C’è ancora spazio per sognare

di Leonardo Martini*

   È vero, all’inizio ha titubato. È stata lenta, è andata in affanno. Apparsa più come matrigna che mamma, l’Europa nelle prime battute di questa vicenda ha toppato ed è sembrata di nuovo un’enorme occasione persa, forse quella decisiva per infrangere l’idea. Proviamo però ad allargare un po’ l’orizzonte: immaginiamoci tra 20-30 anni su un libro di storia. Leggeremmo che l’Europa, dopo una prima settimana di assestamento, fu l’ancora di salvataggio e la guida per i suoi componenti verso l’uscita dal dramma. Ecco, quella settimana misurata col tempo necessario per uscire da una pandemia ci sembrerebbe un miracolo e valuteremmo prodigioso l’operato dei vari commissari, presidenti, ministri ed amministratori.

   O meglio, presidentesse. Sì, perché vere protagoniste di questa impresa dovranno essere due signore e questo, personalmente, mi rincuora. A muovere le leve fiscali, economiche e politiche dal vertice della Commisione abbiamo la tedesca Ursula von der Leyen, sessantenne, politica di lungo corso molto vicina ad Angela Merkel, europeista convinta che da subito ha messo in chiaro le cose:” faremo tutto il necessario per sostenere gli Europei e l’Europa”, sulle orme del continental-popolare Mario Draghi.  A capo della BCE, per stabilire quanta nuova moneta stampare e quanto proteggere i titoli di Stato, italiani in primis, troviamo Christine Lagarde: classe 1956, parigina, avvocatessa, nella prima dichiarazione dall’inizio dell’emergenza ha dato l’impressione di lasciare a sé stessi i paesi più in difficoltà facendo crollare le borse di tutto il mondo e creando una crisi di fiducia.

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Vietato spengere il cervello!

   di Irene Stefanini

Nella nostra società globalizzata le prestazioni che sono richieste sono sempre più alte. Partendo dall’infanzia fino alla vecchiaia attraverso mezzi di comunicazione, pubblicità e spettacolo, si viene bombardati costantemente da ideali di perfezione e felicità, difficilmente raggiungibili nella vita di tutti i giorni; ci mandano modelli stereotipati per i quali bisogna essere magri, belli, felici e con una bella macchina o una casa sempre in ordine, andando in palestra e uscendo la sera con gli amici; al contrario però nella quotidianità ci è richiesto di lavorare sempre, non avete mai un momento libero e non stare mai male. Le pubblicità sono l’esempio più eclatante: si susseguono quelle degli aperitivi dove si vedono solo persone felici che si divertono a quelle dei medicinali che al primo accenno di malessere ti fanno stare subito meglio.

   Tutti questi messaggi entrano nella mentalità dei bambini fin da piccoli che, sottoposti alle pressioni, spesso o crescono troppo in fretta o al contrario non crescono mai: così si è arrivati ad una nuova generazione di adolescenti dove si affiancano eterni Peter Pan che non si preoccupano delle conseguenze e agiscono come se fosse l’ultimo loro giorno ad adulti in miniatura che sotto il peso delle richieste del mondo vengo sopraffatti. Pure gli anziani subiscono questa condizione, rifiutando così il naturale processo di invecchiamento: come la donna di Pirandello, i nostri vecchi si atteggiano ancora a ragazzini, credendosi invincibili e giovani, non fermandosi mai e sottovalutando i segni del tempo che avanza sul loro corpo e sulla loro salute.

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Pensare prima… e guardare avanti!

di Margherita Azzi

   Passerà anche l’emergenza coronavirus e come tutte produrrà le sue retoriche. Quella che esalterà la solidarietà e l’abnegazione dimostrata e quella opposta, a evidenziare improvvisazione e divisioni. Da secoli funzioniamo così. Intanto però, come nelle guerre, qualcuno avrà pagato di più. Questa emergenza mostra infatti una volta ancora – ce ne fosse bisogno – la nostra superficialità, la difficoltà che abbiamo nel produrre e applicare in tempo utile politiche pubbliche chiare, adeguate e coerenti.

   È una storia antica, appunto, che però la nostra reattività necessaria a rispondere alle sfide della contemporaneità sta insopportabilmente evidenziando. Diciamolo: il mondo intero, l’Europa e il nostro paese, avrebbero potuto e dovuto farsi trovare più preparati: conoscenze e tecniche per rispondere a un’emergenza di questo tipo esistono, ma troppo poco si è fatto.

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Uniti si può fare di più

di Rebecca Serra

 Sono sempre stata una ragazza emotiva, forse fin troppo, e proprio per questo ho deciso di esprimere una mia opinione su quello che sta succedendo intorno a noi ormai da quasi due mesi. Non saprei sinceramente neanche da dove cominciare, poiché da quando questo inferno è iniziato mi trovo disorientata e penso che a diciassette anni un’esperienza del genere non possa far altro che segnarti la vita. Non possiamo uscire di casa, incontrarci con i nostri amici e avere con loro le solite “avventure”, certe volte anche poco coscienziose, che segnano questa età; ma soprattutto questa terribile pandemia ci ha privato della nostra quotidianità, che fino ad ora davamo per scontata.

   È possibile, secondo me, trovare anche un lato positivo in questo inferno, visto che purtroppo molte volte solo grazie a episodi così tragici una persona riesce veramente ad aprire gli occhi, sia su se stessa che sul mondo che lo circonda. Viviamo costantemente nella paura di essere stati infettati o di poter essere contagiati da un momento all’altro, appena mettiamo piede fuori da casa, e in momenti come questo la priorità va a noi stessi, ma anche alle altre persone alle quali abbiamo sempre paura di poter far del male senza volerlo, e devo dire che, soprattutto per persone sensibili ed empatiche come me, forse questa è la sensazione peggiore di tutte.

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