La giustizia nel 202510 min read

 

di Michele Puccini

La figura del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, quest’ultimo più comunemente noto nel linguaggio comune come p. m., è complessa e distinta secondo l’ordinamento italiano. La magistratura è infatti quell’organo che esercita uno dei tre poteri sanciti dalla Costituzione: quello giudiziario. Molto spesso, nell’immaginario collettivo si fa troppe volte confusione o si hanno malinterpretazioni di come funzioni la macchina statale: il potere giudiziario non è in alcun modo collegato al potere esecutivo, proprio del governo, o a quello legislativo, proprio del parlamento. Esso infatti ha una funzione di controllo e ha il compito di giudicare e punire chi commette reati, ovvero chi agisce contro la legge. Inoltre spetta agli organi che dispongono di questo potere stabilire la legittimità delle stesse leggi promosse dalle camere ed eventualmente dichiararne la parziale o totale illegittimità, portando a una revisione dei loro testi.
Spesso, i ruoli di pubblico ministero e giudice sono facilmente scambiati, nonostante abbiano compiti diversi e non sempre siano intraprendibili contemporaneamente. In Italia, il pubblico ministero è quell’individuo le cui funzioni sono di natura giurisdizionale e nei fatti procede a svolgere le indagini.Dall’altra parte il giudice è quella figura che ha il compito di stabilire la fondatezza dell’accusa, assolvendo o condannando l’imputato.
Entrambi i poteri dei due ruoli sono regolati dall’articolo 102 della Costituzione.
Quando ci avviciniamo a “uomini di legge” si prova un insieme di sensazioni contrastanti che spaziano dall’ammirazione per il ruolo svolto al timore verso il severo distacco dalle proprie emozioni che questo ruolo dovrebbe comportare in situazioni difficili.
Inoltre non possiamo fare a meno di associare questi individui ai due magistrati per eccellenza ovvero Falcone e Borsellino e alla loro comune tragica fine.
Nel 2022, con la riforma promossa dall’allora Ministra della Giustizia del governo Draghi, Marta Cartabia, vi fu un tentativo di irrigidimento dell’intercambiabilità delle due carriere entro i primi dieci anni di professione ma il referendum non raggiunse il quorum, cioè la percentuale di votanti necessaria al fine di garantirne la validità, e, nonostante la vittoria del sì, esso non passò.
La proposta fu approvata dai votanti con un netto scarto di più di quattro milioni di voti per un totale di circa otto milioni e ottocentomila partecipanti, secondo i dati forniti dal quotidiano “la Repubblica”.
Con l’attuale gestione del ministero da parte dell’ex magistrato e saggista Carlo Nordio vi è nuovamente in discussione in parlamento una proposta di legge che mira a separare in maniera decisiva queste carriere, sdoppiando inoltre il consiglio superiore della magistratura (CSM) in due organi distinti per ognuna delle due figure, favorendo così la nascita di un’Alta Corte Costituzionale.
Questa decisione porta numerosi pro e contro: da una parte è indiscusso che favorirebbe l’imparzialità delle indagini ed un netto equilibrio tra accusa e difesa permettendo di avere una maggiore chiarezza dei ruoli e una più forte indipendenza dei giudici, la cui carriera non verrebbe più influenzata dalle esperienze fatte come pubblici ministeri.
Dall’altra essa segnerebbe però un negativo avvicinamento ai sistemi giuridici anglo-sassoni e dei paesi francofoni, infatti la struttura normativa proposta dai nostri padri costituenti, pur complessa e macchinosa essa sia, è finemente strutturata per essere un qualcosa di efficace al nostro modello sociale di Paese neo-latino.
L’importazione di un modello estero può non risultare quindi una soluzione vincente.Ulteriore rischio è inoltre la possibile subordinazione del ruolo del pubblico ministero al potere esecutivo il che, invece, finirebbe, paradossalmente, per compromettere l’indipendenza delle indagini.
Infine, avere un giudice che ha svolto entrambe le mansioni non comporta soltanto aspetti negativi, ma anche positivi: i due eroi della lotta alla mafia e dal destino infausto citati prima sono i casi simbolo di come svolgere entrambi i ruoli possa contribuire ad arricchire il proprio bagaglio culturale e professionale.
