Che cosa accomuna i tentativi di rovesciamento del potere, dall’antichità a oggi
Di Riccardo Orgolesu*
Ammettiamolo, ci sono certi eventi che ci sembrano lontani, che sembra impossibile capitino proprio a noi, proprio qui, o anche solo vicino. L’idea che questi eventi possano toccarci ci spaventa, al punto che anche solo al sentir nominare guerre, stermini e catastrofi varie scatta la reazione pavloviana della negazione. Non può succedere, perché dovrebbe? Certo, è vero che, ormai, dopo l’esperienza del nazifascismo, l’Europa dovrebbe avere gli anticorpi un po’ per tutto, eppure, con il ritorno della guerra in Europa, e la sconcertante leggerezza con cui si banalizza, ormai, qualsiasi celebrazione e apologia del fascismo, perlomeno un po’ di sdegno dovrebbe essere d’obbligo.
Il tema dei colpi di stato non è un tema allegro. Non lo è, perché, per esempio, è stato con un colpo di stato, la famosa marcia su Roma, che il fascismo ha preso il potere in Italia. Il colpo di stato in un Paese democratico non è che l’assassinio della democrazia, il barbarico omicidio delle istituzioni, il rovesciamento e la presa di potere da parte di una persona, o di un gruppo più o meno nutrito, che si beffa di tutti quei processi democratici che dovrebbero essere alla base di ogni organizzazione politica.
La storia, grande maestra poco ascoltata, ha visto innumerevoli colpi di stato, anche, purtroppo, negli ultimi anni, nonostante l’ancora attuale esperienza dell’Europa e del mondo. In era repubblicana, l’Italia ha subito numerosi piani di colpo di stato, il più pericoloso dei quali fu senza dubbio il golpe Borghese, ma si possono facilmente trovare esempi che risalgono all’antichità, come la presa di potere del tiranno Pisistrato, ad Atene, nel VI secolo a.C., o la famosissima congiura di Catilina del I secolo a.C.
Insomma, da quando esiste il potere, esiste chi vuole impossessarsene, e, ricordando che, quando si parla di storia non contemporanea, è bene sospendere il giudizio, prendendo in esame l’oggettività dei fatti, è possibile notare dei punti in comune, delle forti analogie nel modus operandi dei congiurati di ogni tempo.
La prima cosa indispensabile per un colpo di stato ben riuscito è una forza militare: per questo il primo obiettivo dei militanti di Fronte Nazionale, il movimento politico di estrema destra fondato dal fascista Junio Valerio Borghese, che era stato anche presidente dell’MSI, è stato l’armeria del Viminale. Allo stesso modo, Pisistrato aveva agito (vedremo in seguito come) per ottenere una scorta di uomini armati, e Catilina si era creato attorno un vero e proprio esercito, che si è poi scontrato con quello ufficiale di Roma.
A questo proposito, risulta indispensabile l’appoggio popolare, o anche quello di certi gruppi di potere, da ottenersi sfruttando un pericolo, reale o presunto, e mostrandosi dalla parte degli ultimi. Come ci racconta lo storico Erodoto, Pisistrato, che era dotato di grande prestigio per i suoi successi militari nella guerra contro i Megaresi, aveva ottenuto tutto ciò con un curioso stratagemma: nella lotta intestina tra la fazione dei parali, ovvero l’economia emergente formata da pescatori e mercanti, e quella dei latifondisti, i vecchi ricchi, lui si raccolse attorno alcuni compagni e si finse a capo di una terza fazione, i montanari, gli ateniesi più umili. Fatto ciò, Pisistrato, alla guida di un carro, ferì se stesso e i muli che lo trainavano, e si gettò nella piazza, in mezzo alla folla, come se stesse sfuggendo da dei nemici che avessero tentato di ucciderlo. Con questo espediente, Pisistrato riuscì a farsi assegnare dal popolo una scorta di mazzieri, con i quali prese l’acropoli senza troppi complimenti.
Catilina, dal canto suo, era un uomo di indubbio valore, tanto che anche i suoi principali detrattori, come Sallustio, non l’hanno potuto negare nei loro scritti, affidandosi piuttosto a ritratti paradossali che ne evidenziano magistralmente le depravazioni in contrapposizione alle virtù. Come ce lo descrivono Sallustio e Cicerone, Catilina era un seduttore, che prendeva di mira giovani dalle menti ancora acerbe e malleabili e li corrompeva, li depravava solleticando i loro istinti e i loro desideri. C’è da dire, tuttavia, che la storia la scrivono i vincitori, e il giudizio su Catilina è stato sicuramente influenzato dal tentativo di screditarlo, anche per averne un tornaconto. In ogni caso, da questi ritratti si scorge l’immagine di un uomo che sapeva farsi amare, sapeva infiammare gli animi, e, mosso, o dicendosi mosso da rivendicazioni sociali, riuscì ad attorniarsi di talmente tanti disperati, spesso oppressi dai debiti, che furono loro stessi a formare il suo sostanzioso esercito.
