La nascosta utilità del dolore

La nascosta utilità del dolore

di Isabel Bianchi

Quante sensazioni vertiginose “divorano” gli animi degli uomini, infatti ognuno di noi, in ogni istante, prova un sentimento, bello o brutto che esso sia. In ambito psicologico sono sette le sensazioni definite “primarie”: rabbia, felicità, tristezza, paura, disgusto, disprezzo, sorpresa; anche se è necessario dire che ci sono pareri discordanti sulla gerarchia delle emozioni, infatti alcuni studiosi definiscono “sensazioni primarie” otto istanze, altri addirittura quindici. Sono sempre stata affascinata dall’importanza delle emozioni che noi esseri umani proviamo, insomma pensiamoci bene, ogni minimo istante della nostra esistenza è guidato da ciò che proviamo: sono felice? Salto e ballo per tutta la casa; sono arrabbiata? Vado a fare una passeggiata per calmarmi; ho paura? Cerco di uscire dalla brutta situazione in cui mi trovo; sono sorpresa? Sul mio viso si genera una smorfia di stupore mista a divertimento. Indubbiamente le emozioni sono il cocchiere della carrozza della nostra vita, mentre noi siamo i cavalli, i quali sono costantemente e incessantemente guidati in ogni scelta dal loro vetturino.  Leggi tutto “La nascosta utilità del dolore”

Vi racconto di una bambina e della sua passione per la musica…

 

 

di Silvia Barsotti

Cosa è per me la musica? Beh, rispondo a questa domanda raccontandovi una storia molto semplice.

Un giorno, una bambina di sei anni andò con la madre a fare la spesa; era un giorno qualunque, al supermercato le due incontrarono un amico della mamma, la bambina lo aveva già visto qualche volta, ma non si ricordava minimamente di chi fosse, ormai era abituata, quando uscivano era sempre la stessa storia: ogni due passi che facevano, la madre si fermava a parlare con qualcuno e lei doveva soltanto stare lì ad aspettare, non capendo niente di cosa stessero parlando dato che nella maggior parte dei casi l’argomento principale riguardava il lavoro. E quindi la ragazzina si limitava ad attendere, sperando che la conversazione finisse al più presto, e se questa non finiva, ella iniziava a tirare la borsa della mamma o a stringerle più forte la mano se lei gliela stava ancora tenendo. Di solito quando lo faceva, inevitabilmente dopo un’occhiataccia, la chiacchierata finiva in fretta, ma questa volta, la madre, invece di tagliare corto e concludere il discorso, si voltò facendo finire il suo sguardo in basso, in modo da guardare la figlia, e prima che dalla bocca di quest’ultima potessero uscire le parole “mamma andiamo” lei le disse: “Lo sai che questo signore insegna a suonare la chitarra in una scuola di musica?” Leggi tutto “Vi racconto di una bambina e della sua passione per la musica…”

Sul metterci una pietra sopra

 

 

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di Abramo Matteoli*

Esplorando i vicoli del nostro linguaggio mi rallegro spesso della folta presenza di espedienti semantici perfetti. La loro preziosità è di facile riconoscimento, in quanto descrivere il vissuto è quanto di più complesso si possa fare: un’audace impresa globale ed erculea a cui tutti siamo sottoposti. In particolare, credo che l’universalità di questo compito non sia dovuta alla necessità di comunicare che il vivere in società ci impone, piuttosto, imputo questa caratteristica alla profonda esigenza di mentalizzare ciò che ci accade. Esattamente come abbiamo bisogno di una spiegazione verbale per comunicare ad un nostro amico ciò che ci succede e come ci sentiamo a riguardo, abbiamo bisogno di una formula linguistica per rappresentare mentalmente gli eventi e le sensazioni. Affermo questo in quanto credo che la riflessione sentimentale in termini semantici (la famosissima “voce interiore”) sia necessaria alla rielaborazione e alla manipolazione del pensiero di ciò che ci accade. Il dialogo introspettivo del rimuginare supera quindi le immagini sinestetiche. SI può mentalizzare la nostra rabbia visualizzando il colore rosso, ma non si può riflettere sul perché senza dialogare con noi stessi utilizzando il linguaggio.

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E se Imagine di Lennon fosse solo un’utopia?  

 

Immaginare, John Lennon, La Pace, Lennon

 

 

di Silvia Barsotti

Qualche giorno fa ero seduta in macchina mentre alla radio passava una delle più belle canzoni, a parer mio, mai scritte: Imagine di John Lennon. Proprio quando su quelle dolci note, il cantante mi invitava ad immaginare un Mondo perfetto, all the people Livin’ life in peace, sul telefono mi è apparsa una nuova notizia di cronaca, quella di due ragazze di soli 13 anni, cadute vittima di un episodio di stupro da parte di loro coetanei. Leggendo le parole di quell’articolo sul telefono, i versi di Lennon in sottofondo, scritti da sempre come inno alla speranza, mi hanno fatto, per la prima volta, rendere conto di quanto in realtà costituiscano solo un’utopia, un sogno destinato a rimanere tale, che non troverà mai spazio per realizzarsi. La violenza sulle donne esiste da sempre, ricordiamoci, ad esempio, di quando Alessandro Manzoni ne “I Promessi Sposi”, Leggi tutto “E se Imagine di Lennon fosse solo un’utopia?  “