Dentro le proteste: intervista a Conrad Torsello

intervista a cura di Alessando Rosati e Alessandro Vannucci

Abbiamo avuto l’occasione di intervistare Conrad Torsello, ventiseienne manager della campagna elettorale presidenziale, dal primo giorno coinvolto nelle proteste e negli scontri manifestanti-polizia negli Stati Uniti. Ci ha raccontato di sé e ci ha aiutato ad analizzare dall’interno le manifestazioni che hanno preso luogo dopo la morte di George Floyd.

Dalle prossime elezioni presidenziali alla sua esperienza personale: tutto nell’intervista integrale di seguito, presente sia in formato vieo che scritto.

Partiamo dall’inizio: perché proprio l’uccisione di George Floyd ha scatenato questa ondata di proteste? Perché non è successo prima o in un’altra occasione?

Vedendo il video di Floyd si vede chiaramente che si tratta di un omicidio vero e proprio: il poliziotto con il ginocchio sul collo per 9 minuti, quello (Floyd ndr) che grida “non riesco a respirare”…

Essendo stato così eclatante e sotto gli occhi di tutti, rispetto ad altri abusi di potere, ha dato “un pugno emotivo” che altri non avevano dato perché non documentati. Un’altra cosa (scatenante ndr) è stata la reazione delle Istituzioni, che non hanno arrestato immediatamente i poliziotti, trattenuti soltanto in seguito, ma li hanno licenziati. Ciò fa capire che alla base esiste un “razzismo istituzionale” ingiustificabile. La grande differenza (rispetto ad altri abusi di potere ndr) è l’emotività che trasmette il video, e la reazione delle Istituzioni non è stata adeguata rispetto alla reazione emotiva che i cittadini hanno avuto nel guardarlo.

Se la polizia li avesse arrestati subito, le proteste non avrebbero avuto l’effetto che hanno avuto. Invece hanno (le Istituzioni ndr) provato a difendere la polizia ed è scoppiato il casino, perché come si può difendere una cosa del genere? Ecco la grande differenza.

Quindi c’è stato un coinvolgimento dei social, che comunque hanno giocato la loro parte, e il silenzio Istituzionale?

Si esatto. Ha fatto trasparire il razzismo sistematico che c’è in America…l’ha messo nero su bianco.

In rete circolano video che ritraggono la polizia mentre compie atti di violenza, quindi la domanda sorge spontanea: tutte le forze dell’ordine degli Usa si comportano così? Non c’è il rischio di generalizzare?

È come dire tutti i poliziotti sono degli str***i. C’è il rischio di generalizzare, ma la generalizzazione c’è per un motivo: non tutti i poliziotti sono disposti a commettere omicidio, ma tutti sono disposti a provare un senso di omertà nei confronti dei propri colleghi. Non ci sarà mai un poliziotto che ne denuncia un altro. Negli USA si dice blue line ed è il senso di omertà che esiste nelle forze dell’ordine. Ad esempio, il video in cui l’anziano prova a camminare verso la polizia e viene spinto a terra (il video ritrae un uomo che cade a terra perché spinto da un poliziotto e lasciato agonizzante dagli agenti in tenuta anti sommossa ndr)…ci saranno 30 poliziotti che gli passano accanto…uno prova ad aiutarlo, un altro (agente ndr) lo ferma e gli dice “Che fai? Quello è stato buttato a terra da uno dei nostri…”

Non va bene il senso di cameratismo che si crea all’interno delle forze dell’ordine. È come una gang criminale: uno compie un’azione, giusta o sbagliata che sia, e tutti gli altri lo supportano. Da qui nasce poi “All Cops Are Bastards”…per il senso di cameratismo (ACAB, espressione molto in voga negli USA per indicare il disprezzo verso la polizia ndr). Quando le forze dell’ordine iniziano a denunciarsi a vicenda, a farsi sentire contro altre forze dell’ordine, allora potremo smettere di generalizzare. Fino a quel momento fanno parte della stessa Istituzione, che difendono e che…diciamo…non si è comportata molto bene.

Qual è invece lo scopo delle proteste? C’è un obiettivo e dove vogliono arrivare?

