di Alessandro Rosati
C’è una Chiesa, più precisamente una Basilica, poco fuori Torino. Sorge su un colle e sovrasta il panorama piemontese. Si trova lì ormai da più di 300 anni e si slancia imponente e solenne per dominare il paesaggio.
C’era, la Basilica di Superga, anche 71 anni fa.
C’era anche alle 17:03 di quel 4 Maggio 1949, quando un aeromobile FIAT G.212 si schiantò contro il suo muro posteriore senza lasciare alcun sopravvissuto.
Quell’aereo trasportava in totale 31 persone: l’equipaggio e il Grande Torino.
Ma riavvolgiamo un attimo il nastro.
Dieci anni prima i granata passano sotto la proprietà dell’industriale Ferruccio Novo, che comincia un progetto rivoluzionario. Si circonda di esperti, come all’epoca suggeriva il sicuramente migliore metodo Inglese, che spaziavano da ex calciatori, passando per allenatori e tecnici. Antonio Janni, Mario Sperone, Campioni d’Italia nel 1928; Leslie Lievesley, ex giocatore del Manchester United e Ernő Egri Erbstein ex allenatore protagonista delle migliori annate della Lucchese, tra il 1933 e il 1938 sono solo alcuni dei nomi che entrarono a far parte dello Staff Tecnico, come diremmo oggi, del Torino.
Nell’estate 1942 vengono acquistati due giocatori fondamentali per il salto di qualità: Mazzola e Loik, quelli che in un certo senso con i loro goal da avversari avevano costretto i granata ad accontentarsi del secondo posto la stagione precedente.
Una rosa molto attrezzata e un sistema di gioco innovativo (importato dall’Inghilterra) portano molti a considerare il Torino favorito per il titolo. Infatti, a fine stagione 42/43, la bacheca granata verrà arricchita con il primo double (Campionato e Coppa Italia) del calcio Italiano.
È l’alba di quello che ai posteri rimarrà come il “Grande Torino”, che sarà la spina dorsale della Nazionale del Ct Pozzo.
Fatta esclusione della piccola parentesi del 1944, dovuta ovviamente alla guerra in corso e che vide la squadra di Novo partecipare a un girone Ligure-Piemontese, il Toro vince tutte le edizioni del campionato fino alla stagione 1948/49.
L’ultimo dei cinque Scudetti consecutivi che resero famosi i granata nel mondo viene però segnato indelebilmente dalla tragedia di Superga, dove persero la vita quasi tutti i componenti della rosa.
La squadra gioca la sua ultima partita a Lisbona. Era un’amichevole contro il Benfica del Chico Ferreira, organizzata proprio in onore del capitano dei padroni di casa. Il match termina 4 a 3 per i Portoghesi, poi la partenza per il ritorno in Italia.
Dopo uno scalo a Barcellona, l’aeromobile delle Avio Linee Italiane comunica con la torre di controllo: c’è una nebbia fittissima, perturbazioni e vento, la visibilità è a 40 metri (quasi nulla per un pilota). L’aereo si prepara all’atterraggio, ma qualcosa va storto. Probabilmente il vento modifica la traiettoria prevista dal pilota facendo virare l’aereo e l’equipaggio, complice forse anche un malfunzionamento dell’altimetro (strumento che indica l’altitudine), non può vedere il Colle di Superga che si avvicina pericolosamente.
Lo schianto è micidiale. Il cappellano della Basilica infatti dirà “Ho sentito un rombo, paurosamente vicino, poi un colpo, un terremoto. Poi il silenzio.”
Ed eccoci all’inizio.
La vicenda scosse non solo i tifosi di parte, ma l’Italia intera. Più di 600mila persone parteciparono ai funerali dei giocatori, compreso Giulio Andreotti in rappresentanza del Governo.
E dopo 71 anni, il Grande Torino vive ancora forte nella memoria di tutti noi perché, come scrisse Indro Montanelli, “il Torino non è morto: è soltanto “in trasferta””.