I Karamazov e l’imperativo della coscienza

di Giorgia Calabrese

   Nella premessa a I fratelli Karamazov, Dostoevskij chiama Aleksej Fedorovic Karamazov il suo eroe. Tuttavia egli non spiega il motivo di questo appellativo, lasciando a chi legge il compito di scoprirlo. E infatti, raccontando le vicende della famiglia Karamazov, l’autore scatena nella mente del lettore una moltitudine di domande, alle quali il lettore stesso, attraverso il suo spirito critico, dovrà offrire una risposta. Tutto si incentra sull’animo umano che Dostoevskij penetra in profondità, evidenziando aspetti del carattere dei suoi personaggi talvolta opposti, ma tuttavia racchiusi dentro una stessa anima.

   Questo grande romanzo si sviluppa attorno ad un diverbio tra il padre Fedor Pavlovic Karamazov e il figlio maggiore, Dimitrij, che si scontrano a causa di una misteriosa eredità e una donna desiderata ardentemente da entrambi, Grusenka. Senza dilungarsi troppo, bisogna dire brevemente quale sia la storia di questo padre e il modo in cui si è originata questa “emblematica” famiglia.

   Fedor Pavlovic ha avuto due matrimoni, dal primo è nato il figlio Dimitrij, dal secondo Ivan ed Aleksej. Rimasto poi vedovo, durante una delle sue serate all’insegna del bere, ha dato vita ad un quarto figlio, mai riconosciuto come suo, Smerdjakov, la cui madre Lizaveta era conosciuta per essere un’analfabeta, abituata a dormire nei giardini altrui. Egli non si è preso cura di nessuno di questi, arrivando quasi a dimenticarsi della loro esistenza e continuando la sua vita da cinico lussurioso fintanto che, nella piccola cittadina in cui abitava, non si riuniscono tutti i protagonisti del romanzo.

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Immanuel Kant e la filosofia 2.0

   Una nuova concezione della conoscenza

di Camilla Rodella

   La Critica della Ragion pura, opera di Immanuel Kant pubblicata inizialmente nel 1781 e ripubblicata in una seconda edizione nel 1787, è giudicata come una tra le opere più complesse della filosofia occidentale.

   Qual era, però, lo scopo di Kant? Con il termine Critica, Kant intende ogni tipo di interrogativo circa il fondamento di determinate esperienze della conoscenza umana. Ma le sue domande a proposito della conoscenza non hanno niente a che vedere con le opere e riflessioni dei filosofi a lui antecedenti: Kant, infatti, vuole analizzare la conoscenza in modo “trascendentale” (termine essenziale per l’opera), ossia vuole capire cosa la rende possibile, come essa avviene e quali sono i suoi limiti.

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I mostri secondo Jim Jarmusch

di Pietro Phelan*

   Affrontare la permanenza forzata a casa non è senz’altro un compito semplice e gli stimoli per la nostra mente sono sempre più difficili da trovare. Da qualche settimana a questa parte, l’eventualità di cadere in un’asfissiante monotonia intellettuale è sempre dietro l’angolo, rischiando di far sembrare ancora più opprimente e insostenibile questo particolare periodo delle nostre vite. In molti accusano il fatto di non sapere come impiegare il tempo e in che modo trascorrere le lunghe giornate casalinghe che siamo “costretti” ad affrontare quotidianamente. Ma, in questo periodo più che mai, bisogna resistere alla tentazione di spegnere il cervello e rassegnarsi alla monotonia della quarantena. Tenere allenata la nostra mente, proporle stimoli sempre nuovi e originali, farla lavorare alla ricerca di nuove interpretazioni e idee originali, sono alcuni fra i migliori rimedi per evitare una lenta e inevitabile alienazione in se stessi.

   In questo senso, il cinema rappresenta uno degli strumenti più efficaci a nostra disposizione. Nelle sue espressioni più alte, questa forma d’arte riesce a stupire sia per i contenuti di cui si fa portavoce, sia per ciò che propone dinnanzi ai nostri occhi. Il cinema è un’unione inscindibile di parola e immagine, di forma e contenuto, che si distingue dalle sue arti “sorelle” per il fatto di proporre immagini catturate da un occhio mai fisso ma costantemente in movimento e in grado di offrirci molteplici punti di vista, ovvero la macchina da presa. E quando l’opera cinematografica è grande, ciò che possiamo trarre da essa è tanto un piacere estetico derivato dalla sua contemplazione (lo stesso che ricaviamo dall’osservazione di un eccezionale dipinto), quanto una nuova prospettiva sul mondo che ci circonda.

   Nelson Goodman, grande filosofo delle forme artistiche, pensava che un’opera d’arte potesse essere definita “grande” nella misura in cui essa fosse risultata “illuminante” per la nostra concezione del mondo. Un grande film, dunque, è quello che ci fa vedere cose che in precedenza avevamo tralasciato, che ci offre nuove e originali prospettive su tematiche già affrontate e che riesce a trasformare, anche solo parzialmente, la concezione dell’ambiente in cui viviamo.

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Moby Dick, il mostro degli abissi della nostra coscienza

di Filippo Del Testa.

   Finalmente, dopo mesi di lettura, posso dirlo: è stato un viaggio sensazionale. Il romanzo, scritto da Herman Melville nel 1851, è tutt’oggi considerato uno dei più grandi capolavori della letteratura americana; ma originariamente non fu identificato come tale: esso infatti non piacque molto ai contemporanei e fu considerato come un vero e proprio fallimento a livello commerciale, tanto che determinò la fine e la conseguente morte della carriera letteraria di Melville. Il romanzo fu riconsiderato soltanto circa 50 anni dopo la sua composizione e venne collocato, com’è giusto che sia, ai vertici della letteratura americana se non addirittura di quella mondiale.

   La balena bianca ha sempre avuto un ruolo determinante nell’ immaginario collettivo di tutti noi, c’è chi l’ha temuta, chi ha sempre desiderato di reincarnarsi nella sua possente natura, chi ha provato ribrezzo e sdegno soltanto ad immaginarsi un tale essere; eppure c’è anche chi ne è stato ossessionato a tal punto da spendere tutta la vita alla sua ricerca. Questa è la storia del Capitano Achab, descritto magistralmente da Melville, che seppur non identifichi in lui il narratore della sua opera, decide di far ruotare tutta la vicenda attorno all’ angusta e angosciosa personalità del capitano.

   Achab decide dunque di dedicare la sua intera vita, alla ricerca di ciò che per lui è definibile come l’incarnazione di tutti i mali, terrestri ed extraterrestri, colui che lo aveva privato di una parte di sé: Il Leviatano, Moby dick.

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