Il silenzio nella via

Un poesia di Hermione Buensuceso

Alle sei del pomeriggio, d’inverno,
la solita strada che mi portava da te sembrava più vuota del solito.
Nessuna risata, nessuna spinta sul marciapiede
che mi metteva quel solito broncio
che solo te conoscevi.
Quella solita panchina al parco,
te la ricordi ancora, vero?
Piena di nostri baci,
di nostre parole,
di noi.
Con te era come ballare,
nessuna preoccupazione,
nessun limite,
nessun orario.
E ora, cammino in silenzio,
pensando al nostro prossimo ballo..

Ciò che eravamo, noi due

Una poesia di Rebecca Giusti

 

Camminavamo strette all’asfalto che ci stava sotto

Per paura di rimanere sospese nell’aria densa

Che ci abbracciava

I piedi si muovevano fluttuando nel presente

non c’era futuro per noi in quel momento

esisteva solo un movimento sinuoso al buio.

Sgattaiolavamo insieme verso ciò che non conoscevamo,

unendo ciò che eravamo noi due

fondendolo insieme come cera

una cera morbida, che si scioglie come la notte nera

quando arriva il giorno.

In quelle sere brillanti,

ci batteva il cuore, ci batteva a tutte e due,

e poi forse ci batteva a turni.

C’era qualcosa che ci sarebbe rimasto sulla pelle

nei capelli sporchi e bagnati,

dentro le ossa fradice d’acqua.

Veloci e sfuocate scene languide,

delle risate accaldate in una realtà sospesa,

dei passi furtivi verso un binario vuoto.

Per noi a quel tempo

non c’era futuro

c’era un treno pigro su cui salivamo

ansanti

per vivere ciò che saremmo state

ciò che non conoscevamo ancora

noi due.

Due poesie

di Rebecca Giusti

 

Si sta chiusi

 

Piangi gridi ti vorresti strappare la vita

Prendere a morsi questo cosmo

Che ti ingabbia ogni secondo

Perché ti illude di esistere

Quando poi lo sai anche tu

Che se lo provochi, poi ti risucchia

Si sta chiusi

Come finestre di case fredde d’inverno

Senza riscaldamento

E poi lo sai anche te

Che ti dovrai abituare al tuo essere

E poi lo sai anche te

rimarrà schiacciato dalla mole di altri

Si appiattirà sotto una coperta di piume pesanti

Per finire addormentato

Si parla con noi stessi

Ma finiamo per odiarci

Dopo un po’ che stai con qualcuno

Scivoli in una noia che ti corrode,

non sapendo quando ridere

E quando dirti di farla finita.

 

 

Giovane edera

 

Ci si guarda e ride

Poi ti alzi perché qualcuno ti chiama

Penserei che confusione

Proprio mentre ci si sfiorava come se avessimo piume in mano

Ma io ti osservo disinteressata

E sembra che tu sia un’edera,

verde come la giovinezza

tremendo mentre ti stritola con finto interesse.

 

 

Yun Dong Ju

Un poeta per la libertà

di Rebecca Giusti

Questa parola difficile da pronunciare per noi occidentali è stato in realtà il nome di un poeta coreano. Non si sa molto sulla sua vita, tanto che su Wikipedia gli è stato dedicato un breve trafiletto di una pagina, con tutte le informazioni che racchiude l’immensa vita caleidoscopica di un uomo. Da una foto in bianco e nero che ho trovato di lui, si vede un volto perfettamente ovale con due minuscoli occhi incastonati all’interno che fissano chiunque gli stia davanti. Accenna un mezzo sorriso, ma ha l’aria di una persona di cui ti fideresti. Sembra calmo, pervaso dal benessere in quello scatto. Ha lo stesso viso dei nonni quando vedono i loro nipotini dopo qualche mese e pensano a quanto sono cresciuti quelle creature che solo poco tempo prima gli traballavano al ginocchio.

Questo personaggio, suppongo alquanto sconosciuto in quest’ala ridotta del mondo in cui ci troviamo, è invece inciso nella memoria di tutti i coreani, piccoli, medi, bruni, con gli occhi azzurri o le lentiggini. È stato un grande uomo, poeta, e una persona, a mio modesto parere e con la mia conoscenza ridotta della persona reale, affidabile, eccessivamente buono e abbastanza timido inizialmente, taciturno la maggior parte delle volte. Naturalmente ognuno si può creare la propria immagine di Dong Ju guardando la sua foto sul web, ma a me piace credere che lui si stato così. Leggi tutto “Yun Dong Ju”