Il rifiuto di un grande criminologo

di Erica Lucchesi e Alissa Piconcelli

Nell’autunno del 1931, durante il periodo fascista in Italia, i docenti universitari furono obbligati a dichiarare fedeltà al Re, ai suoi successori e al regime, veniva chiesto loro di “esercitare l’ufficio di insegnante ed adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla patria e al Regime fascista.” Solo in 12 su 1225 si rifiutarono, perdendo la cattedra, il diritto alla pensione e alla liquidazione. Mario Carrara fu proprio uno di questi, non si piegò all’imposizione del regime, bensì si ribellò e per questo motivo venne privato della cattedra di Medicina legale, esonerato dall’insegnamento, dall’incarico di medico delle carceri e fu costretto a dedicarsi alla pratica professionale.

Nacque a Guastalla il 2 novembre 1866, fu un medico accademico, studiò Medicina a Bologna e qualche anno dopo collaborò con Cesare Lombroso, padre della moderna criminologia all’istituto di antropologia criminale a Torino e suo futuro suocero. Carrara insegnò Medicina legale all’università di Cagliari per poi tornare nella città piemontese ad occupare la cattedra lasciatagli da Lombroso poiché era passato all’insegnamento della psichiatria. Fu considerato uno dei massimi esperti italiani criminali, in quanto introdusse un nuovo metodo nella medicina legale: in un’indagine non bisognava più fermarsi solo all’aspetto tecnico e ai suoi accertamenti, ma anche su altre indagini e dimostrazioni che andavano a fondersi sulla formulazione di un giudizio. Nel 1904 divenne direttore del Museo di antropologia criminale di Torino che qualche anno dopo divenne l’archivio criminale ufficiale d’Italia. Diresse varie riviste come “archivio di antropologia criminale, psichiatria e medicina legale“, si dedicò anche alla criminologia infantile pubblicando vari saggi come “Un museo per la criminalità infantile” e “I tribunali per minorenni a Monaco di Baviera” e tradusse alcuni volumi di medicina come “Diagnostica anatomo-patologica” di Johann Orth. Effettuò anche l’autopsia sul corpo dello scrittore veronese Emilio Salgari. Leggi tutto “Il rifiuto di un grande criminologo”

Chi ci governa dovrebbe saper usare bene la ragione

 

di Lucia Barsocchi

    La Repubblica è un’opera filosofica scritta sotto forma di dialogo tra il 380 e il 370 a.C dal filosofo greco Platone, allievo di Socrate e nato nel 427 ad Atene, il quale pose le basi del pensiero filosofico occidentale. Il dialogo avviene tra Socrate, che dopo aver assistito alle feste Bendidie viene raggiunto da alcuni amici che lo invitano a casa di Cefalo. Socrate rappresenta la voce del pensiero di Platone e la conversazione avviene tra lui, Trasimaco, Cefalo, Glaucone, Polemarco e Adimanto. Questo libro è suddiviso in dieci libri (o capitoli) che principalmente trattano l’argomento dello stato ideale secondo Platone: cioè la convivenza armonica tra cittadini e governanti basata sulla giustizia.

“E dunque, io affermo che la giustizia altro non è se non ciò che giova al più forte” Questa è la definizione di giustizia secondo il sofista Trasimaco, espressa nel capitolo primo. Trasimaco sta quindi affermando che la giustizia è ciò che è utile al più forte quando egli è capace di valutare al meglio ciò che è utile. Mi ha colpito particolarmente la risposta di Socrate, che obietta che a ciò contraddice proprio quanto avviene nelle scienze: se consideriamo la politica una tecnica o un’arte, ogni arte cerca l’utile di colui a cui si applica, ad esempio la medicina cura i corpi per il loro vantaggio, non certo per il proprio.

“Non lodano la giustizia in sé, ma la buona reputazione che ne consegue, giacché, ficcandovi dentro la buona reputazione che il giusto gode presso gli dei, sanno parlare d’infiniti beni che, a detta loro, gli dei largiscono ai santi”. Credo che questo passo nel libro secondo sia assolutamente vero: coloro che praticano la giustizia, la praticano controvoglia come una necessità, soltanto per ricavarne la buona reputazione che ne consegue, specialmente la buona reputazione tra gli dei, che li premieranno per le loro ‘buone azioni’ e il loro ‘comportarsi giustamente’. Infatti, appena essi colgono l’occasione per commettere un’ingiustizia, spesso e volentieri piuttosto conveniente, la commettono passando comunque per uomini corretti. Credo che questo sia un fenomeno estremamente comune anche al giorno d’oggi; non sono d’accordo che questo si applichi per tutti come afferma invece Adimanto, ma sono sicura che sia così per una buona parte delle persone. In generale, penso che gran parte della gente operi nel bene solo per ricevere qualcosa in cambio, anche non necessariamente materiale. Leggi tutto “Chi ci governa dovrebbe saper usare bene la ragione”

Giorgio Errera, una persona salda nella difesa della libertà

di Ginevra Salvioni e Fabiana Mencaroni

 

Il 1931, forse per alcuni un anno qualunque, di poca importanza. “Cosa successe nel 1931?” – “Boh, non lo so”. Eppure il 1931 è un anno che dovrebbe essere ricordato da tutti gli studenti, da tutti i lavoratori, insomma da tutti.

All’inizio dell’anno accademico 1931/1932 furono 1.225 i docenti universitari che vennero chiamati a firmare il giuramento fascista; rifiutarsi di giurare fedeltà comportava la perdita della cattedra, del diritto alla liquidazione e alla pensione.

Nonostante questa consapevolezza 12 professori dissero NO al giuramento imposto da Mussolini e pagarono per la loro scelta: perdendo la cattedra, ma qualcuno fu pure costretto all’esilio e altri invece si costrinsero a vivere ai margini della società.

Erano persone normali, dei semplici professori accomunati da un’indole ribelle che risiedeva dentro ciascuno di loro, pieni di coraggio e senza paura; loro sono i così tanto nominati eroi, protagonisti, inoltre, di un bel libro scritto da Giorgio Boatti: Preferirei di no. Leggi tutto “Giorgio Errera, una persona salda nella difesa della libertà”

Un lamento per la pace sempre attuale

di Gabriele Billet

Il Lamento della Pace (Querela Pacis), composto nel 1517 da Erasmo da Rotterdam, è il più celebre scritto pacifista dell’autore, ed è tutt’ora considerato una pietra miliare nella storia del pacifismo europeo.

Il testo – steso nel contesto di un’Europa insanguinata e straziata da violenti conflitti armati, coinvolgenti gli Stati europei, ivi compreso quello della Chiesa- risulta portatore di un messaggio estremamente moderno ed attuale: il ripudio della guerra.

Lo scritto viene espressamente dedicato dall’autore a Filippo di Borgogna, il quale, proprio nel 1517, era stato nominato vescovo di Utrecht; in lui infatti Erasmo riponeva la speranza di una figura che potesse rendersi garante della pace in una situazione estremamente conflittuale quale quella dell’epoca contemporanea del 1500.

Erasmo si propone nel Lamento della Pace quale pacifista radicale ante litteram, esponente della tesi del rifiuto totale della guerra, in quanto del tutto incompatibile, per l’autore, non solo con le massime evangeliche, ma anche con la razionalità umana; in tal senso Erasmo si presenta come portatore di un potente messaggio pacifista, secondo il quale occorre perseguire la tutela e la difesa della pace, ripudiando incondizionatamente la guerra e la violenza. Leggi tutto “Un lamento per la pace sempre attuale”