di Alessandro Rosati
Lisbona, 9 Marzo 1966. In città da qualche giorno si respira un’aria strana: è l’atmosfera della Champions League, quella che allora si chiamava Coppa dei Campioni. L’Estadio da Luz è gremito del pubblico delle grandi occasioni. Più di 50mila spettatori occupano i posti a sedere dell’A Catedral, come usano chiamarlo i tifosi, per assistere ai Quarti di Finale del torneo. Il Manchester United sfida il Benfica padrone di casa.
La splendida cornice di spettatori passa però in secondo piano, perché in campo c’è un ragazzino che sta stupendo tutti. Ha i capelli lunghi, le basette folte (come erano di moda in quegli anni), una velocità fuori dal comune e una tecnica sbalorditiva. Sulla schiena, sulla maglia rossa, risalta in bianco il numero sette.
Quel ragazzino di 19 anni è George Best e sta entrando nella storia del calcio. Dopo 11 minuti di gioco ha già realizzato la doppietta stendendo il Benfica di Eusebio, che nei precedenti 5 anni aveva sempre raggiunto la finale di Coppa dei Campioni. Il giorno seguente la stampa Portoghese impazzisce e lo definisce “il quinto Beatles”. Mai soprannome fu più azzeccato: oltre al look del calciatore (molto simile a quello del gruppo Inglese) la genialità era la stessa.
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