Riprendendo la seconda obiezione è interessante notare come in passato le funzioni del potere giudiziario erano esercitate dalle stesse persone che godevano dei ruoli chiave all’interno del potere legislativo o di quello esecutivo: esempi lampanti sono le Monarchie Illuminate dell’Europa del XVII e del XVIII secolo oppure i regimi totalitari del ‘900 dove la polizia godeva di poteri speciali.
È evidente come in contesti di questo tipo la politica domini i processi e l’errore giudiziario sia molto più probabile piuttosto che in situazioni come quella moderna dove vi sono rigide norme e protocolli al fine di garantire l’imparzialità, ad esempio la presenza oltre che dell’accusa anche della difesa, di un giudice che deve essere per l’appunto terzo ed equo, di testimoni, di prove chiare, della pubblicità del processo e della chiarezza e certezza della sentenza.
L’interrogatorio viene inoltre svolto sempre dal pubblico ministero o da un ufficiale di polizia giudiziaria ma esso si deve realizzare nel totale rispetto dei diritti umani e della persona, senza alcun tipo di violazione, come può essere la tortura.
In assenza di prove, poiché il sistema giudiziario italiano si basa sul principio di innocenza, l’imputato viene assolto.
Esempio celebre di come senza queste norme si rischi il fallimento della giustizia e di come essa diventi meramente preda del giudizio popolare o politico è la famosa “Storia della Colonna Infame” di Alessandro Manzoni, tratta dai “Promessi Sposi”. Il testo rispecchia pienamente la visione manzoniana della realtà per cui la vera giustizia non è quella terrena ma quella divina, cioè dopo la morte, infatti è evidente come il processo realizzato sia stato un’enorme menzogna e una vera e propria beffa per la dignità degli accusati che pur essendo innocenti, e i giudici consapevoli di ciò, furono messi a morte e uccisi per placare il furore di massa diffusosi.
Da questa storia, oltre che il pensiero pessimista di Manzoni, emergono numerosi aspetti interessanti perché estremamente vivi ed attuali nella società moderna nonostante i numerosi progressi fatti nel campo dei diritti e delle tutele.
La veridicità delle testimonianze, l’importanza dell’esercizio in modo equo delle funzioni del giudice, il senso di giustizia che dovrebbe essere proprio della sua anima e il non far influenzare da pressioni esterne il verdetto sono gli esempi più evidenti.
In Italia infatti, mai come nell’ultimo periodo, si è discusso sulla politicizzazione o sulla corruzione della giustizia. L’assicurarsi di evitare questa deriva è fondamentale altrimenti si rischia che il braccio della legge diventi solo uno strumento con cui fare ostruzionismo o con cui personaggi desiderosi di prendere il potere possono eliminare avversari o rivali scomodi.
Esempi di ciò sono la Russia o i Paesi dell’Est Asiatico che sono vittime di questo sistema che serve ai leader in carica per reprimere il dissenso. L’altro elemento preponderante sono le pressioni pubbliche.
Fin dall’Antichità l’uomo dispone di due armi potentissime: più forti della pena di morte, della bomba atomica o di qualunque altro missile o sistema di difesa, queste sono la parola e la propaganda.Sono pressoché infiniti gli esempi che si possono prendere dal corso della storia in cui un personaggio famoso, che è stato coinvolto in scandali o situazioni estremamente scomode, ha deciso di sfruttare la sua posizione sociale ed economica per imbastire una vera e
propria campagna per difendere la sua immagine.
Inoltre sono proprio questi personaggi che possono permettersi gli avvocati e gli esperti di diritto migliori disponibili.
Imbastendo questa vera e propria “lotta mediatica” si mette pressione ai magistrati che, un po’ per timore un po’ per omertà, proprio come i giudici della Colonna Infame, finiscono per dare sentenze che non rispecchiano la realtà.
Malgrado questi esempi risultino quasi spontanei con le campagne a difesa di qualcuno, non lo sono altrettanto con le campagne denigratorie per via di un bahias cognitivo proprio dell’uomo. Infatti se una persona viene ritenuta “sospetta di un reato” iniziamo, per un meccanismo pressoché inconscio, ad associarla ad esso prima ancora prima ancora di avere prove a sufficienza. Sono proprio le campagne denigratorie infatti, per via di questa infimità, che si dimostrano
ancora più potenti. Specialmente quando si è in presenza di un reato grave il popolo, improvvisamente, conferma di essere la massa informe di cui parla Manzoni, e, influenzato da fattori che spaziano dalla convenienza personale alla simpatia passando per i luoghi comuni, fa le veci di un feroce affamato di giustizia esperto in diritto penale o costituzionale.Se la denigrazione o la gogna mediatica avviene su un individuo comune, non benestante, che non ha i mezzi per imbastire una campagna di difesa, questa è ancora più pesante e
ancora una volta rischiamo il ripetersi di situazioni simili a quelle della storia proposta dallo scrittore milanese.
