di Nello Benassi
È il 1965 e ci troviamo in un locale di Buenos Aires. Jorge Luis Borges sta parlando del ballo più amato d’Argentina e del mondo: il tango.
Le sue parole sono rimaste nascoste per quasi sessant’anni in vecchie musicassette, ammucchiate in una scatola di scarpe. Si tratta di quattro conferenze informali e inedite del famoso filosofo argentino pubblicate solo nel 2002 in un’edizione cartacea dallo scrittore Bernardo Atxaga.
Borges ripercorre la storia del tango in quattro fasi: le origini, i personaggi, l’evoluzione e l’espansione e l’anima argentina.
Tutto ha inizio nella Buenos Aires del 1880. Una Buenos Aires fatta di case basse, portici bianchi e tram trainati da cavalli. Borges ce la racconta con gli occhi sognanti di un bambino, ma utilizzando le parole dell’epopea greca. È nelle casas malas, agli angoli remoti delle strade periferiche della città, che i compadritos, rendendo onore alla “religione del coraggio” dei loro predecessore, il gaucho, diedero origine al tango. Questa fu la sua iniziale condanna. Il popolo, infatti, riconoscendo questa sua “origine indecente”, lo confinò in una cerchia ristretta di pochi temerari senza scrupoli. Tanto era il timore degli argentini per questo ballo che inizialmente le coppie di ballerini erano formate da due uomini.
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