di Giulia Romiti
Roland Barthes affronta ne Il senso della moda il fenomeno un fenomeno del costume applicando il metodo della linguistica e richiamandosi in particolare al il linguista Ferdinand De Saussure. Secondo Barthes è possibile assimilare l’abbigliamento alle parole e il costume a ciò che Saussure chiama langue. Nel suo Corso di linguistica generale Saussure aveva per primo studiato e fondato una scienza chiamata “semiologia” (scienza delle significazioni) e aveva sostenuto che il linguaggio fosse l’unione della langue e della parole, dove la langue rappresenta la lingua nel suo insieme, con tutte le regole che ne determinano il funzionamento; mentre la parole è il momento in cui la lingua si concretizza in un atto individuale, cioè in cui il soggetto, l’individuo, parlando rende concreta questa lingua che prima era soltanto astratta. Prese insieme, nella loro relazione, Langue e Parole formano il linguaggio umano.
Secondo Barthes, che fu a sua volta un importante semiologo, la stessa cosa accade anche nel fenomeno costume. Il costume è infatti assimilabile per Barthes alla langue, cioè sarebbe il fenomeno sociale, mentre l’abbigliamento sarebbe il fenomeno individuale, l’atto individuale di indossare un determinato indumento. Presi insieme il costume e l’abbigliamento fondano il vestito così come la langue e la parole fondano il linguaggio.
Prima di Barthes la fenomenologia del costume non era stata affrontata secondo lui in maniera approfondita. C’erano state in passato, sin dall’epoca del Rinascimento, alcuni studi interessanti, ma secondo lui non erano assolutamente esaurienti. Nel Rinascimento lo studio del costume era molto schematico, nel senso che veniva fatta una sorta di inventario dei vestiti e soprattutto questi studi si collocavano in un’epoca dove le differenze tra le classi sociali erano evidenti, dove erano molto nette le distinzioni sociali, perché la società era molto gerarchizzata e gli aristocratici vestivano sempre in un modo mentre le classi sociali più basse, la plebe, in un altro modo. Quindi il vestito era espressione assolutamente rigida della classe sociale di appartenenza: non si poteva cambiare il proprio vestito, il vestito esprimeva proprio la classe sociale a cui si apparteneva.
Questi studi erano quindi molto schematici e non approfonditi. Più tardi invece nel XIX secolo si è cominciato a fare degli studi sui costumi più interessanti, nel senso che si è cominciato ad intuire che il vestito non era un fenomeno fine a se stesso, ma voleva esprimere qualcosa. Questi studi sono stati sia psicologici che psicoanalitici. Quelli psicologici sono meno interessanti perché si sono limitati a sottoporre delle persone a dei test (sono stati fatti soprattutto in America) e si chiedevano a queste persone le motivazioni delle loro scelte per trarne indicazioni utili per il marketing. Mentre più interessanti sono gli studi a livello psicoanalitico, perché in questi si scopre che il vestito è un’espressione involontaria della personalità del soggetto, esprime cioè la psiche profonda del soggetto.
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