Cambiare la legislazione a livello Federale. Ci stiamo riuscendo a livello Statale e addirittura a livello Municipale. Attraverso il Consiglio Municipale possiamo bloccare le azioni del Sindaco [nell’ordinamento Statunitense il Consiglio ha potere di veto sulle ordinanze] e le cose si stanno muovendo sia a livello Nazionale sia a livello Statale. Noi andiamo avanti, perché loro hanno paura…e quando hanno paura (le Istituzioni ndr) cambiano le leggi, perché vogliono che smettiamo.

In Colorado per esempio hanno emanato una legge che è stata baluardo per tutti gli Stati Uniti: hanno abolito il qualified immunity, una legge che giustifica atti criminali mentre sei in servizio (riferito alle forze dell’ordine ndr). Adesso in Colorado non esiste più…le body cam che dovranno essere sempre accese e dalla fine dell’anno non potranno più usare armi non letali sui manifestanti (lacrimogeni, spray al peperoncino, proiettili di gomma, manganelli).

Il cambiamento sta avvenendo, anche se secondo me dovrebbe essere più drastico, più radicale e a livello Federale. Tutte le Forze dell’ordine negli Stati Uniti dovrebbero perdere il qualified immunity. È l’unica professione al mondo in cui, se uccidi qualcuno, rimani a piede libero. Un dottore o un avvocato, se sbaglia, paga…loro, se sbagliano, non pagano. Devono avere paura a tirare fuori un’arma e ammazzare un cittadino.

Quindi il cambiamento è richiesto sia nel Corpo di Polizia sia a monte, nel sistema giudiziario che poi appunto giudica i poliziotti?

Si, ma secondo me è più importante anche di una riforma della giustizia (è concettuale ndr). Negli USA per esempio le carceri sono tutte private ed è la morte della Democrazia. Lo Stato, che esiste per tutelare i cittadini, non può permettere che un’azione dello Stato stesso venga affidata ad un cittadino privato. Quando si procede ad un arresto, si passa quindi l’azione principale della res publica in mano ad un cittadino privato…ed è una follia.

Di conseguenza, ogni volta che si ottiene qualcosa si continua a spingere (per ottenerne di nuove ndr). Sì…potrebbe portare ad un’escalation, perché le Istituzioni potrebbero decidere di inviare l’esercito (infatti questa era stata la reazione iniziale di Trump), ma per ora sembra che (la protesta ndr) stia funzionando. Quindi parte come riforma della giustizia, ma sta ottenendo risultati più importanti.

Le proteste durano ancora oggi? Ho visto che Elijah Mcclain, anche a un anno di distanza, ha avuto la sua importanza, ma ha avuto lo stesso peso di quella di Floyd?

Ovviamente George Floyd ha messo tutto sotto i riflettori ed è aumentata l’attenzione mediatica, in un effetto cascata, rispetto a tutti i casi precedenti. Il caso Mcclain è tornato sotto i riflettori di tutti gli Stati Uniti: quando c’è stata la protesta in Aurora (comune del Colorado ndr) sono accorsi da tutti gli Stati, c’erano celebrità, la famiglia…

Questi (i poliziotti che hanno ucciso Mcclain ndr) non sono neanche stati licenziati…è grave.

[Elijah Mcclain, classe 1996 senza precedenti penali, è stato ucciso il 24 Agosto dello scorso anno per mano della polizia, che gli ha somministrato una fatale iniezione di ketamina].

Tutti questi tipi di caso stanno tornando sotto i riflettori e i manifestanti chiedono alle Istituzioni l’arresto degli agenti colpevoli.

Quindi è in atto un processo sia legislativo sia per fare del bene nei torti delle forze dell’ordine.

Sia nelle piccole realtà sia a livello Federale?

Sì, la gente è arrabbiata, tanto arrabbiata.

Continuare a protestare non può diventare fine a sé stesso se non vengono raggiunti gli scopi?

