Cosa ci rimane?

Articolo di attualità sociale sempreverde: trovare la propria persona

di Rebecca Giusti

   Penso spesso che sia difficile trovare una persona come la vuoi te, che legga Manzoni ed abbia quel fascino da intellettuale d’altri tempi che frequenta circoli culturali di sinistra ma anche abbastanza moderato nelle sue idee, che sia simpatico ma non troppo che poi potrebbe esserlo più di te e poi sarebbe dura parlarci mentre ridi solo tu, che ti parli di quanto sia interessante quell’ultimo documentario che ha visto, ma che non parli solo di quelli perché sennò chi lo vuole uno che può avere conversazioni solo su Alberto Angela. Un qualcuno dai capelli rosa, blu ma troppo colorati no sennò la coppia sembrerebbe formata da uno che tutti vorrebbero conoscere e il suo compagno, che sarebbe sempre relegato alla figura di “quello che sta con…” perché è un po’ timido ed ha dei monotoni capelli marroni eccessivamente scialbi per essere ricordato in prima persona senza essere associato a qualcun altro. Qualcuno che sappia litigare con te perché in tutti i film mielosi e romantici degli anni duemila che abbiamo sempre visto la ragazza con gli occhiali e la montatura spessa si innamora del tipo che nei primi cinque minuti odiava e guardava in cagnesco durante le lezioni di chimica, ritenendolo superficiale e poco attento sugli aspetti che veramente importano nella vita (come per esempio le reazioni chimiche redox). Ma se una non è brava in chimica? Se a lei non piacessero quelli con i capelli troppo in gelatinati e non portasse gli occhiali? Se esistesse qualche persona con cotte per persone solo parziali, per esempio: sì, a lezione mi è piaciuta quella battuta che ha fatto alla prima ora ma no, l’amore folle che provavo in quei dieci secondi si è spento quando ha detto che non sarebbe mai uscito dall’Italia per la fuga di cervelli che sta avvenendo fra i giovani (quindi è da scartare perché evidentemente non ha intenzione di comprare un bilocale con te a New Orleans per vivere di pane e musica, ma sogna un po’ di meno? Vuole una carriera più sicura? Non è disposto a fare battute senza senso sul fatto che andrete a vivere in una casa senza neanche materasso per poi poter raccontare anche voi di essere partiti dal niente come ormai è usanza che si faccia? Non lo so, fatto sta che il sentimento che credevi di provare dopo quell’uscita è svanito in una montagnetta di bricioline).

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La luce della notte

di Rebecca Giusti

   Secondo me la notte e il buio non sono mai stati la stessa cosa. Retoricamente parlando non puoi dire che la notte sia buia, opterei più per un aggettivo come luminosa, anche se forse sto scadendo nell’ossimoro. La notte è come un posto sicuro in cui puoi fare tutto ciò che più ti piace senza la luce vera e propria, fastidiosa ed invadente, che illumina i punti che vuoi nascondere ogni secondo. Il giorno è come una coperta troppo piccola che usavi quand’eri bambino ed in cui entravi perfettamente: ti copriva i piccoli piedi, i riccioli acconciati in ciuffetti ridicoli e non serviva pensare a come poterla allungare alle estremità per coprirti tutto perché tanto conteneva il tuo corpicino nella sua completezza. Crescendo cominciava a starti troppo piccola e quando cercavi di coprire un’area subito se ne scopriva un’altra, con altre persone che accorrevano per osservare la parte del corpo rimasta di dominio pubblico, commentandola mentre provavi nuovamente a cucire una prolunga a quella coperta ormai lisa e nasconderti tutto. Di notte è come se tutto l’universo si foderasse di una patina opaca che non permette di osservarsi a vicenda e quindi ogni persona mette la sua coperta giornaliera in un cassetto per riprenderla solo all’alba, perché tanto nelle ore notturne esiste una copertura uniforme per tutti i corpi che non ha bisogno di essere allungata o rattoppata nelle parti distrutte perché è indivisibile. Il buio per molti esiste di giorno, quando il sole curiosa in te stesso e tu non sai come fare ad oscurarlo e tornare alla meravigliosa luce che c’era poche ore prima. Pensa a quante meravigliose cose possono succedere mentre splende uno spicchio di luna o addirittura una luna intera nel cielo buio: un elemento così romantico, protagonista di così tante storie diverse, film di fantasia improbabili o musical scadenti, sopravvalutato e utilizzato da molti artisti impropriamente, non è poi così tanto male.

