A scuola di tolleranza

di Marco Ciucci

   La Lettera sulla tolleranza viene scritta da Locke nel 1685, periodo in cui il filosofo inglese stava soggiornando in Olanda, ed è indirizzata ad un suo amico, di cui non rivela l’identità, ma che è conosciuto come Honored Sir. In questa lettera Locke tratta alcune tematiche particolarmente attuali, in particolare quella della tolleranza, più specificatamente in ambito religioso: il testo è pieno di riflessioni e monologhi del filosofo, le sue opinioni vengono sempre argomentate con esempi che contribuiscono in modo efficace a renderle convincenti.

   Locke sfrutta gli avvenimenti di quel periodo, ad esempio l’editto di Fontainbleau per denunciare la piega presa dalla Chiesa, in particolare quella Cattolica, per promuovere quei principi che saranno tipici del pensiero illuminista, quindi l’utilizzo della ragione, e per criticare la piega presa dai governatori degli stati cattolici di quel secolo, i quali spesso imponevano la propria religione con la forza. Il filosofo, prima di esporre le proprie opinioni riguardo a questa situazione, spiega cosa sono, a parer suo, la Chiesa e lo Stato: definisce la prima una società libera e volontaria di uomini che si uniscono per adorare pubblicamente il Dio in cui credono, col fine di salvare le proprie anime,  il secondo è sempre una società composta da uomini, ma è costituita unicamente al fine della conservazione dei beni civili, quindi vita, libertà, integrità fisica, proprietà di oggetti esterni, come terreno, denaro, mobili ecc.

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Cambiamo noi, per cambiare il mondo

di Francesco Andolfi*

   Frenesia. Una brama smaniosa e irragionevole. Il suo oggetto? Tutto. È la spada di Damocle che pende sulle teste delle nuove generazioni. È l’erronea consapevolezza del mondo, che chiunque può credere di avere grazie ad internet e che ci lascia in eredità la fame. Quell’avidità nella crescita, quella cupidigia di voler fare tutto, subito.

  Quest’emergenza però ha cambiato qualcosa, perché quella consapevolezza che ci illudevamo di avere del mondo era irreale.  Magari c’è chi ha sempre dato peso ai problemi di chi sta male veramente, ma provarli sulla propria pelle è un’altra cosa. Eppure non è questo che volevamo? Non era essere grandi? Non era fare parte della storia? Non era avere un’idea di cosa accade nel mondo?

   E ora, se crediamo che questo sacrificio di stare in casa possa risolvere tutto, stiamo commettendo nuovamente lo stesso errore, ci stiamo illudendo un’altra volta. Come dopo un terremoto c’è da ricostruire le case, dopo il coronavirus dovremo fare sforzi ben maggiori di quelli che facciamo adesso.

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Ancora sul confine

di Leonardo Martini*

   Trent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino la Storia torna di nuovo a correre sui nostri confini. Il contesto è drammaticamente diverso: alle porte degli anni ’90 il Mondo e in particolare l’Occidente sembravano aver trovato la ricetta per la pace, la sicurezza ed il benessere. Oggi ci rendiamo conto che almeno in parte è stata una grande illusione e facciamo i conti con una realtà che qualche mese fa mai avremmo immaginato, una realtà che lasciavamo al passato insieme a guerre e fame. I protagonisti però sono indubbiamente gli stessi, cambiati, con pesi e ruoli diversi ma sempre loro. E tra questi, noi. Sì, perché tra il conservatorismo al cianuro tedesco, la protezione interessata USA e le corti orientali di Russia e Cina (con intensità opposte rispetto alla guerra fredda) niente sembra essere cambiato.  

   Con la Germania, ora come allora, i problemi sono monetari: i tedeschi nei momenti più caldi nell’unione europea a livello finanziario fanno sempre a modo loro. Testardi quanto diligenti nei momenti importanti, per concedere qualcosa agli altri devono sempre avere garanzie e condizioni che in qualche modo li facciano sentire più forti, centrali. Così ad inizio anni ’90 iniziarono le aperture per un sistema monetario europeo, con banca centrale e moneta uniche ma solo come merce di scambio per la riunificazione con la Germania dell’Est. Inoltre, i trattati su cui si posero le basi per il sistema attuale, su tutti Maastricht ’92, furono ad impronta prettamente tedesca: livelli di spesa pubblica molto severi e ruolo della BCE di solo controllo dell’inflazione, incubo tedesco dai tempi pre-Hitleriani. Ed ancora il salvataggio forzato della Grecia, autorizzato da Berlino solo per l’enorme quantità di titoli ellenici nella pancia delle banche tedesche, fu un salvataggio della struttura finanziaria di Germania, Francia e Olanda concesso a condizioni umilianti per Atene.

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Il COVID-19 e l’annullamento di me stesso

di Abramo Matteoli

   Sto scorrendo Instagram. Tanto non ho di meglio da fare, neanche volendo.
   Dico sul serio, se fosse il 24 marzo del 2020 e tu vivessi in Italia, mio caro lettore, probabilmente anche tu non avresti niente di meglio da fare, a meno che tu non sia un dottore, un infermiere o Giuseppe Conte (anche se in quel caso, forse vorresti avere del tempo per scorrere Instagram). In ogni caso, dopo qualche Story inutile dove troneggia l’inutile hashtag “#iorestoacasa” (manco fosse un’impresa eroica, e non un semplice dovere imposto dallo Stato, diamine), mi si para davanti un post di @dailystoic, account che solitamente riesce a tirarmi su propinandomi massime di pensatori stoici talmente grandi e stimati che mi fanno sentire inferiore anche solo le prime sillabe dei loro conosciutissimi nomi (sarà per questo che ho sempre sentito un’ancestrale avversione verso la coscienza di Zeno?).

   Il post in questione, stavolta, non cita però nessun grande stoico del passato, bensì espone un’iniziativa che la pagina ci teneva a proporre a tutti i suoi followers: una challenge che invita impiegare il tempo in modo produttivo. Per rendere il tempo “vivo” e non “morto”. Per investire su noi stessi durante questo periodo di quarantena piuttosto che passarlo passivamente, ammazzando ora dopo ora utilizzando qualsivoglia distrazione come arma del delitto.

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