Gli scopi si stanno raggiungendo. È iniziata come una protesta spontanea e “alla caciarona” (in dialetto Romano “che fa rumore” ndr), ma la gente che continua a protestare, ovviamente gruppi molto più piccoli rispetto a un mese e mezzo fa, si sta organizzando. Sanno dove colpire e quindi non è fine a sé stessa. Noi (organizzatori ndr) abbiamo parlato col Governatore, con il Consiglio Municipale e con il Sindaco e le nostre richieste sono ascoltate. Finché si continua a spingere verso un cambiamento legislativo, la protesta ha senso, quando smette di farlo e perde la trazione iniziale, allora non ha più senso.

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Addio a Ennio Morricone

Di Alessandro Rosati

   Tutto è cominciato da un fischio deciso, quasi allegro e diretto. Tutto è cominciato quando gli Italiani si sono seduti comodamente in una poltroncina di un cinema per vedere nelle sale il faccione di Clint Eastwood, alla sua prima grande esperienza da protagonista.

   Era il 1964. Il film? Per un pugno di dollari. In sottofondo, ad accompagnare il capolavoro di Sergio Leone, un fischio appunto, una colonna sonora destinata ad entrare nella storia.

   Quella musica era scritta da un compositore emergente, che negli anni precedenti aveva arrangiato alcuni brani che spopolavano nella Penisola, da “Abbronzatissima” a “Se telefonando” di Mina.

   Parliamo ovviamente di Ennio Morricone.

   A 91 anni il musicista si è spento all’alba, in una clinica di Roma, dopo che una caduta gli aveva causato la rottura del femore.

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Fra sofferenza e amore… vince chi resta

di Sara Caliolo

   In uno dei suoi più celebri romanzi Dostoevskij scriveva che “la sofferenza (…) è una grande cosa” perché “nella sofferenza c’è un’idea” ed è proprio su questo concetto che l’autore si sofferma spesso a riflettere in Delitto e castigo. Proprio su questo, infatti, si basa il percorso esistenziale del protagonista Raskòlnikov che, dopo aver compiuto un primo premeditato omicidio e poi un imprevedibile secondo, si trova costretto a fare i conti con le conseguenze delle sue azioni, a scontare la pena per aver dato troppa fede al suo progetto ideale. Profondamente convinto di sé e delle sue capacità, egli matura, negli anni della sua gioventù, una singolare teoria filosofica: un solo il male può essere giustificato dalla garanzia di altre azioni buone future, specialmente se a compierlo è una persona che, così facendo, può garantire il bene comune. Premettendo ciò, quindi, anche un delitto può essere lecito se il movente è buono.

   Leggendo le prime pagine del libro sembra, insomma, un ragionamento quasi logico, seppur moralmente difficile da accettare: seguendo le descrizioni fornite da Dostoevskij, il lettore viene inconsapevolmente coinvolto, e in parte convinto, dalla mentalità del giovane Raskòlnikov, tant’è che a volte potrebbe addirittura pensare che questi, in fondo, un po’ di ragione ce l’abbia. Una sola vita in cambio di cento altre sicure potrebbe sembrare il giusto compromesso per arrivare ad una grande conclusione: c’è chi può farlo e chi, invece, non può essere coinvolto. Egli infatti sostiene che l’umanità sia suddivisibile in due specie: i “grandi uomini” come Napoleone, a cui è consentito agire al di sopra delle leggi morali in nome dei benefici che possono compiere e assicurare, e le persone comuni, che identifica metaforicamente come “pidocchi”, in quanto uomini insignificanti che possono solo obbedire alle leggi di chi comanda.

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La scuola e l’insegnamento: sapere non è imparare, ma crescere

di Irene Stefanini

   Fondamento della società e specchio della cultura di un popolo, la scuola rappresenta il primo passo, e per questo forse il più importante, per le sorti future della popolazione non solo di tale Stato, ma anche mondiale. Ogni paese imposta i programmi e l’organizzazione scolastica come reputa più giusto, e questo porta ad avere molte differenze da uno Stato all’altro: spesso queste riflettono sia l’impostazione e l’inquadramento politico del governo in carica sia la cultura del popolo. Le differenze non impediscono però alle nuove generazioni di studenti “cittadini del mondo” di frequentare scuole in altri Stati e fare un percorso di studio attraverso varie nazioni. Negli ultimi anni sono state molto incrementate ed incoraggiate le iniziative finalizzate a creare scambio e relazionare studenti da tutte le parti del globo: Erasmus, gite estere, gemellaggi, collaborazioni universitarie ed altre ancora sono iniziative che spingono gli studenti a spostarsi e entrare in contatto con le scuole estere.