Un altro esempio di rivolta, che questa volta ha avuto successo, almeno inizialmente, grazie a un fortissimo appoggio e partecipazione diretta del popolo, è il Tumulto dei Ciompi, avvenuto a Firenze nel 1378. I Ciompi erano i lavoratori della lana e facevano parte, insieme ad altri lavoratori salariati di umili condizioni, di quel ceto basso che all’interno dei comuni forniva manodopera a basso costo, ovvero il popolo magro, che non aveva alcuna rappresentanza nelle istituzioni del comune ed era quello su cui finiva per essere scaricato il peso delle crisi economiche, come quella gravissima causata pochi anni prima dalla peste nera. Il primo tumulto terminò con l’imposizione da parte dei ciompi del gonfaloniere di giustizia Michele di Lando e la creazione di tre nuove Arti, le corporazioni di mestieri che avevano diritto di rappresentanza nelle istituzioni del comune, che corrispondevano, appunto, ai lavoratori del ceto più umile. L’esperienza fu breve, perché Michele di Lando fu un uomo politico poco abile e ben presto i ciompi insorsero di nuovo, ma, disgregati e senza l’appoggio di Michele, furono cacciati dalle forze combinate degli altri due ceti, il popolo grasso e il popolo minuto, perdendo tutte le concessioni che avevano ottenuto.
Discorso un po’ diverso va fatto per il golpe Borghese, che nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 1970 ha rischiato di gettare l’Italia in una nuova dittatura fascista. Il piano era stato organizzato e attuato in gran segreto, tanto che era stato raccontato dal governo soltanto tre mesi dopo, e dunque non poteva vantare un grosso appoggio popolare.
Borghese, ex membro del PNF ed ex soldato italiano e della Repubblica di Salò, godeva del supporto, oltre che di un discreto numero di militanti, anche e soprattutto di diversi pezzi grossi del mondo militare e del capo del SID, ovvero i servizi segreti, Vito Miceli. Inoltre, con tutta probabilità, il piano godeva dell’appoggio di una certa parte della politica statunitense, come negli stessi anni ne hanno goduto i colonnelli in Grecia, nel ’67, e Pinochet, quando ha rovesciato il governo socialista cileno di Allende nel ‘73. Il piano è stato poi bloccato quasi subito, prima ancora che gli uomini uscissero dall’armeria del Viminale, con una chiamata dello stesso Borghese, probabilmente proprio perché era mancato all’ultimo minuto uno di questi appoggi.
A questo proposito, gli Stati Uniti hanno la responsabilità di diversi colpi di stato di matrice di estrema destra nella seconda metà del ventesimo secolo. Ricordiamoci che erano gli anni della guerra fredda, e qualunque spostamento a sinistra era visto come un pericolo, un rischio di ritrovarsi un avamposto sovietico a due metri da casa. Il pericolo comunismo, poi, veniva usato per spaventare il popolo, anche con la legittimazione dei colpi di stato da parte di esponenti politici di rilievo. Basti pensare alla gravissima dichiarazione di Giorgio Almirante, all’epoca segretario dell’MSI, sulla dittatura dei colonnelli, che “ha salvato la Grecia dal comunismo”, e, dunque, “qualora soluzioni, anche di forza, ci salvassero dal comunismo, allora ben vengano le soluzioni di forza.”
Altro elemento da non sottovalutare è il disordine, che crea il bisogno di nuovo ordine. Pisistrato, per l’appunto, ha agito in un momento di particolare tensione, ovvero lo scontro, interno alla città, fra le due fazioni. Allo stesso modo, il golpe Borghese, insieme a qualche altro piano mai nemmeno tentato, doveva essere attuato nel periodo della “strategia della tensione”, gli anni di piombo, inaugurati nel 1969 dalla strage di Piazza Fontana, nella quale era coinvolto anche lo stesso Fronte Nazionale, e durati più di un decennio, fino al 1982.
Si potrebbero fare infiniti altri esempi di colpo di stato, dal governo popolare di Girolamo Savonarola, nella Firenze di fine XV secolo, ai più recenti e numerosissimi che si sono visti nei vari paesi africani negli ultimi anni. Anche l’assedio di Capitol Hill, insieme al secondo episodio che ha avuto luogo in Brasile, possono, in qualche modo, essere considerati dei tentativi, anche se sia Trump, sia Bolsonaro negano di essere in alcun modo coinvolti. Il punto, comunque, è che si occupano i palazzi delle istituzioni, e poi, magari, i mezzi di informazione, come pianificavano di fare i militanti di Borghese, che erano pronti a entrare nella sede della Rai per far pronunciare al loro capo, la mattina seguente, un discorso, giuntoci in forma scritta, che il duce avrebbe probabilmente denunciato per plagio; e infine, per completare il tutto, si rapisce o si toglie di mezzo un’importante figura istituzionale, che so, il Presidente della Repubblica, per il cui assassinio si erano probabilmente presentati a Roma, quali alleati di Borghese, dei sicari di Cosa Nostra. Ovviamente, quanto più lo Stato è debole e corrotto, tanto più la mafia prospera.
Se la storia ci ha insegnato che i colpi di stato presentano tutta una serie di elementi in comune, c’è da considerare forse una cosa, una differenza, tra diverse situazioni: oggi, nei paesi democratici, dove le rivolte e la guerriglia non servano a portare alla liberazione da una dittatura preesistente, come sta succedendo invece con le rivolte in Iran, o com’è successo nella lotta per la liberazione dal nazifascismo in Italia (nei quali casi la definizione di colpo di stato sarebbe riduttiva, se non infamante), il rovesciamento del potere con la forza non fa che uccidere la democrazia, in nome di un’idea storpiata, depravata e corrotta del potere.
*Riccardo Orgolesu frequenta la classe I B del Liceo Classico Antonio Gramsci di Olbia