di Irene Stefanini
Giorno Primo.
Non stava bene, qualcosa si agitava, qualcosa si affievoliva dentro. Tutto era agitatamente spento, mortalmente concitato. La casa era un opprimente nido, piacevole e nocivo, accogliente e scomodo, caldo e severo.
Il silenzio era troppo silenzioso, il buio troppo scuro, la solitudine troppo sola.
Scappò, fuggì, uscì: forse da casa, probabilmente da quel qualcosa che celava al suo interno.
La strada era chiassosa, chiassosa e viva, viva e spensierata. I vecchi sorridevano, i bambini ridevano, i giovani scherzavano. Qualcuno era preso da uno sfrenato attacco di risa, qualcun’altro da baci focosi, altri da un sorriso gentile. Voci allegre e parole gentili.
Fuori c’erano esuberanti rumori, innumerevoli colori e persone. La confusione riempiva il silenzio, la luce rischiarava le ombre, i sorrisi di cortesia riempivano le mancanze.
Il sole splendeva. Non aveva potuto controllare le previsioni meteo prima e splendeva il sole e lui era uscito. Tornò a casa solo quando il sole lo fece.
Giorno due
Non ascoltò il silenzio. Non sbirciò nel buio. Non abbracciò la solitudine.
Corse, se la svignò, uscì: forse da casa, probabilmente verso quel qualcosa che l’aspettava al di fuori.
La strada era rumorosa, rumorosa e disordinata, disordinata e nervosa. I vecchi borbottavano, i bambini piangevano, i giovani urlavano. Qualcuno era occupato di una tesa fretta, qualcun’altro di fronti corrucciate, altri di un’espressione austera. Voci ciniche e parole rabbiose.
Fuori c’erano confusi rumori, omogenei colori e persone. Il caos sovrastava il silenzio, la nebbia nascondeva le ombre, gli sguardi di fastidio offuscavano la ragione.
Il vento tirava. Aveva preferito non controllare le previsioni meteo, ma fuori tirava vento, ma lui era uscito. Tornò dentro anche per il vento che lo spingeva.
Giorno tre
Il silenzio lo circondava, il buio lo accecava, la solitudine lo rincorreva.
Si trascinò, incedette, uscì: forse da casa, probabilmente per quel qualcosa che sperava dentro e fuori.
La strada silenziosa, silenziosa e vuota, vuota e severa. I vecchi mancavano, i bambini scomparivano, i giovani rincasavano. Qualcuno era rapito da una passiva inerzia, qualcun’altro da ostinati brividi, altri da una smorfia scortese. Voci spente e parole assenti.
Fuori c’erano ripetitivi rumori, spenti colori e non c’erano persone. Il ticchettio esaltava il silenzio, lo scroscio esaltava le ombre, nessun sorriso ricambiava il suo.
La pioggia cadeva. Lui non aveva voluto controllare le previsioni meteo ma fuori pioveva ma lui era uscito. Tornò subito dentro in casa.
Quarto giorno
Il silenzio regnava, il buio invadeva, la solitudine vinceva. Non uscì, non uscì, non uscì: né da casa né da sé.
La strada era sussurrante, sussurrante e piena, piena e quieta. I vecchi sonnecchiavano, i bambini giocavano, i ragazzi chiacchieravano. Qualcuno era riempito di una lieta calma, qualcun’altro di delicata euforia, altri da un sereno riso. Voci tranquille e parole leggeri.
Fuori c’erano lievi rumori, luccicanti colori e persone. I sussurri accompagnavano il silenzio, i luccichii illuminavano le ombre, i sorrisi curavano le ferite.
La neve scendeva. Lui non aveva controllato le previsioni meteo e la neve scendeva ma lui non era uscito. Restò in casa.