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Introduzione a un libro mancato

di Rebecca Giusti

   Sono solo io o le vicissitudini e gli aneddoti fondamentali dei membri della mia famiglia, riguardanti anche i personaggi più antipatici, noiosi e burberi che nella vita reale varrebbero la pena di essere classificati come ‘rompicoglioni’ (scusate il termine), ad assumere nei racconti un non so che di caratteristico ed estremamente interessante? Nelle saghe familiari le cose che ci succedono quotidianamente diventano all’improvviso eventi unici, rari ed irripetibili, ad esclusione de Il segreto: in quel caso credo che anche il regista abbia perso il filo dei milioni di intrighi amorosi che ci sono e gli alberi genealogici spropositati per ogni singolo personaggio. 

   In altre opere di questo tipo i personaggi sembrano nati per apparire in un best seller o divenire luoghi comuni in un futuro molto lontano (vedi il padre della protagonista in Lessico familiare di Natalia Ginzburg, che scanserei prontamente se mi capitasse di incontrarlo nella mia vita, con uno scatto veloce per correre subito a sparlare di lui con la prima amica che mi capita a tiro). In Cent’anni di solitudine, quegli strani individui abbastanza equivoci quasi innamorati dell’amore stesso, sono fiabeschi (sì lo so che è un romanzo nato puramente dalla fantasia dell’autore, ma lasciatemi finire la frase) ma anche se le loro avventure sono frutto della mente creativa di Marquez, risultano verosimili. Sono talmente diversi l’uno dall’altro che vorresti presentarti alla porta della loro casa con un taccuino e una faccia sognante per chiedere un autografo alla famiglia per intero: probabilmente dovresti vivere non so, circa cinquecento anni e possedere uno o due rotoli di carta Scottex a doppio strato per contenere tutte le firme, ma sarebbe possibile volendo. Nella vita reale sarebbero oggetto solo di chiacchiere da parte di anziane del paese che stanno tutto il giorno ad osservare le faccende altrui dalle loro finestrine coi gerani, mentre nel libro sembrano nati per essere descritti tra le pagine e studiati da studenti di letteratura sudamericana del ventunesimo secolo.

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Caso Regeni, tra dramma e ingiustizia

di Alessandro Vannucci

I pm della Repubblica hanno ricostruito le dinamiche che caratterizzano la detenzione di Giulio Regeni, le torture che il giovane ricercatore italiano ha subito dalla National Security egiziana dal 25 gennaio al 3 febbraio 2016, quando il suo cadavere fu ritrovato nel tratto stradale che collega Il Cairo e Alessandria. Grazie alle indagini gli investigatori italiani sono riusciti a scoprire che il ricercatore dell’Oxford University fu torturato e seviziato con oggetti roventi, lame, pugni e calci. La procura capitolina ha decretato 4 avvisi di chiusura delle indagini per 4 membri dei servizi segreti egiziani, mentre per il quinto è stata decisa l’archiviazione.

Sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate: accuse pesanti quelle imputate ai presunti colpevoli. I magistrati italiani hanno inoltre evidenziato come le ragioni dell’arresto di Regeni fossero futili e prive di fondamenta. Ciò sfortunatamente non gli ha evitato torture così spietate, che secondo le fonti investigative italiane avrebbero portato alle perdita di organi e lesioni traumatiche cervico dorsale.

