di Sara Caliolo
In uno dei suoi più celebri romanzi Dostoevskij scriveva che “la sofferenza (…) è una grande cosa” perché “nella sofferenza c’è un’idea” ed è proprio su questo concetto che l’autore si sofferma spesso a riflettere in Delitto e castigo. Proprio su questo, infatti, si basa il percorso esistenziale del protagonista Raskòlnikov che, dopo aver compiuto un primo premeditato omicidio e poi un imprevedibile secondo, si trova costretto a fare i conti con le conseguenze delle sue azioni, a scontare la pena per aver dato troppa fede al suo progetto ideale. Profondamente convinto di sé e delle sue capacità, egli matura, negli anni della sua gioventù, una singolare teoria filosofica: un solo il male può essere giustificato dalla garanzia di altre azioni buone future, specialmente se a compierlo è una persona che, così facendo, può garantire il bene comune. Premettendo ciò, quindi, anche un delitto può essere lecito se il movente è buono.
Leggendo le prime pagine del libro sembra, insomma, un ragionamento quasi logico, seppur moralmente difficile da accettare: seguendo le descrizioni fornite da Dostoevskij, il lettore viene inconsapevolmente coinvolto, e in parte convinto, dalla mentalità del giovane Raskòlnikov, tant’è che a volte potrebbe addirittura pensare che questi, in fondo, un po’ di ragione ce l’abbia. Una sola vita in cambio di cento altre sicure potrebbe sembrare il giusto compromesso per arrivare ad una grande conclusione: c’è chi può farlo e chi, invece, non può essere coinvolto. Egli infatti sostiene che l’umanità sia suddivisibile in due specie: i “grandi uomini” come Napoleone, a cui è consentito agire al di sopra delle leggi morali in nome dei benefici che possono compiere e assicurare, e le persone comuni, che identifica metaforicamente come “pidocchi”, in quanto uomini insignificanti che possono solo obbedire alle leggi di chi comanda.
Così Raskòlnikov, deciso a dimostrare a se stesso e agli altri di appartenere alla prima categoria e convinto di poter fare la cosa giusta per tutti, organizza l’uccisione di una vecchia usuraia, una signora dall’indole egoista e cattiva che, secondo il giovane, sarebbe stata solo d’intralcio per la società: lo avrebbe fatto per guadagnarsi da vivere, per mantenere economicamente la sua famiglia e quella di tanti altri che impegnavano, come lui, oggetti alla signora Ivànovna, ma, soprattutto, per un riscatto puramente personale.
L’improvviso cambiamento delle circostanze, che non aveva considerato, e l’istinto traditore, lo spingono poi ad uccidere anche la sorella dell’anziana, una ragazza buona trovatasi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ed ecco quindi, che l’intento di compiere il bene comune si fonde con quello di agire, invece, per il bene di se stesso: la vittima non è più soltanto l’inutile usuraia, ma anche una giovane innocente a tutti gli effetti, e l’omicidio non ha più il fine di garantire un futuro migliore, ma anche quello di fuggire da quella situazione il prima possibile.
Da questo momento in poi, quindi, ogni plausibile giustificazione nei confronti del protagonista non è più valida e quello che sembrava essere un piano perfetto e ben elaborato si rivela, invece, fallimentare; l’errore non è nell’aver lasciato tracce compromettenti sul luogo del delitto (colpa che Raskòlnikov attribuisce ad un naturale ottenebramento della ragione umana), ma nell’aver considerato inutile l’esistenza di una persona a causa di una convinzione completamente sbagliata: alla fine, infatti, l’uccisione dell’anziana signora non porta alcun tipo di beneficio all’interno della comunità e il protagonista, da quel “solo male necessario”, non ottiene altro che un assoluto conflitto interiore.
Nel corso della sua sofferenza (in parte per uno scompenso fisico dovuto alla febbre, in parte per il peso del segreto con cui vuole imparare a convivere) l’alternarsi delle fasi di delirio costringono il giovane ad incontrare nuove persone, fra cui il giudice istruttore incaricato di seguire il caso dei due omicidi e, più in particolare, Sonja, una giovane fanciulla costretta a lavorare come prostituta per mantenere la sua famiglia. Grazie a questi due incontri e, specialmente, a quello con quest’ultima, Raskòlnikov intraprende, quasi inconsciamente, un percorso di redenzione, durante il quale prova più volte a liberarsi di quel tormento interiore che, giorno dopo giorno, lo divora sempre di più, senza mai trovare, però, il motivo giusto per farlo.
