L’Italia pazza e geniale di Euro 2000

di Alessandro Rosati

   Correva l’anno 2000, in radio impazzava Ops I did it again di Britney Spears e l’Italia era in corsa per la finale dei primi Europei del nuovo millennio. Il 29 Giugno l’Amsterdam Arena è un pallino arancione in mezzo alla capitale Olandese: i quasi 55mila posti dell’attuale Johann Cruijff Arena sono occupati quasi completamente da sostenitori degli Orange, che immaginano già Berkgamp e compagni contendersi il titolo in finale con la Francia.

   Dopo 34 minuti Zambrotta viene espulso per doppia ammonizione: gli Azzurri sono già in 10 uomini. Per l’Olanda la strada è in discesa, forse. Eppure quel giorno quella compagine col tricolore cucito sul petto decise di incidere i propri nomi nella leggenda.

Sarà un tiro al bersaglio verso la porta difesa dall’Italiano Toldo, ma il numero 12 della Nazionale abbasserà la saracinesca cosicché Maldini e Cannavaro non dovessero mai raccogliere il pallone in fondo alla rete.

   È la serata di Francesco Toldo, ai posteri la leggenda della semifinale di Euro 2000.

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Questo selvaggio non è poi così buono

Uno scontro cruento tra razionalità e istinto

di Matteo Pierini

   Scritto nel 1952 da William Golding, Il signore delle mosche racchiude nella sua essenza gli eventi più significativi vissuti dall’autore inglese e viene considerato uno dei racconti più avvincenti sotto il profilo psicologico.

   Nonostante il suo enorme successo, che permise al suo autore di conseguire la stabilità economica, e pur essendo divenuto un best seller tra i giovani universitari, non fu semplice pubblicarlo, perché non convinse molto le case editrici inglesi e ben ventuno editori rifiutarono la sua pubblicazione. Solo dopo due anni di tentativi, nel 1954, la casa editrice Faber and Faber riesaminò l’elaborato e T.S. Eliot formulò il titolo del romanzo affinché risultasse una metafora per ricordare la malvagità di Satana.

   Fin da bambino, Golding aveva sviluppato una forte vocazione religiosa, al punto da trasferirsi in una colonia cristiana inglese dove svolse l’attività d’insegnante in una scuola elementare. Successivamente venne chiamato ad arruolarsi nell’esercito durante la Seconda Guerra Mondiale; arruolato in Marina, faticò ad adeguarsi agli ordini impartiti dai superiori.

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I moti di Stonewall, 51 anni dopo

di Nello Benassi

   Giugno si colora di arcobaleno, anche se quest’anno in maniera virtuale, in occasione del “pride month”, letteralmente “il mese dell’orgoglio”. Ma di che orgoglio stiamo parlando?

   Per capirlo dobbiamo riavvolgere il nastro alla notte tra il 27 e il 28 giugno 1969. Ci troviamo a New York, più precisamente in un piccolo locale di Cristopher Street: lo Stonewall Inn. Un punto di riferimento per tutti i gay della Grande Mela.

   Le retate da parte della polizia non erano una novità. Spesso avvenivano a inizio serata e senza troppi effetti collaterali. Ma quella sera accadde qualcosa di diverso. Era circa l’una e mezza di notte quando otto poliziotti fecero irruzione nel locale e arrestarono non solo chi era sprovvisto di un documento di identità, ma anche coloro che indossavano vestiti del sesso opposto e i dipendenti del bar.

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Quando l’abito fa il monaco. Il senso della moda secondo Roland Barthes

di Giulia Romiti

   Roland Barthes affronta ne Il senso della moda il fenomeno un fenomeno del costume applicando il metodo della linguistica e richiamandosi in particolare al il linguista Ferdinand De Saussure. Secondo Barthes è possibile assimilare l’abbigliamento alle parole e il costume a ciò che Saussure chiama langue. Nel suo Corso di linguistica generale Saussure aveva per primo studiato e fondato una scienza chiamata “semiologia” (scienza delle significazioni) e aveva sostenuto che il linguaggio fosse l’unione della langue e della parole, dove la langue rappresenta la lingua nel suo insieme, con tutte le regole che ne determinano il funzionamento; mentre la parole è il momento in cui la lingua si concretizza in un atto individuale, cioè in cui il soggetto, l’individuo, parlando rende concreta questa lingua che prima era soltanto astratta. Prese insieme, nella loro relazione, Langue e Parole formano il linguaggio umano.

    Secondo Barthes, che fu a sua volta un importante semiologo, la stessa cosa accade anche nel fenomeno costume. Il costume è infatti assimilabile per Barthes alla langue, cioè sarebbe il fenomeno sociale, mentre l’abbigliamento sarebbe il fenomeno individuale, l’atto individuale di indossare un determinato indumento. Presi insieme il costume e l’abbigliamento fondano il vestito così come la langue e la parole fondano il linguaggio.

   Prima di Barthes la fenomenologia del costume non era stata affrontata secondo lui in maniera approfondita. C’erano state in passato, sin dall’epoca del Rinascimento, alcuni studi interessanti, ma secondo lui non erano assolutamente esaurienti. Nel Rinascimento lo studio del costume era molto schematico, nel senso che veniva fatta una sorta di inventario dei vestiti e soprattutto questi studi si collocavano in un’epoca dove le differenze tra le classi sociali erano evidenti, dove erano molto nette le distinzioni sociali, perché la società era molto gerarchizzata e gli aristocratici vestivano sempre in un modo mentre le classi sociali più basse, la plebe, in un altro modo. Quindi il vestito era espressione assolutamente rigida della classe sociale di appartenenza: non si poteva cambiare il proprio vestito, il vestito esprimeva proprio la classe sociale a cui si apparteneva.

  Questi studi erano quindi molto schematici e non approfonditi. Più tardi invece nel XIX secolo si è cominciato a fare degli studi sui costumi più interessanti, nel senso che si è cominciato ad intuire che il vestito non era un fenomeno fine a se stesso, ma voleva esprimere qualcosa. Questi studi sono stati sia psicologici che psicoanalitici. Quelli psicologici sono meno interessanti perché si sono limitati a sottoporre delle persone a dei test (sono stati fatti soprattutto in America) e si chiedevano a queste persone le motivazioni delle loro scelte per trarne indicazioni utili per il marketing. Mentre più interessanti sono gli studi a livello psicoanalitico, perché in questi si scopre che il vestito è un’espressione involontaria della personalità del soggetto, esprime cioè la psiche profonda del soggetto.

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