di Ludovico Tambellini
Negli ultimi tempi, dopo il delitto di George Floyd avvenuto il 25 maggio 2020 a Minneapolis da parte della polizia, è nuovamente venuta alla luce la violenza delle forze dell’ordine e l’impronta fortemente razzista della giurisdizione americana. Paragonabile all’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando, l’omicidio di George Floyd non è stato altro che la goccia che ha fatto traboccare il vaso, portando alla creazione del movimento “Black Lives Matter”, ossia una protesta guidata dalla comunità afroamericana sulla falsa riga delle rivolte di Martin Luther King.
Tutto ciò ha causato maggiore attenzione e sensibilizzazione su determinati temi, che per quanto giusta e dovuta, in alcuni casi può scadere in estremismi che spesso hanno poco a vedere con l’intento iniziale della manifestazione. Difatti una limitata parte dei dimostranti ha ritenuto corretto vandalizzare e distruggere statue che dovrebbero essere portavoce di un America razzista, e tra queste sono finite nell’occhio del ciclone soprattutto quelle rappresentanti Cristoforo Colombo. A dire il vero la sua figura, in particolar modo negli “States”, è spesso oggetto di mala informazione; addirittura il 12 ottobre di ogni anno viene festeggiato un intero giorno dedicato al suo elogio. Di certo la dilagante mancanza di formazione culturale, in particolar modo negli Stati Uniti, non permette la visione chiara del quadro storico pre e post colombiano con conseguente idealizzazione della figura del colonizzatore. Non si possono negare gli indicibili crimini di cui si è macchiato Colombo, ma è giusto cancellare il passato e parte della coscienza storica?
Perché in fondo l’abolizione delle statue non è altro che il chiudere un occhio e dissociarsi dalle azioni compiute dai nostri predecessori, come se la Germania avesse abbattuto i campi di concentramento o avesse bruciato il Mein Kampf, che sono sì fatti incredibilmente crudeli e deplorevoli, ma avere tracce concrete delle azioni e della mentalità passata è importante per evitare di commettere ancora gli stessi errori. Un altro esempio che può essere annesso è la distruzione dei monumenti e degli artefatti considerati pagani dalla fascia estremista dell’islam; affermare che questi avvenimenti siano uguali a ciò che sta succedendo in occidente è errato, ma bisogna analizzare i punti in comune che essi hanno con le vicende oltre oceaniche, convergenti poi nella già citata voglia di dissociarsi da un passato nel quale non ci riconosciamo.
Secondo alcuni attivisti la statua è l’idealizzazione e l’esaltazione di ciò che rappresenta, ed è vero, ma proprio per questo mantenerla intatta aiuta a far capire e a dare prova di una mentalità passata che solo con l’istruzione può essere combattuta. Da sempre le statue vengono distrutte in segno di protesta, in particolar modo dopo dittature o regimi mal voluti, ma ora che siamo nel 2020 dobbiamo capire il loro reale valore che non è confinato solo a quello artistico. Guardare la storia con l’etica odierna è giusto per capire quanto la morale fosse talvolta sbagliata, abbiamo bisogno di esserne consapevoli, ma proprio per questo non vanno cancellate le tracce di essa.
L’unica cosa che si può fare ora è istruire le persone in modo da far arrivare a tutti la conoscenza dei fatti, senza retaggi storici, ma con la pura oggettività delle cose. E se ciò vorrà dire annettere targhette che esplicano, oltre alla giusta celebrazione degli operati, anche i crimini e le oscenità commesse ben venga, in quanto la verità non può che giovare. Distruggere le statue è un delitto in primis alla Storia e per questo non va perpetuato; dobbiamo cercare di istruire e non di annientare al fine di migliorare la visione di ciò che ci circonda.
E proprio oggi che viene celebrato il Columbus Day, l’appello per una giustizia intellettuale acquista maggior valore; non fraintendiamo eventi del passato esaltandoli, ma confiniamoli al loro periodo storico e prendiamo le dovute precauzioni nel celebrarli, senza perdersi in pericolosi falsi storici o in visioni nostalgiche e annacquate.