L’amore di Sonja, tuttavia, è più forte di qualsiasi altra cosa e il giovane riesce, piano piano, a comprendere i suoi errori e ad abbracciare, quindi, l’idea di un possibile rimedio alla sua sofferenza: la ragazza, infatti, sceglie di aiutarlo prima ancora di conoscere il suo segreto e ciò dà loro modo di conoscersi e capirsi fino in fondo e, soprattutto, fino alla fine, quando entrambi, consapevoli dei propri errori, decidono di iniziare, insieme, a rimediare ognuno al proprio passato. È interessante notare, a tal proposito, la posizione dell’autore nei confronti di questa figura femminile piuttosto singolare: pur mantenendosi fedele alla sua forma di realismo, Dostoevskij riesce a raffigurare, attraverso semplici parole, la profonda purezza d’animo della fanciulla e riesce a farlo addirittura fin dai primi capitoli, nel momento in cui essa viene nominata nel romanzo, senza, però, apparire personalmente sulla scena: Raskòlnikov, infatti, viene a conoscenza di Sonja attraverso le parole del padre della ragazza che, incontrato per caso in una trattoria, gli racconta, fra un bicchiere di vino e l’altro, la storia della sua famiglia.
Si tratta di uno di quegli incontri particolari, inaspettati, che lasciano un segno indelebile, perché “capita a volte d’incontrare persone sconosciute alle quali cominciamo ad interessarci sin dal primo sguardo, tutto d’un colpo, prima di scambiare una sola parola” e anche se questa frase preannuncia l’incontro fra il protagonista e il papà di Sonja rappresenta senza dubbio ciò che invece legherà indissolubilmente i due ragazzi. Fin dalla loro prima vera e propria conversazione Raskòlnikov comprende la bontà della fanciulla, il coraggio che la caratterizza e che la spinge ad offrire il proprio corpo in cambio di denaro solo per mantenere la sua povera famiglia; lui lo sa, glielo legge negli occhi: entrambi hanno peccato, sono stati maledetti insieme dal destino ed insieme se ne andranno alla ricerca di quella felicità che può guarire le loro sofferenze.
È, ovviamente, una felicità insolita, in quanto l’unico modo per poter ricominciare a vivere davvero è scontare, prima, le pene per l’errore commesso: così Raskòlnikov arriverà, finalmente, a confessare il delitto, ma la penitenza vera e propria non la sconterà nei lavori forzati in Siberia, ma umiliandosi a terra, piangendo il proprio dolore in mezzo alla piazza, in segno di perdono, davanti a tutti, proprio come gli aveva suggerito di fare la ragazza. La loro felicità dovrà pazientare ancora qualche anno, tutto il tempo che il giovane dovrà restare in carcere, ma alla fine avranno modo di viverla anche loro e di questo sono entrambi consapevoli: lo è Sonja, quando lo aspetta fuori, davanti al commissariato, prima che lui vada a costituirsi, orgogliosa del fatto che abbia, finalmente, messo fine a quel segreto e lo sa Raskòlnikov quando, nella stanza della prigione, realizza che nella propria sofferenza non c’è più la vergogna per aver fallito nel suo piano, ma c’è l’idea, anzi la certezza, di essere rinato solo grazie all’amore di colei, che, dopo tutto, gli sarà vicino ancora per un po’ e poi, probabilmente, ancora per sempre.
L’epilogo del romanzo è, senza alcun dubbio, una delle parti più commoventi di tutto il libro. In esso non è racchiuso soltanto il finale del racconto, ma anche uno dei tanti messaggi che Dostoevskij vuole trasmettere al lettore: l’amore, quello vero, non si ferma alla prima difficoltà ed è capace di superare le proprie paure, i pregiudizi e gli errori del passato; l’amore non conosce unità di tempo e sa aspettare fino all’ultimo minuto, proprio come farà Sonja attendendo, giorno dopo giorno, fuori dalla prigione, il momento in cui Raskòlnikov potrà essere davvero libero e proprio come farà quest’ultimo quando capirà di poter rimediare a quel dolore, che ha inevitabilmente coinvolto anche la ragazza, semplicemente amandola allo stesso modo dopo sette anni, una volta uscito da lì, per il resto della sua vita. Dopo aver letto Delitto e castigo è il caso di dire che forse, a volte, in amore vince chi… resta (anche nella sofferenza). F. Dostoevskij, Delitto e Castigo, Crescere edizioni, 2012.