal nostro mondo?
Molte parole, fin da quando siamo bambini, ci vengono spiegate con termini diversi, e a tutti i bambini vengono dette allo stesso modo, così da avere sì un sistema di parole con significato univoco, ma non un sistema approfondito del vero senso di ciò che ci diciamo.
Prendiamo in esempio la parola “egoista”, subito nella nostra mente appare un’immagine negativa, di qualcuno o di qualcosa che non vorremmo intorno.
Analizzando però la parola nello specifico, risparmiando l’etimologia latina, possiamo vedere la sua derivazione da ego, che vuol dire niente di meno che io. Dunque il termine egoista non è altro che un modo per descrivere una persona che pensa ai propri bisogni e ai propri beni.
Ciò nonostante, nella nostra quotidianità siamo soliti associare questo termine ad una persona che in automatico viene definita cattiva, crudele. Ma cosa vuol dire effettivamente “cattiva”? E “crudele”?
Siamo davvero sicuri di saper parlare correttamente? Spesso basterebbe soffermarsi di più a pensare, e a cercare di capire nel profondo ciò che voglio dire e ciò che ci viene detto.
Se per me egoista volesse semplicemente dire che sono concentrata su me stessa, che mi voglio trattare bene solo ed esclusivamente per amor proprio? Detta così suona molto meglio rispetto a prima.
A questo proposito possiamo accennare ad un concetto un po’ più complicato che però rappresenta e spiega al meglio questa idea delle parole e del loro significato. Mi sto riferendo agli idola di cui parla di Francesco Bacone, che si propone con la sua teoria di rendere gli uomini coscienti di quelle false nozioni che ingombrano la loro mente e non aprono loro la strada verso la verità. Esistono quattro generi di idoli, ma quelli che ci interessano per il nostro ragionamento sono gli idola fori, ovvero gli idola riconducibili al linguaggio: essi sono una categoria di errore logico che risulta dalle corrispondenze imperfette tra le definizioni delle parole nelle lingue umane e le cose reali della natura che queste parole rappresentano.
Per Bacone sono queste le cause della lontananza dell’uomo dalla verità, dalla vera conoscenza della realtà e della natura; sono queste le cause degli errori dell’uomo nel percepire la realtà. Che questi idola assumano significato di pregiudizi, o di una qualsiasi cosa astratta più modellabile con la realtà moderna, come ci suggerisce Bacone, dovremmo rimuoverli dalla nostra mente per avere così una visione completa della realtà.
Se non ci avete mai fatto caso vi invito a pensare a quante volte attribuiamo un significato ad un termine in modo automatico e per il cosiddetto “è così”. Soffermiamoci di più a pensare e usiamo le parole come crediamo più opportuno, senza essere condizionati dall’uso comune. Perché comune non vuol dire corretto.