di Rebecca Giusti
Alcuni luoghi nella nostra società sono sempre stati guardati con occhio critico ed espressione rassegnata, perché tutti sappiamo cosa sono ma in realtà è meglio non parlarne. Tutti abbiamo un qualcuno di conosciuto o di sentito dire da varie chiacchiere che è stato in comunità, ma quando le persone tornano sull’argomento è più facile fare spallucce con fare contrito e sussurrare: ‘Oddio, povero Giacomo/Luca/chi volete voi, sembrava tanto un bravo e bel ragazzo’ , girando lo sguardo e mantenendo quei trenta secondi di silenzio che ci permettono di cambiare argomento e tornare a parlare della discussione interrotta. Perché in realtà è molto più comune non nominare neanche quelle brutte e cattive malattie di cui la gente soffre così tanto, ma, secondo l’opinione pubblica, è decisamente più adeguato guardarle con rammarico e sospetto in modo tale che alla fine nessuno creda fino in fondo che esistano davvero o la gente possa guarire da quei terribili mali che vengono dipinti come ciò che di più terribile esiste sul globo terracqueo. Le cliniche, i Rehab, i centri di ricovero sono posti che esistono davvero dove le persone stanno sul serio, e quel Giacomo o Luca che nominate non è solo un’entità passeggera in discorsi di ben altro calibro, ma in quel momento si trova, molto probabilmente, a soffrire da solo.
Molte sono le patologie curabili in questi posti, e sono state trattate così diversamente nel corso della storia che è difficile riuscire ad elencare tutti i modi in cui sono state viste ed è stato ritenuto possibile mettere fine al dolore di qualcuno in un determinato modo piuttosto che in un altro.
Sono state trovate tracce di patologie riconducibili alla depressione in alcuni papiri egizi risalenti circa al 3000 avanti cristo e nella cultura Babilonese si trovano accenni ad una sensazione chiamata “il male oscuro” che sembra molto simile a ciò che provano oggi i pazienti in cura, con inappetenza, spossatezza e sensazione perenne di disagio. Al tempo di Ippocrate si credeva che questo fosse riconducibile ad un disturbo nell’organismo: bile nera e muco nella nostra mente. Cinquecento anni prima di Cristo si registravano dipendenze da alcool in Grecia, dove la coltivazione dell’uva era molto sviluppata ed il consumo, di conseguenza, molto alto. Lo stesso Alessandro Magno, grande personaggio del passato, si crede che sia morto per una cirrosi alcoolica. Non proprio una morte da eroe a quanto pare. Anche nel Nuovo Mondo, circa nel diciottesimo secolo, si nota un’importante consumo di superalcolici e birra, che portarono molti uomini ad uno stato di ebbrezza più o meno costante.
D’altra parte, anche i metodi per curare queste problematiche si sono molto differenziati nel corso della storia: fino al 1300 avanti cristo si optava per l’esorcismo, necessario a combattere lo squilibrio umorale interno che portava poi ad uno stato di “follia”. Fino all’800 si studiarono molte tecniche: dai roghi alle segregazioni, fino ad arrivare ai manicomi e all’elettroshock. Solo nella seconda metà del Novecento si introdusse la matrice della nuova psichiatria, volta a migliorare la vita delle persone senza distruggerla completamente o annientarla come era successo nei secoli passati. Al giorno d’oggi sono presenti moltissime politiche riguardanti la salute mentale dei cittadini di ogni stato (anche nella nostra costituzione italiana), che garantiscono l’accesso alle cure a tutta la popolazione per attenuare e guarire queste patologie, equiparabili quasi ad un male fisico per i pazienti che ne soffrono.
Nonostante i tempi siano cambiati e la ricerca e la sensibilizzazione in questo ambito siano cresciute, anche oggi rimane una sorta di interrogativo su come agire per curare queste persone. I metodi utilizzati nella controversa comunità di San Patrignano per esempio, senza consumo di psicofarmaci per trattare le dipendenze ma utilizzando metodi alla stregua della disumanità talvolta, sono leciti se permettono a questi individui di guarire? Prevale l’etica o la volontà di fare del bene perché il fine giustifica i mezzi? Come riuscire a capire se per un certo paziente risulta più efficace la terapia singola in una clinica o una vita in comune con altre persone che soffrono come lui? Queste domande, molte volte, rimangono senza risposta.
Secondo molti studi la sostanza di abuso principale che viene consumata è la cocaina e l’età dei consumatori nel tempo si sta molto abbassando. Nel corso del 2017 questa sostanza è stata usata da circa il 2% dei giovani compresi tra i 15 e 30 anni circa, ma nel corso della vita di questi ultimi la percentuale cresce quasi triplicandosi. L’abuso di droghe sono la causa di circa il 35% degli ingressi in carcere negli ultimi anni, stando ad alcuni rapporti. Quasi il 10% della popolazione a rischio, quindi in età compresa tra i quindici e i vent’anni, sviluppa un qualsiasi sviluppo alimentare, la cui percentuale di morte è circa dell’1/2% (numeri troppo alti per questo orrendo male).
Persone scelgono di frequentare costosissime cliniche private in Svizzera (come per esempio il ‘Paracelsus’: il più costoso Rehab al mondo di cui si può vedere un’interessante documentario sul canale youtube VICE), altri credono che per loro il metodo migliore sia ricoverarsi in un luogo dove sia prevista costantemente la terapia di gruppo per convincersi di non essere gli unici ad avere un vuoto dentro. Credo però che la maggior parte delle persone si limiti a stringere le ginocchia al petto o stendersi sul letto lentamente, pensando che tutto quello in cui si trovano sia solo un enorme tunnel che impiegano tutta la vita a percorrere e nel momento in cui credono sia possibile uscire dal quel tubo di plastica, scoprono che sfortunatamente era un vicolo cieco e devono di nuovo incamminarsi nel verso opposto, rimanendo sempre chiusi in quella sorta di scatola. Le persone, per questo modo che tutti abbiamo di vedere chi sta male come un qualcosa che, nonostante il suo ex-temperamento mite e dolce, si è improvvisamente guastato e rotto, si convincono loro stesse di non essere giuste per quello che le circonda. È importante capire, a mio modesto parere, che tutti noi stiamo male prima o poi (non è una sorta di pessimismo cosmico eh, solo la triste realtà), il problema è capire come ti sentirai tu nel momento in cui cadrai e la frase che ti sentirai rivolgere improvvisamente sarà: Peccato, eri tanto bravo prima! Queste non sono solo frasi di circostanza per chi le sente ed è costretto nel dolore a causa di se stesso, è necessario cercare di comprendere i meccanismi interni di questi individui, ma non solo da dottori specializzati, psichiatri e psicologi ma soprattutto e in maniera maggiore dalle persone comuni, che spesso non si sentono parte della sofferenza del prossimo nonostante involontariamente la alimentino con le osservazioni superficiali e il finto interesse che dimostrano.
Michelle Obama e Lady Gaga hanno sofferto di depressione. Demi Lovato si dichiara su quasi i tutti i giornali “bipolare, fiera di esserlo”. Alanis Morisette, Lindsay Lohan e Jessica Alba hanno avuto disturbi alimentari. Alessandro Gassman e Selena Gomez parlano apertamente di aver avuto grandi problemi di ansia. Queste non sono storie troppo lontane dalla nostra, inconcepibili da noi comuni mortali e perfette in ogni momento della loro vita, ma umani che ridono, scherzano, si prendono in giro, si sentono inadatti molte volte, guardano i nostri stessi comici o tristi programmi Tv, piangono e cercano malgrado tutto, di aiutarsi come possono.