Il sogno della vita

Un racconto di Lavinia Biagi

Se potessi lasciare tutto e partire, dove andresti? Mi chiese. Queste sono le ultime parole che ricordo essere state pronunciate dalla sua bocca. Me ne andrei lontano lontano, pensai. Via di qua. Se chiudo gli occhi sento il sole del deserto bruciarmi la pelle. La sabbia è così calda che non riesco più a percepire i miei piedi scalzi doloranti. La vedo color ocra, densa e solida all’apparenza, eppure tanto effimera. Si dispone su se stessa strato dopo strato, forma una montagna, ma ecco che arriva una folata di vento a cambiare nuovamente il suo aspetto. Devo tapparmi gli occhi, ma più rimango lì e più a dir la verità devo cercare di proteggere tutto il mio corpo sferzato prepotentemente da quei granelli, ancora più sofferenti di me. Non funziona a molto. Cerco di coprire qui, di coprire là, ma ad ogni mio tentativo mi sembra di lasciare scoperta una parte sempre più grande di me. Mi sento tanto volubile in mezzo a questa tempesta. Il vento cessa, il paesaggio è mutato. È bastato così poco? Ed io invece? Sono sempre la stessa, oppure ho lasciato rubare al vento del deserto una parte di me? Leggi tutto “Il sogno della vita”

Provaci almeno a dirmelo

Una poesia di Rebecca Giusti

 

Com’è quando ti senti di scoppiare

Dimmi com’è cerca di descriverlo

Va bene anche se me lo dici con parole

che non riescono ad inquadrarlo quello stato

Con lettere sconnesse che cerchino

Si sforzino, correndo controvento

Di dirmi qualcosa

Tutto bellissimo, niente è più stupido o lo sembra

Ogni cosa che senti è nuova, mai sentita

In questa terra già vista, già sentita

Ti senti bene nella tua pelle che si sforma

Si muove, con il cuore che si allarga

È come se fossi in una gabbia aperta

Profumata e senza niente che divida

Te stesso dalla cavità toracica spalancata

Di qualcun’altro

Potresti scappare

Ma preferisci stare dentro di te

Perché si sta bene.

 

 

Roberto Baggio: Il poeta errante

di Lorenzo Gerardi

Il sogno di un bambino che ama il calcio, che spera un giorno di poter calpestare con i suoi scarpini l’erba degli stadi internazionali, quelli dove non hai solo la tua famiglia o le famiglie dei tuoi compagni a vederti giocare ma le persone di tutto il mondo, comincia a Caldogno, un piccolo paese in provincia di Vicenza di circa dieci mila abitanti: lui si chiama Roberto, per tutti è il piccolo Roby, che ama giocare a pallone sia nei campi che per le strade, senza limiti ne confini.

La sua è una famiglia umile, lui è il sesto di otto fratelli e decide di iniziare a inseguire il suo sogno nel suo paese. Roberto non era un bambino come gli altri a giocare a calcio, aveva qualcosa in più, quella spensieratezza e abilità nel gioco che non si vedeva facilmente nei ragazzi delle squadre provinciali, così venne chiamato dalla squadra del Vicenza, la sua prima vera esperienza professionistica all’età di 17 anni.

Roberto era un ragazzo timido ma dal sorriso tenero e veniva visto con un occhio di riguardo da tutte le società italiane anche importanti che militavano nella serie A. Così fu acquistato dalla Fiorentina nel 1984. Ma quell’anno fu un anno di paura e sgomento per lui e per la sua famiglia, a causa della rottura del legamento crociato e del menisco rimediato durante una partita. Il grande prodigio si era fermato e tutti, compreso lui stesso, capirono che quella sarebbe stata la fine di un sogno, che da un infortunio così grave a 18 anni non si poteva riuscire ad arrivare ad alti livelli nel mondo del calcio. Leggi tutto “Roberto Baggio: Il poeta errante”

Forse un giorno

Una poesia di Rebecca Giusti

 

Quando si smette di pensare che potremmo essere altro.

Sarebbe tutto rosa se fosse così un giorno lontano

Con meno movenze innaturali e risate per camuffarci

Una linea curva ci delineerebbe come un filo

Ondeggeremmo per le strade dritte

Come se fossero anche loro sicure

Di cosa vogliono comunicare

Avremmo ognuno una consapevolezza valida.

I dubbi sarebbero fiori viola che animano

I campi grigi di cose belle

Di cui siamo pieni

E potrebbero anche essere cercati da tutti,

perché pochi secondi immobili

ci salverebbero dalla sensazione di asfissiare,

affogare nell’aria densa di tutto ciò che ci sta intorno.

Ci sarebbe una strana euforia in giro,

la sera tutti si nasconderebbero perché

vorrebbero sentire il filo che sono stendersi come una corda

le chitarre avrebbero un suono diverso

che sembrerebbe quello di qualcuno che piange.