Facciamo chiarezza di fronte alla disinformazione in merito.
di Alice da Prato
Ormai tutti noi avremo di sicuro sentito parlare di inflazione, chi perché si è sempre domandato come mai non si potessero stampare più soldi e si è ritrovato questa parola sbattuta in faccia come spiegazione, e chi invece è informato sull’attualità tramite notizie, giornali, radio e/o telegiornali.
Fatto sta che, chi più chi meno, tutto sappiamo, anche se magari solo a grandi linee, cos’è l’inflazione. Per chi non lo sapesse, o non lo avesse ancora capito, qua sotto trovate riportato il significato secondo l’enciclopedia Treccani:
Aumento progressivo del livello medio generale dei prezzi, o anche diminuzione progressiva del potere di acquisto (cioè del valore) della moneta. Il fenomeno può avere molteplici cause, sia reali sia monetarie, e assumere forme differenti.
E ora che lo so? Arrivati a questo punto viene spontaneo, o così almeno credo io, domandarsi in che modo essa influisce sulla nostra quotidianità. Uno dei tanti problemi che l’inflazione causa è che colpisce in maniera diversa le persone ricche e le persone povere. Le persone più povere, ad esempio, concentrano in misura maggiore le loro spese su prodotti energetici e alimentari, cioè prodotti dei quali difficilmente si riesce a fare a meno. I poveri, inoltre, hanno una propensione al consumo più alta di quella delle persone ricche; in altre parole, risparmiano meno dei ricchi. Secondo l’Istat, in questa fase economica il quinto di famiglie più povere subisce un’inflazione più alta rispetto alle restanti famiglie italiane.
In sintesi, gli aumenti dei prezzi incidono sulle famiglie in misura diseguale.
Questi probabilmente possono sembrare discorsi noiosi e apparentemente lontani dalla nostra vita, ma l’inflazione non ha rilevanza solo sulle famiglie e quindi solo sui soldi che non escono direttamente dalle tasche di noi giovani. Essa, aimè, condiziona anche il mondo dello spettacolo, un mondo molto amato dai giovani appassionati e soprattutto molto in difficoltà in questo periodo post epidemia covid, ma purtroppo anche molto sottovalutato poiché nessuno se ne prende le brighe di risollevarlo.
Qui sotto sono trascritti i dati risalenti al 2020, durante il periodo di covid, riguardanti gli incassi nel mondo dello spettacolo:
La spesa totale del pubblico per gli spettacoli fra gennaio e giugno 2020 è stata di 654,1 milioni di euro (-66,9%), al botteghino di 418,1 milioni (-61,62%). Cifre che nei primi sei mesi 2019 erano rispettivamente di 2,4 e 1,2 miliardi. Il settore dei concerti è quello che ha subito la maggior contrazione, con un calo nei due indici di circa l’86,5%. Il cinema riesce a contenere le perdite al -56% e -52,5%, meglio di altri settori, pur avendo cancellato oltre un milione di eventi (su 1,4 milioni mancati in totale) e perso il maggior numero di ingressi: 27,2 milioni. Il teatro si attesta al -61% circa di spesa del pubblico, mentre lo sport perde 514,7 milioni di euro, la maggiore cifra in valori assoluti (-76.2% spesa totale e -65,7% botteghino). (Fonte: Wired.it)
Ma adesso non siamo tornati alla normalità? Cinema e teatri sono aperti, ai concerti si può andare senza restrizioni, è vero, ma ciò di cui un comune cittadino non si accorge è tutto il lavoro dietro le quinte. Non si pensa mai ai costi di un film quando lo si va a vedere, come è giusto che sia. In altro modo, non si pensa nemmeno a tutte le spese di bollette per i luoghi di prova e per i costumi di scena quando si va a teatro per vedere l’opera o un musical, o un semplice spettacolo.
Per chi lavora proprio in quel settore però, che sia come attore teatrale o come ballerino, la mancanza della normalità si sente tuttora che la situazione risulta “assediata”. Si notano le difficoltà nell’iscriversi ad un corso poiché i costi, causa l’aumento delle bollette e altre spese secondarie, aumentano, si sente anche la difficoltà nell’attirare il pubblico a teatro nonostante l’aumento dei prezzi poiché l’italiano medio, in una situazione d’inflazione, pensa ai beni primari e non a ciò che viene visto come svago. Ma così come i calciatori vengono ben pagati per il loro sport – che è diventato un lavoro, pur essendo anche uno svago, dato che andare allo stadio non comporta la stessa necessità di fare la spesa – anche gli attori e i ballerini che vivono di danza o di teatro hanno il diritto di poter continuare a vivere liberamente della loro passione, senza l’obbligo di doversi arrangiare con un altro lavoro in un altro campo.
L’aumento forte dell’inflazione ha conseguenze anche sulla vertenza che si è aperta alla Scala per il rinnovo del contratto di lavoro. […] azione (la richiesta di una riduzione dell’orario di lavoro) che comunque non mette a rischio “la produttività del teatro” e il numero di spettacoli (Fonte, ANSA). D’altronde, per un cittadino comune, che non viene quotidianamente a contatto con questo mondo ma ne vede solo il risultato di infiniti lavori, è molto difficile potersi informare riguardo a questo problema dato che su internet, il mezzo d’informazione ormai più utilizzato tra i giovani e non solo, non se ne parla. Forse questo dipende dal fatto che dagli stessi giornalisti e politici sottovalutano il problema, oppure dal fatto che le informazioni di cui disponiamo, essendo il mondo dello spettacolo in continuo cambiamento, non sono abbastanza chiare ed esaurienti.
Questa circostanza non esclude però l’esistenza del problema e non ne annulla l’importanza, anzi. Come diceva Gigi Proietti: a teatro tutto è finto, ma nulla è falso. Oserei aggiungere, nemmeno l’inflazione.