   Le differenze però ci sono e per quanto si cerchino di ignorare, si vedono.

   La scuola italiana, ritenuta fino a qualche tempo fa uno dei migliori modelli scolastici, si basa fin dalle elementari sull’insegnamento delle conoscenze, piuttosto che sullo sviluppo delle conoscenze e delle capacità: in qualche modo si potrebbe dire che gli studenti imparano, ma che spesso non capiscono. Colpa forse è dei maestri e professori, dei programmi o del retaggio culturale, o di chicchessia, fatto sta che il rapporto scuola-studente non è un rapporto di conoscenza e rielaborazione dei concetti, ma di semplice apprendimento di questi.

   Un esempio pratico ma lampante di questo si ha con la matematica e la fisica: queste due materie si basano principalmente sul ragionamento e non sullo studio “a pappagallo” ed infatti il numero di studenti che riscontrano difficoltà con queste due materie è molto maggiore rispetto alle altre; solitamente chi è portato per queste scienze viene visto dai compagni come il genio o il secchione, anche se egli è semplicemente una persona che ha più sviluppato quel tipo di intelligenza.

   Esistono infatti diversi tipi di intelligenze: naturalistica, musicale, logico-matematica, esistenziale, interpersonale, corporeo-cinestetica, linguistica, intrapersonale, spaziale. Prestando attenzione a queste si può notare come ci sia un collegamento diretto tra questi tipi di intelligenza e le materie scolastiche. Quindi il problema non sta nel “cosa”, ma nel “come” si studia. Soprattutto andando avanti con gli studi ci si imbatte sempre più in materie considerate di serie A e di serie B, mentre è ingiusto classificare le materie perché così facendo si finisce per etichettare anche le persone stesse in base alle loro predisposizioni; inoltre si tende ad esaltare quelle materie e facoltà basate sulla conoscenza e sullo studio in quanto tale, degradando e sminuendo quelle più pratiche e materiali.

   Questa mentalità, portata avanti dalle vecchie generazioni ed insegnata alle nuove, ha fatto sì che negli ultimi decenni i più volenterosi e determinati fossero proiettati verso lavori più concettuali, “moderni”, mentre coloro più svogliati o apparentemente meno dotati venissero indirizzati verso scuole più pratiche e che prevedono un percorso di studi più corto, determinando di conseguenza la svalutazione di alcune scuole e facoltà a vantaggio di altre. Pensando però al futuro, al mondo lavorativo questo ha portato ad una richiesta di competenze sempre maggiori, ad una specializzazione sempre più approfondita per ottenere anche un semplice impiego, abbandonando però tutti quei lavori manuali e pratici che sono stati svalutati e giudicati come umili e degradanti, nonostante la domanda di questi sia sempre presente se non in aumento.

   Si ricordi: meglio un bravo idraulico che un medico mediocre. Non si dovrebbe avere paura o vergogna ad essere bravo con le macchine e voler fare il meccanico, ad avere il pollice verde e voler lavorare in un orto o in un’azienda agricola come non ci si dovrebbe sentire obbligati ad andare a Medicina o a Legge solo perché si è degli studenti molto validi, a studiare fino alla vecchiaia anche se vorremmo altro: ogni individuo ha le sue caratteristiche, peculiarità, intelligenze e nessuna persona è meglio di un’altra. La vita è unica e singola perciò dovrebbe essere vissuta facendo quello che più ci piace o ci riesce senza che venga giudicata o condizionata. La scuola dovrebbe insegnare a vivere ed a essere dei buoni cittadini e questo significa anche accettarsi con le differenze che ci distinguono e lasciare che ognuno sviluppi le sue capacità, anche in autonomia, perché in fondo lo dice anche il detto famoso: “Sbagliando si impara”. Aggiungerei che, avendo sempre un appoggio o un aiuto, non si impara a fare da soli e perciò ci vorrebbe, da parte degli adulti verso i giovani, più fiducia nella loro indipendenza, nella scoperta di loro stessi e nello sviluppo delle loro intelligenze e capacità.