Fanno clamore in uno stato laico e di diritto come il nostro i casi in cui i giudici subiscono aggressioni o vengono assaliti a seguito di un verdetto. Altrettanto clamore suscitano però i casi in cui il testimone o i testimoni, elementi chiave del
processo, dichiarano il falso. Nella digressione dei Promessi Sposi i “presunti colpevoli” furono condannati per via della testimonianza, presa per reale senza alcun tipo di riscontro, di una donna che accusò il primo dei due e quest’ultimo, sotto tortura, dichiarò il falso nel tenativo di salvarsi, accusando il secondo.
È impossibile pensare che le dichiarazioni di un uomo sottoposto a supplizi fisici di vario genere coincidano per forza con la verità anche perché pur di far finire i dolori di cui è vittima potrebbe dire qualsiasi cosa.
Nella secolo scorso, invece, un celebre caso di falsa testimonianza si riscontra con la controversia di Enzo Tortora, dove il noto presentatore televisivo degli anni ‘80, a causa delle dichiarazioni mendaci di due ex pentiti, Pasquale Barra e Giovanni Pandico, dovette scontare una pena che non meritava perché questi dissero che egli era l’intermediario per vendere la droga a svariate personalità del mondo dello spettacolo.
Tra i capi di accusa che pesarono su di lui troviamo associazione camorristica e traffico di stupefacenti.Tortora fu dichiarato innocente soltanto alcuni anni dopo.
Questa terribile vicenda fa emergere un problema ancora più ampio che attanaglia la società italiana ormai da tempo: quello della mafia, che ha causato la morte proprio di Falcone e Borsellino, e con annesso quello dei pentiti.
Se da un lato Buscetta e Di Matteo sono stati due grandi collaboratori di giustizia dall’altro il prezzo morale ed umano che le stesse associazioni di cui facevano parte gli hanno fatto pagare è servito per allontanare molte altre persone da quella strada e a favorire i falsi testimoni come Vincenzo Scarantino.
In un Paese come il nostro, dove i reati più comuni non sono i crimini violenti, che fanno più clamore perché sono in aumento rispetto al passato per via della cattiva gestione di problemi sociali non risolti nel corso degli anni, ma quanto più quelli legati all’abuso d’ufficio, alla corruzione, al favoritismo e all’associazionismo illecito: adottare un sistema estero che non tiene conto dei nostri reali problemi nazionali porta, inevitabilmente, non a risolvere queste situazioni, ma a lasciarle impunite, sdoganandole, e portando il loro numero ad aumentare sempre più.
Ciò offre pure due ulteriori riflessioni. La prima che il senso di accettazione verso il fenomeno mafioso, della mancanza di rispetto verso l’Istituzione e dell’associazionismo illecito sono in aumento e sono ormai talmente tanto già consolidati che stanno, a poco a poco, portando a alla rassegnazione nei confronti anche dei reati violenti. La seconda è che se il nostro sistema giudiziario, basato sul diritto romano e già di per sé nato in un contesto difficile, viene sottratto delle uniche soluzioni efficaci che ha a disposizione per gestire certi fenomeni esso finirà poi per collassare su sé stesso.
Alla luce di ciò sorge poi spontaneo chiedersi, visto che coinvolge la nostra attualità, se i testimoni di mafia hanno ancora un senso e se siano ancora utili.
La risposta è ovviamente molto più complessa di un banale sì o no.
Essi svolgono un ruolo cruciale nelle indagini, bisogna però assicurarsi attentamente dell’autenticità di ciò che dicono per evitare di incombere in falsità che possono far crollare l’intero processo.Si può soltanto sperare in una sorta di “risveglio di coscienza” di questi individui e che dimostrino la loro redenzione, proprio come bisogna sperare che a differenza dei giudici della Colonna Infame i magistrati attuali, presi del buon senso, se consci dell’esistenza di
una legge applicabile ma ingiusta decidano, anche se ciò comporta rischi enormi, di non applicarla e di seguire la ricerca di giustizia e verità che dovrebbe aver segnato la scelta della loro carriera.
PER ASPERA AD ASTRA.

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