Vita in pericolo

Analogie dei pensieri di Massimo Pericolo con filosofi greci, letterati italiani e autori tedeschi

di Rebecca Giusti

Epicuro nacque a Samo nel 344 A.C. Egesia di Cirene visse nel quarto secolo A.C. Nietzsche nacque a Rocken nel 1844, in Germania. Leopardi fu uno scrittore e poeta che nacque a Recanati nel 1798. Alessandro Vanetti, in arte Massimo Pericolo, è nato a Milano nel 1992.

Epicuro non temeva la morte. Questo autore e pensatore sosteneva che quando un uomo cessa di esistere, si interrompevano anche tutti i suoi mali, terminava la sofferenza, l’infelicità, così come le gioie terrene e i piaceri di cui aveva fatto esperienza negli anni passati in vita. La morte è assenza. Assenza di tutto: non va temuta, ma accolta con pazienza e serenità. Attenzione: lui non sosteneva che fosse meglio la morte della vita, ma aveva la profonda idea che la prima non fosse un dolore, né una questione su cui passare decenni ad angosciarsi, un mostro anomalo e terribile da temere. Dopo la vita, tutto cessava, nel bene e nel male.

«Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi.»
(Epicuro, Lettera sulla felicità )

“Io penso che comunque vivere è peggio che non vivere. Cioè se non esisti, che cazzo te ne frega, capito?”

(Alessandro Vanetti, intervista per Noisey Italia)

I piaceri della vita sono spesso irraggiungibili, c’è solo tanta sofferenza e dolore che armonizza tutto il corso della vita di un uomo. Come un sottofondo musicale, ciò che viviamo non ha senso, ma nel background si sente sempre un debole suono che è quello del “tyche”: l’impersonale potenza del caso. Secondo questo filosofo dalla dottrina spietata e senza parti dolci, che cerchino di smussare il suo cinico punto di vista sull’universo, il fine supremo di tutti coloro che si trovano su questa terra a vivere (chi per condurre un’esistenza borghese e normale, chi per spiccare il volo verso la fama, il denaro, la ricchezza interiore) è la noncuranza tra la vita e la morte. Ci troviamo, come pedine svampite e immobili nella condizione di incoscienza sul reale motivo per cui esse siano state create, a passare del tempo sulla stessa terra divisa in molti paesi, con confini tracciati e lingue diverse. In ogni caso, dei tratti comuni ci fanno essere parte della stessa cosa: la noncuranza per ciò che ci succede, il male che proviamo, il tempo limitato che passiamo al mondo. Leggi tutto “Vita in pericolo”

Il giornalismo di ieri e di oggi

Un’intervista al giornalista de La Nazione Oriano De Ranieri a cura di Rebecca Giusti e Marina Senesi

Oggi vorremmo portarvi qualcosa di diverso da un articolo vero e proprio. Creeremo un giornale dentro al giornale, come se quello che scriviamo parlasse da solo della scrittura. Oggi sarà il testo stesso a presentarvi il giornalismo, dal punto di vista di un distinto signore che ha vissuto queste esperienze sulla sua pelle, trent’anni fa, e continua ad osservare ancora oggi con discrezione, con tutti i cambiamenti fenomenali che sono avvenuti, il mondo magico che è l’informazione.

Abbiamo fatto qualche domanda a Oriano De Ranieri, giornalista professionista dal 1979. Con un’esperienza lavorativa all’ “Avvenire”, giornale cattolico, ha lavorato anche a Milano, poi a Lucca a “La Nazione”. Laureato in Lettere moderne e in Scienze religiose, è in pensione da 15 anni. Scrittore di tre libri dedicati a Puccini: “Giacomo Puccini, luoghi e sentimenti, “Le donne di Puccini” e “La religiosità di Puccini, la Fede nelle opere del Maestro”.

Inizialmente abbiamo fatto una videochiamata informale con Oriano, il quale con piglio deciso e battute svelte e puntuali, ci ha spiegato che cosa è stato il suo lavoro, cosa ne pensa del mondo di oggi, la sua visione sulla vita dopo tanti anni passati a relazionarsi con carta, penna, macchine da scrivere e notizie da acchiappare come si colgono le farfalle, col retino e molto velocemente. Ci ha parlato di quando alla redazione della “Nazione” con la prima macchina da scrivere che arrivò nel complesso di uffici, fecero le due di notte per cercare di capire e scoprire ogni trucco di quel marchingegno ticchettante, un incrocio tra una sveglia che fa “clac clac” e una personcina magica che ti scrive ciò che detti. Ma ora vi lasciamo alla sua voce, che, leggendo dall’e-mail che ci ha mandato con le risposte alle domande che volevamo porgli, traspare da tutte le lettere di cui sono composte le sue frasi.

  • Tra i vari giornalisti che lavoravano ai suoi tempi, che aria si respirava e che relazioni esistevano tra di voi? Lei aveva un buon rapporto con i colleghi o era presente quella competizione che si vede spesso nei film, con la caccia allo scoop o all’articolo più riuscito che spesso sovrasta i rapporti umani? Lavoravate insieme come un team o c’era tensione, malizia fra di voi? Qual è stata la sua esperienza?