Dopo gli ultimi processi le accuse sono ricadute anche sul generale Tariq Sabir, ma anche su Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, e su Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Quest’ultimo sarebbe il carceriere e boia del nostro compatriota, che abusando del potere di maggiore dell’esercito egiziano ha volontariamente e autonomamente torturato Giulio Regeni fino a portarlo ad un’insufficienza respiratoria centrale, rivelatasi poi causa della morte. L’assassino, secondo i magistrati, non ha agito seguendo ordini di organizzazioni governative ed è stato aiutato da persone rimaste tutt’oggi ignote.

Queste informazioni sono state scoperte grazie all’aiuto di 5 testimoni, uno dei quali afferma di aver visto Regeni ammanettato a terra con segni evidenti di torture nella sala 13 dell’edificio della National Security. Un secondo testimone ha spiegato di avere visto il ricercatore presso la caserma di Dokki, tra le ore 20 e le ore 21 del 25 gennaio. Secondo la ricostruzione Regeni una volta arrivato avrebbe chiesto alla polizia di parlare con un legale. Sempre seguendo la seconda testimonianza la vittima sarebbe stata scortata da 4 uomini vestiti da civili per poi essere bendata e trasportata in macchina in un posto chiamato Lazoughly.

Infine il testimone afferma di avere sentito il cognome Sheriff e il nome Mohamed. In entrambe le ricostruzioni viene affermato che il ragazzo fermato dalla polizia parlasse italiano. Dopo queste ricostruzioni i pm hanno spiegato che gli avvocati difensori hanno venti giorni per trovare prove che dimostrino l’opposto. Prestipino, uno dei pm incaricato del caso insieme a Colaiocco, ha descritto le prove rinvenute come “univoche e significative”. Colaiocco ha poi evidenziato la mancata collaborazione di 13 soggetti dell’autorità statali egiziane.

L’avvocato e la famiglia della vittima si sono poi detti soddisfatti della sentenza e hanno rilasciato dichiarazioni dove definiscono l’Egitto un paese non sicuro e hanno aggiunto che il caso di loro figlio rappresenta come, per lo stato, un vita umana valga meno del profitto derivato dalla vendita di armi e di petrolio. La madre di Giulio ha poi definito la loro battaglia legale come una lotta di civiltà e ha chiesto il ritiro dell’ambasciatore italiano dal Cairo, dato che da parte dell’Egitto non sono stati fatti in avanti, ma anzi indietro e tutt’oggi persistono dubbi e incertezze sulle diverse responsabilità degli enti egiziani e italiani. Molti infatti si chiedono perché nei giorni di prigionia del ricercatore nessuno si sia mosso all’ambasciata o al consolato e se il governo fosse al corrente della situazione.

Il caso irrisolto di Giulio Regeni rappresenta il basso valore di una vita umana, se paragonata ai profitti che derivano dal traffico delle armi. L’Italia ha da diversi anni intrapreso rapporti economici con il governo militare egiziano, come è stato documentato, infatti, la nostra repubblica ha venduto due fregate alla marina egiziana pochi anni fa.

È questo quindi il prezzo di una vita umana? Due navi da guerra per uno stato che non rispetta i diritti civili e reprime con la forza qualsiasi forma di ribellione.

Giulio è stato ucciso brutalmente perché indagava sulle condizioni dei lavoratori e i loro rapporti con i sindacati, ma ciò che scandalizza maggiormente è che nessun politico italiano, durante i giorni di prigionia del giovane ricercatore, si sia mosso nei palazzi dell’ambasciata del consolato a sua tutela. Come può uno stato sovrano come l’Italia, settima potenza mondiale, lasciare che un suo cittadino venga torturato e ucciso da uno stato canaglia come l’Egitto.

Non possiamo pretendere di rendere il mondo un posto migliore se ogni volta che la giustizia e gli interessi commerciali si scontrano, la classe dirigente lascia la vittoria a quest’ultimi, non tutelando e impoverendo la maggior parte della popolazione.