Quando il merito nasconde il privilegio
di Riccardo Orgolesu*
Negli ultimi vent’anni, il Ministero della Pubblica Istruzione ci ha tirato diversi scherzetti. Prima, senza dirci nulla, ha ben pensato di cancellare “pubblica” dalla sua targhetta. Ora, invece, ci ha addirittura aggiunto la parola “merito”! Beh, certo, questa volta nello scherzo si è portato dietro anche gli altri: pensate che abbiamo addirittura il ministero dello sport. Per non parlare del ministero dell’ambiente e della “sicurezza” energetica, che sostituisce la transizione, o di quello delle politiche del mare (ah, però, pure repubblica marinara!). Giurerei anche di aver sentito un certo sovrano delle foreste, tra i nostri ministri.
Scherzi a parte, il nuovo governo ha apportato numerose modifiche ai nomi dei diversi dicasteri, tanto che alcuni sono davvero irriconoscibili, ed è difficile capire quali fossero fino a qualche mese fa. Sono alterazioni che non necessariamente rispecchiano reali mutamenti nell’area di competenza del ministero, ma sono più che altro un tentativo bislacco e mal riuscito di dare l’idea di un esecutivo che vuole cambiare le cose.
La scelta dei nomi, anche se in alcuni casi non fa ben sperare nel progresso, è coerente con quelle che sono le battaglie tradizionali della destra nostrana: la sovranità, o forse sovranismo, la sicurezza, la famiglia “tradizionale”, per citarne alcune. E, in fondo, cosa ci si poteva aspettare? La destra fa la destra, e in una democrazia è giusto così, con buona pace di chi, come il sottoscritto, questi nuovi nomi proprio non li regge.
Comunque sia, i cambi di targhetta sono stati ampiamente criticati. In primis, già da anni è stato tolto “pubblica”, come a dire che la scuola non lo è più, non è più di tutti. Ma, soprattutto, è stato aggiunto il merito. Il rischio è che il merito e la tanto agognata meritocrazia diventino una maschera per nascondere il privilegio.
In realtà, volendo dare il beneficio del dubbio, c’è da considerare che il merito è un valore sancito dalla nostra costituzione: l’articolo 34 recita che “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”
Il merito, nel modo in cui lo si intende nella nostra costituzione, è sacrosanto, perché, come ci ricorda Chiara Saraceno nel suo articolo Scuola, perché il merito va fatto fiorire su La Repubblica, è una forza democratica, l’antidoto alle discriminazioni e ai privilegi.
Saraceno ci ricorda anche che il merito, prima di essere riconosciuto, e giustamente premiato, deve avere la possibilità di maturare. E il privilegio, oltre a essere quel male che solo il merito può sconfiggere, è anche un ostacolo proprio alla sua maturazione.
Privilegi, stereotipi, discriminazioni, sono tutti quegli ostacoli che la scuola realmente meritocratica aiuta a superare. Una scuola inclusiva, che tiene conto non solo dei risultati, ma soprattutto delle condizioni di partenza e delle inclinazioni di ognuno. Non c’è merito, se non partiamo tutti dalla stessa linea. Usain Bolt sarebbe forse ricordato come il più grande velocista di tutti i tempi, se in tutte le sue corse fosse partito un secondo prima degli altri?
Per sviluppare il merito, che è quel valore che tutti possono avere, quando l’istruzione si preoccupa davvero delle loro esigenze, occorre che la scuola non lasci indietro nessuno e diventi un luogo sicuro, in cui i ragazzi non sono influenzati da tutti quegli ostacoli rappresentati dalle condizioni economiche, sociali, familiari, personali.
Diciamoci la verità: la scuola in Italia non è esattamente tra le più inclusive, e i risultati si riflettono nell’alto tasso di dispersione. Inoltre, ci si sta allontanando sempre più dal vero senso della scuola, che è quello di formare, attraverso la cultura e il contatto con coetanei e docenti, individui dotati di spirito critico, e di svilupparne appunto il valore.
Al contrario, negli ultimi tempi sembra che si voglia riformare la scuola e trasformarla nell’anticamera del mercato del lavoro. Si pensi alla relativamente recente introduzione dell’alternanza scuola-lavoro, poi chiamata “PCTO”, che troppo spesso diventa niente più che uno stage gratuito in cui gli studenti sono lasciati a se stessi, invece di essere guidati, e magari ci muoiono pure, come è successo lo scorso anno a Giuliano De Seta, a Lorenzo Panelli, a Giuseppe Lenoci. Insomma, un’altra idea di per sé non sbagliata, ma realizzata poveramente.
Ma se il governo, a parole, rassicura sulla natura del “merito”, nei fatti sembra tuttavia che non abbia intenzione di costruire quelle condizioni per cui tutti abbiano le stesse possibilità. In fondo, da un ministro che parla di umiliazione come “fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità” e denuncia i propri studenti non ci si può aspettare molto.
A far storcere il naso sono i primi provvedimenti in campo scuola. Dal ripristino dei fondi alle scuole paritarie, al “ridimensionamento programmato” degli istituti scolastici, alla sostituzione del bonus cultura 18app. Evidentemente, non è giusto che tutti possano accedere alla cultura. Perciò, si cambia registro. Dal 2024 il 18app sarà sostituito da due bonus cumulabili: la Carta Cultura, erogata su base Isee, che va a braccetto con le mancette agli evasori in legge di bilancio, e la Carta del Merito, assegnata a chi avrà conseguito il punteggio massimo all’esame di maturità. Insomma, chi è “meritevole” ha diritto alla cultura, mentre tutti gli altri no.
Attenzione: non si vuole insinuare che chi prende il massimo dei voti alla maturità sia un privilegiato. Si vuole soltanto ricordare che la cultura è un patrimonio di tutti, che è uno di quegli elementi fondamentali nella formazione dell’individualità di ciascuno, e che è ingiusto non dare a tutti la possibilità di usufruirne.
È qui che il merito si trasforma in privilegio. E poi, torniamo sempre allo stesso punto: si prende in considerazione solo il traguardo, il risultato, senza guardare al punto di partenza e al percorso. Si chiede a una rondine e a un pinguino di salire su una muraglia di ghiaccio nel freddo antartico. Ma la rondine, pur sapendo volare, muore di freddo, mentre il pinguino, che sopravvive grazie alle sue piume, resta coi piedi saldi a terra.
Ma se si desse alla rondine un cappottino, e al pinguino una scala, allora entrambi avrebbero i mezzi per dimostrare il proprio valore nello scalare quella muraglia. Invece, sembra che il Ministero dell’Umiliazione e del Merito continuerà a tagliare le ali alla rondine, a spogliare il pinguino del suo piumaggio e a premiare l’uomo che è salito sulla muraglia in elicottero.
*Riccardo Orgolesu frequenta la classe I B del Liceo classico Antonio Gramsci di Olbia