Alla Nazione ero un mediatore. Il caposervizio che proveniva dal Tirreno (allora non c’erano giornali on line) non voleva contatti con il giornale dove lavoravo io. Avevo formato un’associazione di giornalisti de La Nazione e del Tirreno che dopo poco fallì perché c’era una concorrenza sfrenata, incoraggiata dai capi di Firenze e Livorno. Una ricerca continua di scoop: in provincia allora non c’erano addetti stampa e le notizie (a parte quelle del Comune, dei carabinieri e della polizia) te le dovevi cercare. Se il giornale concorrente aveva una notizia grossa che tu non avevi erano guai: arrivava subito la telefonata dei capi di Firenze con rimproveri, anche forti. Ora non è più così. I “buchi” ovvero le notizie che ha un giornale e l’altro no, si danno e si prendono. Leggi tutto “Il giornalismo di ieri e di oggi”

Come si mangiava nel medioevo

di Alessandra Giuntoli

 

Come si mangiava nel medioevo? Questa è grosso modo la domanda cui risponde il libro di Maria Concetta Salemi Mangiare nel Medioevo (Sarnus edizioni, 2018). La risposta non può che prendere le mosse dai mercati cittadini, che fornivano agli abitanti sia alimenti come carne, pesce, latte, formaggi, frutta e verdura, bacche e legumi, sia utensili e strumenti vari come per esempio ferri vecchi, stoffe, cesti, pentolame, candele, legna, vetri e moltissimi altri oggetti.

Nell’età di mezzo era molto frequente incontrare viaggiatori e pellegrini che grazie ai loro lunghissimi viaggi avevano scoperto come riuscire a conservare il cibo più a lungo, cosa che era una necessità primaria, visto che non esistevano mi frigoriferi: i metodi più diffusi per la carne e il pesce erano la salagione, l’affumicatura, l’essiccazione, o sennò l’uso di una gelatina; per la frutta invece c’era lo zucchero, il miele e lo sciroppo di vino dolce.

In quell’epoca esistevano tantissimi cibi “della penitenza”, come per esempio legumi, cereali verdura e frutta; ma il più importante era il latte, che ereditava dagli antichi la fama di alimento pericoloso, “barbaro”. Ma c’erano pure cibi “del desiderio e del bisogno”, come il pane: bianco, morbido e ben lievitato per i signori che avevano lo stomaco delicato e invece scuro, pesante e rozzo ottenuto dai cereali per i poveri o per chi svolgeva lavori pesanti; oppure la carne, che era legata alla forza e al potere, ed essa equivaleva al grasso che indicava benessere, piacere e gioia. Leggi tutto “Come si mangiava nel medioevo”

Riscoprire la felicità

di Elisa Triani

“La maggior parte delle persone, pur non sapendolo, sono addormentate”. Questa è una delle frasi con cui si apre il libro Messaggio per un’aquila che si crede un pollo (Pickwick, 1995) di Anthony de Mello, un filosofo e gesuita conosciuto per i libri in cui esprime, con un umorismo coinvolgente, un’immancabile gioia di vivere. Una simile affermazione può far sorgere delle domande: Addormentate? In che senso addormentate? Stiamo forse dormendo senza rendercene conto? E se davvero stiamo dormendo, come facciamo a svegliarci?

Questi dubbi trovano risposta nel corso della lettura del libro, il cui titolo in lingua originale, Awareness, rende forse meglio l’idea del suo contenuto. Già nel primo capitolo ci viene spiegato, anche se molto vagamente (verrà poi approfondito in seguito), cosa si intende per “risveglio”. Con questo termine ci si riferisce al risveglio spirituale, a quel risveglio dell’anima che comporta la ricerca della felicità dentro se stessi.

La vista, la veglia sono ostacolate dalla creazione di un muro di illusioni create dalla propria mente per mezzo delle idee che la società ci trasmette sin da piccoli, ovvero la ricerca dell’approvazione, della stima, del successo, dell’accettazione, della popolarità, di giudizi e pregiudizi sulla base dei quali siamo stati abituati a vivere. Un altro dei mattoni che formano questo muro è il “desiderio”, senza la realizzazione del quale ci neghiamo la felicità. Mettiamo che io abbia un desiderio e voglia che si realizzi con tutta me stessa; a questo punto mi dico: “fino a che questo non accadrà, senza questo, non posso essere felice”. Sto creando un ostacolo, una condizione alla mia felicità. Se questo è il caso, anche se il desiderio in questione si realizzerà, mi sentirò appagato e felice solo per un certo periodo di tempo. Dopoché me ne dimenticherò, sprofondando nuovamente in uno stato di insoddisfazione per poi buttarmi su un altro desiderio. Capite quanto questo suoni sbagliato? Eppure è quello che facciamo. Leggi tutto “Riscoprire la felicità”